(23.11.2008)
Morire a scuola, ossimoro assurdo
Per uno strano caso del destino, c’ero passata proprio il giorno prima: Rivoli,
Liceo Scientifico Darwin.
Avevo, come spesso mi capita, ammirato la scelta di collocare una scuola in un
edificio bello, con una storia. Anche a Roma, dove abito e insegno, esistono
molti edifici con un passato e una destinazione iniziale diversa, in cui si è
scelto di insediare delle scuole. Ma nelle periferie l’impatto è differente. Si
tratta di costruzioni più o meno recenti, facilmente individuabili,
spersonalizzate quando non siano festosamente arricchite dalla fantasia di
bambini e maestre. Sono scuole costruite per essere scuole; e concretizzano,
perciò, il (dis)investimento che questo paese produce da molto tempo
sull’istruzione.
Le telecamere ci hanno mostrato l’interno del Darwin: corridoi ampi, spazi luminosi, pareti pulite. Nelle scuole della periferia romana, come il liceo classico in cui insegno, la cura per l’ambiente è molto meno evidente: muri scrostati e scarabocchiati, banchi del Pleistocene, sui quali - certamente -si sono accomodati miei coetanei. E ogni volta ad interrogarsi su che razza di Paese sia quello che consente a 9 milioni di persone – che apprendono e insegnano – di vivere in ambienti ingrigiti e fatiscenti; dove solo le voci di bambini e ragazzi inverano quel senso di vita che – immediatamente, silenziosamente – scompare durante le vacanze: le tristi scuole dell’estate. E ogni volta cercare di spiegare ai ragazzi che ciò che roviniamo è nostro, viene pagato con le nostre tasse; che la cura dell’ambiente in cui viviamo, soprattutto se si tratta di un’istituzione pubblica, fa parte dei nostri doveri di cittadini: il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà. Scavalcare con i principi la triste evidenza dei fatti.
Ma morire a scuola è un’altra cosa. Morire a scuola è un ossimoro. Significa vedere sconfessata praticamente l’idea di tutela (tutus, sicuro) che è implicita nell’idea stessa di scuola. Dal punto di vista della crescita etica, in una scuola democratica e pluralista. Ma ancor di più dal punto di vista dell’incolumità fisica. Perché San Giuliano e Beslan hanno rappresentato eventi che hanno sconvolto più di altri le coscienze e la sensibilità di molti di noi? Perché si sono verificati nelle scuole. Alla scuola affidiamo i nostri figli perché vadano avanti, diventino grandi; non perché muoiano. E tra quelle mura abbiamo l’illusione che siano al sicuro. Ha ragione il ministro Gelmini a dire che “non è possibile che un ragazzo muoia a scuola”. Tuttavia è probabile: i dati Inail del 2007 evidenziano che in quell’anno 13000 sono gli insegnanti infortunati e 90000 gli studenti. Le problematiche dell’edilizia e della sicurezza si riferiscono a circa 10.800 istituzioni scolastiche, articolate su 42.000 edifici. Il 75% degli edifici non è sicuro. La legge 53/03 prevedeva la quantificazione di 7.5 miliardi di euro da ripartire in un piano pluriennale straordinario; piano neppure abbozzato. La progressione degli stanziamenti dall’entrata in vigore della legge 11/1/96 (la Masini) è drasticamente rallentata dal 2002 in poi. Il ritardo di un’Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica – articolata per regioni – è allarmante. Un’indagine di Legambiente denuncia come le scuole insediate in edifici storici siano le meno sicure; il 52.82% delle scuole sono state costruite prima del 1974; il 6.26% dal ’90 al 2006; il 4.49% risale all’Ottocento. Ma basterebbe la manutenzione, la messa in sicurezza.
I numeri sono quelli di sempre; e perciò vuoti significanti, che non accelerano non diminuiscono la nostra indignazione, né smuovono la nostra rassegnazione; che, se dovesse tenere conto di quelle cifre, scoraggerebbe i genitori dal mandare a scuola i figli; imporrebbe al personale forme di protesta vibranti. Sappiamo per esperienza che tra qualche giorno il crollo di Rivoli sarà archiviato come uno scherzo della fatalità, il nome di Vito Scafidi scomparirà dalle cronache, come il cordoglio e le promesse dei politici. Come quei 29 bimbi della prima elementare di San Giuliano, morti con la loro maestra, che oggi farebbero la seconda media. Ciò che rimarrà – oltre al dolore di chi ha conosciuto un ragazzo che in un bel sabato di sole è entrato a scuola per morire – sarà, a fonte dei dati dell’emergenza edilizia, il ridicolo stanziamento di 300 milioni di euro e il dileggio dell’intervento sulle 100 scuole meno sicure. In attesa di un’altra tragedia.