(21.08.2012)
I 5 obiettivi di Monti: interessanti, discutibili, anzi impraticabili
di Marina Boscaino
Qualche riflessione a margine dell’intervento di Mario Monti che, nel corso del
recente e tradizionale Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, ha
individuato 5 obiettivi relativi alla scuola. Parlando di tutt’altro rispetto
alla scuola.
Primo obiettivo: promuovere una migliore scolarità in tutta la popolazione, favorendo il sapere e le competenze diffuse. Il Professor Vittadini ha citato un dato che bisogna invertire quanto prima: 38% dei quindicenni italiani che ritiene la scuola un luogo dove non si ha voglia di andare. La scolarità diffusa è il un passo necessario per "togliere il freno" allo sviluppo dell'imprenditorialità e contribuire al diffondersi di un'offerta di lavoro più qualificato.
Sarebbe davvero difficile
non trovarsi d’accordo con una affermazione relativa alla necessità di “favorire
il sapere e le competenze diffuse”. Più difficile è, invece, trovarsi in
sintonia con l’idea di una scuola, proposta dal premier, non solo completamente
ancillare rispetto al lavoro, ma in cui non trovano diritto di cittadinanza
concetti e principi come educazione, cultura, emancipazione, cittadinanza; che
sono - a mio avviso - la quintessenza di ciò che la scuola deve trasmettere, ciò
a cui deve tendere.
Prendiamo per buono il dato del 38% di Giorgio Vittadini (fondatore e presidente
della Fondazione per la Sussidiarietà); si tratta di una percentuale che, detta
così, non dimostra nulla e soprattutto non dice nulla di nuovo.
E, casomai, dovrebbe invogliare il governo a riflettere su due elementi, non
citati da Monti, che possono influire sul basso gradimento dei ragazzi:
l’edilizia scolastica (le scuole sono per lo più ispirate ad un’architettura
“sovietica”); e la formazione degli insegnanti (volta al recupero di metodologie
didattico-pedagogiche che rendano eventualmente più interessante la scuola,
favorendo “una migliore scolarità”).
Rimane la questione di una scuola finalizzata, schiacciata sul mercato del
lavoro.
Anche Profumo, qualche tempo fa, si era lanciato in un’analoga interpretazione:
“senza
considerare la scuola il necessario complemento a una visione moderna del
mercato del lavoro, non è possibile immaginare un suo ammodernamento: se il
lavoratore è infatti una persona, e non solo un numero, le sue scelte
professionali nascono già nel suo percorso formativo. Questo è il senso del mio
lavoro come ministro"
E’ un brano del messaggio di auguri pasquali recapitato quest’anno alle scuole.
In entrambi i casi emerge una violenta visione neoliberista della formazione,
subordinata alle esigenze dell’impresa, responsabile solo ed esclusivamente nei
confronti dei propri azionisti (e non della società tutta, nell’esercizio di una
cittadinanza che è al contempo emancipazione del soggetto e della collettività),
vocata al profitto: non all’apprendimento, non alla cultura, all’arricchimento
dell’individuo; al fatto, semmai, che un lavoratore più colto sarà comunque un
lavoratore più consapevole. Si intravede un’implicita riduzione a merce di tutto
ciò su cui si fonda la Repubblica, che in qualche modo sembra essere il filo che
lega con sempre maggiore evidenza gli interventi di questo governo “tecnico”.
Nella totale dimenticanza di ciò che sono le diseguaglianze sociali e i
conseguenti conflitti, ai quali la Costituzione, e proprio nella maniera in cui
ne ha determinato il mandato, ha suggerito alcune soluzioni: la scuola pubblica
in particolare.
Questa
chiave di lettura è stata ribadia da Mario Monti parlando del secondo punto:
Secondo obiettivo: offrire maggiore possibilità alle scuole di esprimere, con
autonomia e responsabilità, le proprie potenzialità.
È importante, anzitutto, potenziare l'istruzione tecnico-professionale, come
ricordava anche il Professor Vittadini poco fa. Se nel mercato del lavoro
italiano persiste un divario tra la domanda elevata di alcune professionalità e
l'offerta scarsa o inesistente è anche a causa dell'insuccesso della formazione
tecnica. Confartigianato ha quantificato in 32mila i posti di "difficile
reperimento". Una migliore formazione tecnico-professionale è il perno su cui
insistere per colmare questo divario. Dobbiamo anche insistere sul digitale, per
accelerare i tempi e facilitare i rapporti tra la scuola pubblica e gli utenti:
insegnanti, studenti e genitori.
Tre riflessioni:
1) parlare di autonomia e responsabilità, riproponendo la formula “autonomia responsabile” inaugurata da Profumo ("Io sto ragionando, - disse il Ministro dell'Istruzione e dell'Università, Francesco Profuno, a Radio Uno, intervistato da 'Prima di tutto' - insieme alle persone del Ministero, come dare una maggiore 'autonomia responsabile' trasferendo direttamente alle scuole le risorse senza vincolo di utilizzo in modo tale che ci sia una maggiore autonomia reale, un'autonomia nelle scelte e credo che questo sia la strada"), lascia qualche dubbio. Perché il recente progetto di legge 953 - che sta continuando il proprio iter, nonostante il dissenso di gran parte del mondo della scuola - che inaugura l’autonomia statutaria e riforma gli organi collegiali, sul quale il governo o ha taciuto o ha espresso consenso, è abissalmente lontano dal concetto di autonomia responsabile: si tratta, casomai, di una proposta che colloca la scuola in uno stato di subalternità rispetto ad eventuali finanziatori; che peraltro saranno molto più solleciti e presenti in alcune realtà e in alcuni segmenti dell’istruzione (si pensi al tecnico e al professionale) che in altri. Non solo: tale subordinazione e tali divaricazioni verranno ulteriormente sottolineate dallo Statuto dell’Istituzione Scolastica; tanti statuti quante sono le scuole. Non solo dunque rottura dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, quella già disegnata dalla “riforma” Gelmini attraverso la determinazione di modelli regionali altamente diversificati, soprattutto nell’istruzione professionale, fortemente legata al tessuto imprenditoriale ed aziendale di riferimento, con conseguente ulteriore affossamento della scuola del Sud. Ma anche sostanziali differenze tra scuola e scuola, non solo per ciò che riguarda le new entry esterne e la loro eventuale munificenza, ma anche funzionamento interno, modalità di partecipazione, attività di organi.
2) Della riqualificazione dell’istruzione tecnica Romano Prodi aveva fatto uno dei punti centrali del programma sulla scuola dell’allora Unione, riuscendo – a dire il vero parzialmente – a rivedere quel segmento della scuola secondaria di II grado, da una parte potenziando le sinergie con il territorio e con la realtà imprenditoriale circostante, ma non ignorando la necessità di uno sforzo anche sul piano squisitamente culturale. a indebolire attraverso sferzate di tagli (si pensi, ad esempio, agli insegnanti tecnico-pratici e ai laboratori) quel tentativo è poi intervenuta la “riforma” Gelmini.
3) Il digitale è ancora una volta la parola magica, come in tutte le - per la verità modeste e poco sostanziali - dichiarazioni di Profumo. Questi professori continuano a pensare che – nonostante le classi-pollaio, gli arredi ante-guerra, una mancanza di formazione adeguata per i docenti, la piaga di zone del Paese dove lo Stato latita - il totem tecnologico possa costituire in quanto tale e in modo meccanico e acritico una proposta dirimente per definire la qualità della scuola.
Terzo obiettivo: introdurre nuove modalità di reclutamento e formazione dei docenti, per favorire l'ingresso nella scuola di giovani insegnanti capaci e meritevoli e favorire un rapporto continuo e stretto tra scuola e società, anche attraverso accordi istituzionali con università, enti di ricerca, associazioni professionali e parti sociali.
Altro obiettivo totalmente condivisibile. Chi non condivide il motto “largo ai giovani”? Ma come? L’entrata in ruolo avviene più o meno intorno ai 40 anni; l’età media, ad esempio, delle scuole medie - l’ordine con insegnanti più anziani - è 52 anni; i tagli dell’era Gelmini hanno diminuito di più di 80mila unità i posti di lavoro dei docenti; l’età pensionabile è stata aumentata. Per giunta, ed è questione proprio di questi giorni, l’esperimento fallimentare dei Tfa (inquinato alla massima approssimazione e improntato dalla totale mancanza di rispetto per i - seppur giovani - candidati) ha stimolato un dibattito piuttosto acceso non solo sull’inadeguatezza dei quiz, ma sul sistema di reclutamento in generale, concorsi compresi. Il tempo passa: il concorso da lungo tempo promesso da Profumo non è stato ancora bandito; tempi e procedure per un’operazione simile sono probabilmente incompatibili con l’imminente scadenza del mandato del governo “tecnico”. Quali, dunque, le nuove sorti del reclutamento e per la formazione dei docenti nel nostro Paese?
Quarto obiettivo: tra le nostre priorità c'è anche il contrasto all'insuccesso
formativo, alla dispersione e all'abbandono scolastico. L'Agenda di Lisbona -
che questo Governo sposa pienamente - pone l'obiettivo di portare il tasso di
fallimento formativo sotto il 10%. Sono ben 8 punti percentuali in meno di
quello attuale. Senza contare il tasso di abbandono scolastico dei giovani tra i
15 e i 24 anni, che - ha ricordato recentemente il Corriere della Sera citando
una ricerca di Confartigianato - resta elevatissimo: 18,6%.
Per riuscire stiamo portando avanti azioni specifiche per contrastare le cause
di fenomeni di mancata scolarità e per promuovere il recupero delle aree
scolastiche più compromesse, anche potenziando iniziative di educazione alla
cittadinanza e alla legalità.
Di esempi ce ne sono molti. Tra i tanti, cito i "Fondi alle Regioni il diritto
allo studio degli studenti meno abbienti". Grazie a questi Fondi abbiamo potuto
stanziare 103 milioni di Euro a favore delle Regioni per la fornitura gratuita,
nel prossimo anno scolastico, dei libri di testo delle scuole dell'obbligo e
secondarie superiori.
La piaga
della dispersione scolastica ci vede come uno dei Paesi “bollino nero” in questo
settore. Concentrarsi su questa emergenza socio-culturale vorrebbe dire fare
tesoro di una (pessima) battuta del ministro Fioroni che –rispondendo sulla
questione – affermò la propria impotenza, sostenendo che i ragazzi “non possiamo
mica tenerli a scuola con le catene”. È vero: le tipologie di studenti e zone
che abbiano tendenza alla dispersione ci fanno comprendere che questo fenomeno
non è arginabile – in questa scuola, in una scuola strutturata come la
nostra – attraverso provvedimenti-palliativi come la gratuità dei libri di
testo.
Occorrono azioni di sistema.
Serve una riforma vera e scientificamente fondata che trasformi - dal punto di
vista della relazione e della cura, del tempo scuola, del come, cosa, perché
insegnare - la nostra scuola, eliminando le caratteristiche nei confronti delle
quali studenti sottoposti a particolari condizioni socio-culturali-ambientali
sviluppano potentissimi anticorpi e forme di rifiuto esplicito destinate a
diventare boomerang persino sul piano dei costi-benefici. Inoltre: esistono
studi che mettono in relazione la frequenza della scuola dell’infanzia o la
capacità di letto-scrittura al terzo anno della primaria con la propensione
futura alla dispersione, alla dissipazione, al ritardo scolastico.
Abbiamo, per esempio, lavorato sulla prevenzione dei fenomeni evidenziati da
questi indicatori? Quali sono le intenzioni nel merito? Stiamo provvedendo
concretamente alla generalizzazione della scuola dell’infanzia? Interveniamo
concretamente sulle difficoltà rilevate in III elementare?
Quinto obiettivo: riteniamo strategica la promozione della mobilità degli
studenti, estendendo a tutti la possibilità di studiare e fare esperienza
lavorativa all'estero, per poi tornare nel nostro Paese e far fruttare le
conoscenze apprese.
Vi cito l'esempio del progetto Angels. Il nome, da solo, dice tutto: 5,3 milioni
di Euro, ripartiti in tre annualità, con tre obiettivi principali: Anzitutto,
far sperimentare agli studenti metodi di ricerca e insegnamento propri di altri
sistemi educativi e sviluppati da centri di eccellenza internazionale; Inoltre,
accrescere la domanda di qualità nell'insegnamento e nella ricerca; Infine,
favorire la competitività e l'azione delle imprese del Mezzogiorno attraverso la
formazione di nuove classi dirigenti”.
Anche in questo caso, come non esser d'accordo? Penso, però, che si comprenda da quanto ho argomentato in precedenza che da “estendere” a tutti siano ben altre, forse più elementari, ma certamente primarie e fondamentali, garanzie e tutele. Poi si potrà pensare alla mobilità. Ben venga il progetto Angels. Penso però che lavorare sulle concrete e reali emergenze della scuola italiana rappresenti un vantaggio anche per i “capaci e meritevoli”, quelli che vengono certamente rallentati, condizionati dall’inidoneità del sistema di fornire risposte adeguate alle difficoltà di una larga fascia di studenti e di creare condizioni che rendano la scuola – da ogni punto di vista, persino (perché no?) estetico –un luogo coinvolgente e fondamentale nella crescita dei futuri cittadini.
In conclusione, due riflessioni:
- 1) Chi ha suggerito al prof Monti di individuare questi punti come centrali e prioritari attraverso queste modalità e questo tipo di approccio o non conosce la scuola italiana nella sua realtà o aveva urgenze di carattere ulteriore rispetto ad un’onesta ricognizione di emergenze e priorità. È molto probabile che, ancora una volta, intervento dopo dichiarazione, si assista al tentativo di demolizione, lento ma inesorabile, del progetto di scuola licenziato dalla Costituzione - la scuola emancipante – per ribadire la sottomissione a concetti organizzatori e chiavi di lettura che allontanano quel modello e principi come cultura e cittadinanza a vantaggio di una visione imprenditoriale: sapere e saper fare non solo non convivono più. Ma viene rilanciata l’egemonia del saper fare, finalizzato ad una visione esclusivamente economicista dell’universo giovanile e delle funzioni dell’istituzione scolastica.
- 2) La scarsa cura nei confronti della scuola che da anni lamentiamo, l’assoluta mancanza di centralità di questo tema, sono ribaditi dalla profusione di affermazioni vuote, in quanto incomprovabili e impraticabili: pure dichiarazioni di intenti , svuotate da un effettivo rapporto con la realtà.
È certo che - da uomo di studi - il prof Mario Monti, se si fosse solo un po’ di più impegnato, avrebbe potuto tentare di fare molto meglio..