01.09.2005
S
cuole superiori: perchè non sia un altro anno "a perdere"Si tratta di capire se il grado di autonomia esercitato dalle nostre scuole sia tale da esprimere livelli di protagonismo e responsabilità, rispetto ai propri studenti e alle famiglie e al territorio, allaltezza dei problemi che ci si trova a vivere in questa fase.
La stagione più pesante
Il fatto è che la scuola superiore vive la stagione forse più
pesante della propria storia, avendo smarrito la sua funzione sociale e la sua
credibilità ed essendo diventata causa di frustrazione un po' per tutti; d'altra parte,
le prospettive della riforma son quelle che sono. In ogni caso, sia che il Decreto di
riforma del ciclo superiore venga approvato in via definitiva il prossimo ottobre, sia che
non lo sia - come sembra più probabile - lo scenario che ci si prospetta è tale che
l'anno scolastico che comincia rischia di essere un anno ancora vuoto (riprenderò
successivamente questa riflessione). E dire "anno vuoto" per una situazione
degradata, come quella che viviamo, significa aggiungere macerie a macerie. Che in ogni
caso dovranno essere sgombrate poi ancora da noi se si vorrà costruire una scuola diversa
in cui recuperare un minimo di ragione sociale oltre che di soddisfazione e senso per il
nostro lavoro.
Penso poi che, pur all'interno di un quadro sconfortante, le singole scuole hanno energie
spesso inespresse, professionalità e amore per il proprio lavoro non valorizzati,
esperienze non socializzate e capitalizzate. Per diventare /essere autonomi e sviluppare
protagonismo occorre in primo luogo fare i conti con quel che si è, ma anche con le
proprie energie inespresse, le proprie potenzialità ed esperienze . E qui si apre un
campo di lavoro essenziale - difficile e delicato - soprattutto per il Dirigente
scolastico e per quanti nella scuola in questi anni hanno continuato a lavorare per la sua
tenuta.
Qualche paletto. L'autonomia che serve
Se si entra in quest'ottica, qualche paletto va pur posto
quando parliamo di autonomia, che per alcuni versi può apparire ancora un oggetto
misterioso o un fantasma. E tra questi paletti, prima fra tutti, quello che l'autonomia ha
senso se serve a migliorare lo stato di cose esistenti, e quindi a introdurre innovazioni
sensate nei vari ambiti in cui va esercitata.
Che potranno riguardare la significatività della selezione degli obiettivi e degli
argomenti, recupero dellunitarietà del sapere, ridistribuzione dei carichi orari
delle materie in rapporto ai bisogni formativi degli studenti di una determinata
scuola
., se l'ambito è quello dell'insegnamento, inteso come didattica e come
contenuto; oppure le diverse articolazioni della classe, impostazione modulare del tempo e
degli apprendimenti, centralità del laboratorio e e-learning, ma anche struttura
facilitante del lavoro scolastico e del funzionamento complessivo della scuola come
servizio, se l'ambito è quello dell'organizzazione; o anche la qualità degli spazi e
loro efficacia sul versante formativo se intendiamo intervenire sugli aspetti ambientali
Si fonda, in altri termini, sulla possibilità di sviluppare proposte diverse e innovative
e di sperimentare spazi più avanzati rispetto alle pratiche e agli ambiti tradizionali o
routinari.
Non serve autonomia per fare le cose che si fanno da sempre e che risultano ormai
inadeguati e insoddisfacenti. Per queste bastano gli spazi della scuola tradizionale.
Interpretare bisogni formativi e sociali e puntare al successo formativo di ognuno, così
come dice l'art. 1 del DPR 275, significa in primo luogo sapersi interrogare rispetto al
proprio fare scuola e ai risultati del proprio lavoro e porsi le domande giuste per
elaborare proposte allaltezza dei problemi, sempre più complessi, che emergono.
Cosa certamente difficilissima, ma che può essere tentata a livelli diversificati, anche
aprendosi al contributo di esperti dentro e fuori il mondo della scuola, facendo rete -
altra prerogativa della scuola autonoma (cè un articolo di ben 10 commi, a
significarne il valore). Che poi significa in primo luogo capire che si opera in un
territorio dove c'è un ente locale, ci sono altre scuole con gli stessi nostri problemi,
ma anche con idee ed esperienze che possono venir utili, ci sono organismi di varia
natura, aziende, agenzie culturali, che possono risultare risorsa.
Autonomia è soprattutto progettare il miglioramento
Ma diventare / essere autonomi significa anche - e soprattutto,
visto che è forse l'aspetto più trascurato e svilito - progettare il miglioramento (o
meglio i singoli cambiamenti migliorativi) e curarne i processi, i passaggi e la tenuta,
superando rigidità, sviluppando creatività, facendo i conti con i vincoli senza
lasciarsene irretire.
Se l'autonomia non serve a migliorare, a innovare, ad avvicinarci al traguardo attraverso
percorsi e metodi più efficaci non ha valore né senso. E questo è possibile solo se
"si sostanzia" nella progettazione, come d'altra parte recita l'art. 1 del DPR
275.
Se sono questi la cornice e i presupposti, il passo in avanti consiste nel capire /
individuare i terreni su cui può valere la pena, qui ed ora, tentare di investire come
scuola singola o più scuole dello stesso tipo. Pensando però in partenza che si tratta
in ogni caso di un buon investimento. Un investimento cioè che risulterà comunque utile
e importante per i successivi e auspicati processi riformatori. Perché, in ogni caso di
una riforma del nostro sistema abbiamo bisogno come dell'aria. E penso non ci sia bisogno
qui di indicarne le ragioni urgenti e anche drammatiche.
La domanda allora diventa: quali i terreni su cui investire.
La sperimentazione del Ministro. Perché non convince
Ma a questo punto occorre preliminarmente fare i conti con la proposta di sperimentazione della riforma delle Superiori di cui al Decreto legislativo del 27 maggio, già prima richiamato. Sappiamo che, approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri, per diventare operativo dovrà essere approvato definitivamente entro metà ottobre, dopo "aver sentito la Conferenza unificata Stato-Regioni e previo parer delle competenti commissioni della Camera e del senato ". Certezze che sia approvato in tempo non ce ne sono o sono scarse. Anche perché pesa come un macigno su questo decreto la presa di posizione molto negativa della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, espressa a metà luglio, che addirittura ne chiede il ritiro. Motivandolo nel documento predisposto con ragioni di merito e di metodo di grosso spessore:
Ci mettiamo a "sperimentare" aspetti e profili della
riforma in queste condizioni, sapendo che le Regioni, con la riforma costituzionale del
2001, hanno competenza concorrente in materia di istruzione e competenza esclusiva su
istruzione e formazione professionale? E che "qualsiasi opzione di tipo sperimentale
promossa unitaralmente dal governo
renderebbe più confusa ed indeterminata
la situazione normativa e
accrescerebbe la possibilità di potenziale contenzioso
con le Regioni"? (dal citato Documento della Conferenza Unificata). Va tenuto
presente che tale posizione è stata espressa dalla quasi totalità delle Regioni e che le
posizioni diverse di Lombardia, Veneto e Molise assumono "buona parte delle
osservazioni critiche" espresse dalla maggioranza.
Nel merito della proposta di sperimentazione, ci sono poi dubbi che riguardano i suoi
contenuti e la sua fattibilità.
Sui primi: sappiamo le riserve forti sollevate da più parti, oltre che sull'impianto
generale, anche sui Profili, sulle Indicazioni nazionali per piani di studio
personalizzati e sui così detti OSA (obiettivi specifici di apprendimento), sulle
limitazioni dell'autonomia scolastica presenti in alcune scelte normative (ad esempio,
quella sull'insegnante-tutor e quella sulle modalità valutative).
Sinceramente poi non abbiamo colto in giro "un clima favorevole all'avvio di un
progetto di sperimentazione", come vanta invece la proposta ministeriale. Anzi. Anche
perché nelle scuole se ne è parlato poco o niente, e, per quel poco che se ne parlato,
sono state prevalenti le voci critiche. Ancora un interrogativo: che senso ha una
sperimentazione parziale, a fronte di un processo che per essere significativo non può
che coinvolgere l'assetto complessivo del sistema? E infine: è corretto ricorrere
all'art. 11 del DPR 275 sull'autonomia (riguarda i progetti di innovazione ordinamentale)
per far passare nelle scuole processi di riforma?
Rispetto alla fattibilità da quest'anno: ci si rende conto di cosa si va a produrre nelle
scuole e dei necessari tempi di studio, di formazione, di riflessione, di traduzione
operativa che comporta la proposta? Al Ministero dovrebbero sapere che un progetto
sperimentale deliberato all'inizio di un anno scolastico non può che partire in quello
successivo. Questi sono i tempi necessari se si vuole dare un senso alle cose che si vanno
a proporre e non prendersi in giro.
Ripartire dal Decreto sull'autonomia
Se questo è il quadro, occorre penso puntare su altre forme e su
altri terreni.
Da ciò la proposta di privilegiare il terreno dell'autonomia scolastica nelle sue varie
espressioni. Per recuperarne valore, senso e strumenti.
Mi vado convincendo sempre di più che, per demerito soprattutto dell'Amministrazione
subito dopo la emanazione della Legge 59/97 e dei decreti relativi, la lezione del DPR 275
non sia stata compresa appieno e non abbia attivato a sufficienza intelligenze e
professionalità. E soprattutto, del Decreto citato, l'articolo sul Piano dell'offerta
formativa. "Piano" presentato nel Decreto come il "documento
fondamentale" (quindi non il solo, ma il più importante, quello di riferimento per
tutti gli altri documenti e atti della scuola, dal Programma Annuale (PA), allo Statuto,
dal Piano Annuale delle Attività (PAA) ai piani di lavoro delle Materie e dei Cdc, ai
contratti di Istituto), e mai diventato tale, almeno nella sostanza della vita delle
scuole (o di gran parte di esse). Come d'altra parte conferma la documentazione
consultabile sul sito dell'INDIRE (per altri versi interessante e preziosa).
Ripartire - come scelta almeno maggioritaria di Istituto - dalle indicazioni di
quell'articolo, recuperarne il senso, sviluppando l'ottica progettuale che lo informa, e
tentarne un utilizzo funzionale ai ragionamenti prima sviluppati, può essere un esercizio
utile per mettere in piedi, se non protagonismo, almeno un impegno generalizzato.
Economizzando risorse (compreso il tempo) e rendendo possibile, con qualche sicurezza in
più, risultati tangibili.
Ovviamente, gradualità, piccoli passi nella direzione scelta e condivisa, passaggi
costruiti con cura. Cose che ci diciamo da sempre e che valgono sempre. Si tratta in
questa fase, a fronte di una situazione divenuta per alcuni versi non più sostenibile, di
caricarli di più precisa intenzionalità.
Niente quindi di veramente nuovo. Solo rilettura critica di pratiche e recupero di
esperienze per un'operazione che ridia slancio al lavoro nelle scuole in una stagione in
cui "reagire" è una scelta che potremmo definire militante, se il termine non
desse fastidio per più ragioni.
Ma su questo si rendono necessari ulteriori ragionamenti e approfondimenti che esulano
dalle ragioni di questa nota. Se ne potrà parlare in un successivo intervento.