(24.05.2010)
Il libro digitale non fa presa - di Marina Boscaino
Il primo giugno scade il termine per l’adozione dei libri di testo.
L’impressione – considerando il momento che stiamo vivendo – è che il ministro con nonchalance tratti per l’ennesima volta gli insegnanti come meri esecutori di procedure, peraltro piuttosto discutibili.
Siamo stati chiamati, infatti, a compiere un atto formale significativo, una scelta piuttosto determinante rispetto alla nostra dimensione professionale nel caos e nell’illegittimità. Un atto formale che, implicitamente, prevede l’avallo implicito all’arbitrio che si sta perpetrando nel nostro Paese.
Da una parte, infatti, le Indicazioni Nazionali sono solo una bozza, che – secondo le consuete procedure cui siamo abituati – è formalmente sottoposta a giudizi, pareri, suggerimenti e potenziali modifiche; ma che – c’è da giurarci – rimarranno esattamente quella povera cosa che ci hanno presentato (dal ministero fanno infatti sapere che sono “sostanzialmente definitive”).
È accaduto anche con i regolamenti delle superiori, sottoposti formalmente all’ascolto e al giudizio del mondo della scuola per un brevissimo periodo (durante il loro iter, che non faceva altro che raccogliere pareri negativi dagli organi preposti) sul sito dell’Ansas ex Indire e che sono stati approvati in seconda lettura dal Consiglio dei Ministri in forma pressoché identica a quella propagandata come modificabile.
Si sa che “ascolto” è una delle demagogiche mistificazioni di cui si serve la propaganda ministeriale per fingere un interesse inesistente e un’inesistente istanza democratica.
Le case editrici – come emerge da una serie di interviste – hanno stampato al buio testi che hanno raccolto contenuti accorpati con “buon senso ed intuito”: non esattamente le caratteristiche che vengono richieste a un’operazione culturalmente significativa. Il risultato è che in assenza di programmi definiti e definitivi, sono proprio le case editrici a indicare i contenuti per le nuove materie e per quelle che hanno subito un taglio.
Alcuni collegi dei docenti – responsabilmente – hanno formulato delibere in cui sospendono l’adozione dei libri di testo per le classi prime, in attesa che la situazione sia meno farraginosa e incurante della professionalità dei docenti. Oltre al fatto che le Indicazioni sono ancora in bozza, il completamento dell’iter normativo dei regolamenti di riordino delle superiori non è ancora avvenuto: manca la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La modifica del monte ore delle discipline, poi, e la loro scansione alterata rispetto al passato sul quinquennio, l’inserimento di nuove discipline non sembrano trovare risposte ragionate e argomentate nelle proposte editoriali.
Altrove tutto tace. Si è andati avanti con le adozioni, come se tutto fosse nella norma. E poi ci si stupisce di quello che sta accadendo: un disastro socio-culturale consentito anche dalla complicità omertosa di una parte consistente del distratto mondo della scuola.
Non perde occasione di parlare, invece, Giovanni Biondi, capo dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse, che censura il comportamento di molte case editrici, che avrebbero condotto un’inutile gara per anticipare le Indicazioni (strano, considerando che oggi – a 3 settimane dalla chiusura della scuola – le Indicazioni sono ancora ufficiose) e poi aggiunge, sommando demagogia a inefficienza: "Dal 2011 saranno obbligatori i libri digitali. Così sarà più facile inserire correzioni ed aggiornamenti".
Ecco un altro inelegante modo per sottolineare una totale sottovalutazione del ruolo sociale e culturale degli insegnanti. L’esibizione del totem tecnologico come sinonimo acritico di modernità è uno dei temi più cari e più ingenuamente sfruttati dalla nostra amministrazione.
È vero che una parte della scuola italiana potrebbe abboccare, per inesperienza, alla lusinga della modernità; ma essa non necessariamente si configura come sinonimo di affidabilità culturale. E le parole di Biondi ne sono la prova. Come si trattasse di un’operazione culturale, concettuale, redazionale a costo zero, Biondi sembra ridurre la selezione, la riorganizzazione, l’integrazione dei contenuti a semplici taglia e incolla di stringhe di testo, comprensivi dell’eventuale risoluzione di nuovi o vecchi diritti d’autore.
Di che cosa stiamo parlando, di che modello di libro stiamo parlando? Qual è la significatività formativa e culturale di un oggetto che sembra spiegare la sua unica suggestione ed efficacia nella propria flessibilità, non certo nella sua comprovata autorevolezza?
Spostando su una dimensione esclusivamente tecnicale il fulcro del problema, non solo si eludono le evidenti inadempienze di un ministero che procede a tentoni, per approssimazioni, senza garantire la legittimità delle procedure; ma rischia di legittimare – per pura necessità demagogica – un’operazione che, se condotta pedestremente, può risultare ulteriormente mortificante rispetto alla portata culturale ed educativa del dispositivo di testo; e – con esso – della scuola intera.
La mistificazione determinata dalla taumaturgia immediata che alcune parole sembrano per propria stessa natura evocare è pericolosa, dal momento che il libro digitale – a distanza, appunto, di un anno dalla messianica obbligatorietà – al momento non ha un modello di riferimento chiaro e condiviso nemmeno sul piano tecnico, mancando la definizione di formati, interfacce, dispositivi.
E mancando – soprattutto e semplicemente – nelle aule scolastiche le prese: quelle che servirebbero perché qualsiasi dispositivo digitale possa funzionare.