(26.06.2009)
Ne capisci di InterNèt? - di Marina Boscaino e Marco Guastavigna
Al
coup de
théâtre
giovanilistico
che ha visto un’ingessata ministro dell’Istruzione annunciare in gennaio le
materie d’esame su YouTube, è seguita coerentemente una traccia su Social
Network, Internet, New Media per la prima prova scritta dell'Esame di Stato.
Il tutto in una scuola in cui
rigorosamente – dopo la fatidica apertura della busta, la cui integrità era
stata precedentemente suggellata dallo sguardo disorientato dell’alunno
sorteggiato a svolgere il rituale compito – i commissari interni si sono
scapicollati a conquistare la prima posizione presso la macchina delle fotocopie
dell’istituto per provvedere alla riproduzione per ciascun alunno dei 7 fogli
contenenti le tracce. E l’ultimo paga pegno.
In
una scuola che esalta a parole la potenza delle nuove tecnologie da una parte e
dall’altra ne vieta severamente l’uso, non contemplando l’idea che il divieto
potrebbe essere sostituito da una diseducazione civica all’abuso.
Il
tutto, infine, in una scuola il cui ministro può salutare l’aumento di non
ammessi agli esami di maturità come la forma suprema di quel “merito” che
rappresenta una delle parole d’ordine più gettonate di una mitologia
stantia
ed inefficace, che con i giovani, con il loro mondo complicato e
contraddittorio, non c’entra veramente nulla. Una scuola il cui ministro può
esultare per 30.000 ragazzi non ammessi all’esame di Stato, quasi si trattasse
di un trofeo da esibire. Ignorando che un percorso formativo che stigmatizza e
ferma solo alla fine coloro che lo hanno percorso sta dichiarando esplicitamente
il proprio fallimento: il fallimento del successo educativo al quale la scuola –
per sua stessa natura – dovrebbe tendere.
Insomma, si continuano a
sciorinare slogan, parole, atteggiamenti in forme schizofreniche, completamente
svincolate dalla sostanza. La fiducia nelle suggestioni demagogiche e nella loro
capacità di persuasione contro ogni evidenza dei fatti – il giovanilismo,
YouTube, la riflessione sui new media che evidentemente tendono ad impedire la
percezione dell’arretramento pauroso al quale la scuola viene sottoposta, nelle
sue valenze economiche, culturali, emancipanti – è la pulsione che continua ad
animare in superficie l’azione del ministero; in profondità, intanto, si
tagliano 8 miliardi di euro, personale, risorse, potenzialità, cultura,
democrazia. D’altro canto la valutazione e l’attenzione che connotano
l’atteggiamento di questo governo nei confronti del mondo giovanile sono state
evidentissime nelle esternazioni che piombarono sull’Onda lo scorso autunno.
Basta fare un giro in Rete per farsi un’idea della profonda considerazione che
fu riservata ai ragazzi che – con civiltà e consapevolezza – abbandonarono in
occasione delle prime notizie sulla controriforma Gelmini la nicchia di
qualunquismo e di consumo acritico in cui questo governo desidera disperatamente
farli “maturare”, per impegnarsi e per partecipare.
E a
proposito di contraddizioni (solo apparenti; in realtà animate da una proterva
convinzione di riuscire a intorbidire la percezione del reale a colpi di
ammiccamenti strumentali): tutti ricorderanno la “guerra santa” che questo
governo ha condotto contro il ’68. Ostinatamente – in particolare Brunetta,
Gelmini e Tremonti – qualunque fosse l’argomento, si sono lanciati in
un’invettiva contro il ’68. Isterici, proprio in occasione delle proteste
annuali, gli eterni ritorni
sull’argomento. Che viene però inserito – Parigi 1968, insieme ai pacifisti e a
Jim Morrison – nei supporti fotografici alla traccia “origine e sviluppi della
cultura giovanile” che immobilizza alcune icone di quella cultura, dalla Vespa a
Facebook.
Ma la più contraddittoria delle contraddizioni non riguarda Gelmini, né il governo Berlusconi. È intrinseca al modo stesso in cui è concepita la prima prova di italiano. Siamo certi che, se si chiedesse agli insegnanti di comporre un saggio breve, la maggior parte di essi non sarebbe in grado di assolvere il compito: si tratta di una tipologia testuale di una complessità estrema, fluttuante nelle varie interpretazioni che ne vengono fornite dai diversi testi che – con difficoltà – tentano di fornirne un’esemplificazione convincente. Ebbene, il paradosso è il seguente; ed è clamoroso; e ci racconta una scuola di classe, fatta per i migliori, esattamente come la vogliono coloro che hanno la responsabilità di governarci. L’analisi del testo letterario è una tipologia evidentemente destinata agli alunni liceali, avvezzi allo studio della storia della letteratura e delle opere. Si tratta di una tipologia di fatto – programmi alla mano – sostanzialmente inibita al 70% degli studenti, quelli che frequentano l’istruzione tecnico-professionale; programmi (e pratiche didattiche) alla mano, la dimestichezza con un’analisi tecnico-stilistica di un testo letterario per quei ragazzi è pari alla nostra capacità di analizzare le fasi della lavorazione di un tappeto Bukhara rispetto ad un Kilim: zero. Quegli studenti, frutto di una selezione operata sulla base del rendimento scolastico delle scuole medie, non estranea – come sappiamo – a criteri di carattere socio-economico-culturale si trovano, volenti o nolenti, a rifugiarsi quasi obbligatoriamente nella tipologia articolo/saggio breve: la più ostica, la più complicata, la più difficile. I liceali ad esercitarsi in un'analisi guidata in un percorso su contenuti che molto probabilmente conoscono. Loro, i più ruspanti, a cimentarsi nella decodificazione di documenti inseguendo un'idea - il saggio breve - dai contorni fluttuanti, vischiosi, ostici, ermetici. Non solum, sed etiam.
L’impressione è che quest’anno –
finalmente al riparo da gaffes ministeriali, da Dante a Montale – i commenti
saranno positivi. Le tracce sono state apparentemente più semplici del solito e
piuttosto "belle". Belle in assoluto, come concetti, come sollecitazioni destinate
però a un mondo adulto e critico; meno afferrabili per adolescenti immersi nella
liquidità, cui si richiede un intervento che – nel metodo e nel merito - la
scuola spesso sollecita solo in quest’ultima prova del percorso. Perché è certo
che i concetti richiamati dalle tracce appartengono alla sfera della coscienza
critica e richiedono competenze di cittadinanza. Ma è altrettanto vero che la
scuola è ancora strettamente legata a modelli trasmissivi che poco incidono su
quella sollecitazione. E, nel contempo, la sua stessa organizzazione ribadisce
la centralità del “programma”, che impedisce qualunque deviazione e scoraggia
una revisione dei paradigmi monolitici su cui si fondano le discipline.
La prima prova rappresenta, anno dopo anno, un modo per
riflettere sulle potenzialità della scuola e sulla sua effettiva capacità di
incidere. Nella forma e nei contenuti. Ci chiediamo ancora una volta quanti
insegnanti (e quanti funzionari ministeriali, preposti alla selezione delle
tracce) sarebbero in grado di affrontare un saggio breve. E perché – a fronte
della “trasversalità” della prova, identica per tutti gli ordini di studio – si
taglino aprioristicamente fuori da molte tracce gli studenti dei tecnici e dei
professionali – la maggior parte della popolazione scolastica - che certamente
hanno una minore dimestichezza soprattutto rispetto alle implicazioni
filosofiche di cui sono intessute tutte le consegne. Fare parti diverse tra
uguali non è il compito della scuola come istituzione pubblica.