31.01.2004
Tre minuti di silenzio....
L'avvio della riforma nell'analisi dell'Anci
di Massimi Nutini, componente della
Commissione Nazionale Scuola dell'Anci
1. Perché la "riforma" Moratti non è mai piaciuta ai Comuni
Lapprovazione del primo decreto attuativo della legge Moratti
(legge 53/2003) rappresenta una tappa fondamentale del percorso che dovrebbe portare alla
ridefinizione delle norme generali sul sistema educativo dellistruzione e della
formazione, sotto la responsabilità dellattuale maggioranza di governo.
Come Commissione scuola dellAnci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) abbiamo
seguito con grande attenzione i vari passaggi che hanno portato alla definizione di questo
decreto, relativo alla scuola dellinfanzia e al primo ciclo dellistruzione. In
particolare, nelle ultime settimane, ci siamo impegnati sulle parti del provvedimento che
maggiormente interessavano i Comuni e ne siamo usciti convinti di aver portato a casa dei
risultati importanti, ma lapprovazione del decreto impone a tutti, e quindi anche a
noi, di allontanarsi un po dal contingente e di ripensare complessivamente il
significato delloperazione che si sta consumando.
Facendo questo esercizio, riaffiorano "nodi" mai risolti, la cui mancata
spiegazione rende sempre più difficile affrontare i processi in atto e impossibile
individuare percorsi e progetti strategici per una reale qualificazione del sistema
educativo. A questi "nodi" sono dedicate in questo scritto ben poche parole,
volutamente intrecciate e aggrovigliate con le parti sulliter e sullanalisi
del decreto, messe lì, ad invitare che si riempiano di voci
tre lunghi minuti di
silenzio.
È necessario, innanzitutto, tornare a rileggere il progetto originario che ha dato vita a
questa "riforma" e chiedersi se e quanto questo progetto ha realizzato i suoi
obiettivi e se e quanto, e per quali motivi, ha subito modifiche in corso dopera.
Dobbiamo poi valutare se le modifiche hanno cambiato il segno, la direzione, oppure se si
è trattato di incisioni sostanzialmente insignificanti. Potremo così, meglio, definire
quali obiettivi dobbiamo porci per il futuro.
Il progetto Moratti/Bertagna non è mai piaciuto ai Comuni principalmente per tre motivi.
Il primo di questi è la prioritaria attenzione dedicata al "processo riduttivo della spesa"(1) nel settore dellistruzione. Interventi di "razionalizzazione e qualificazione della spesa" erano già stati intrapresi dal precedente Governo di centro sinistra (basti ricordare, in particolare, la legge 449/97, cosiddetta finanziaria di Maastricht), ma la questione di fondo, senza addentrarsi in alcun modo (in questa parte del ragionamento) nel giudizio di valore sui due progetti di riforma, sta nel fatto che mentre la legge 30/2000 prevedeva la riduzione di un anno nel percorso scolastico complessivo (mitigando così, e di molto, gli effetti dei tagli dorganico allora previsti), la legge 53/2003, oltre che ripristinare il tredicesimo anno del percorso complessivo dellistruzione, ha preso in carico quasi un mezzo anno in più di utenti che vengono spostati dallasilo nido alla scuola materna. Queste due scelte, insieme alle più pesanti riduzioni di spesa che sono già state disposte con le leggi finanziarie approvate dallattuale maggioranza, realizzano una miscela letale: la riduzione del servizio, in tutti gli ordini di scuola, appare di fatto, almeno in prospettiva, una scelta obbligata. È evidente che questa prospettiva preoccupa e non poco gli enti locali, sia per il rischio di doversi sobbarcare spese per colmare i vuoti che si verranno a creare sia per la riduzione qualitativa del servizio scolastico che potrà derivarne.
Il secondo motivo di contrarietà è fondato sullesperienza che da tanti anni abbiamo fatto, come Comuni, nel collaborare con le scuole che operano nei diversi territori. Da questa esperienza abbiamo maturato la convinzione che, per quanto difficile, può essere giocata e vinta la difficile scommessa di contrastare linsuccesso scolastico che deriva dallambiente familiare e sociale di provenienza. Che la diversità di ognuno (sia essa determinata dallorigine culturale e sociale, sia essa provocata da caratteristiche soggettive fisiche o psicologiche) può rappresentare una ricchezza per tutti ed essere trasformata, nellambito di un unitario percorso educativo di qualità, in maggiore approfondimento, consapevolezza, maturazione, solidarietà, capacità critica Preziosi, indispensabili ingredienti, per chi vuole rendere le nostre città più partecipate, vivibili e ospitali. Insomma proprio lopposto di ciò che si affermava nel primo documento Bertagna con quella infelice rivisitazione della metafora del "David" che dovrebbe prendere atto dellimpossibilità di confrontarsi con "Golia". Il tempo pieno non è lunico strumento di questa sfida, ma rappresenta di sicuro una delle armi alle quali non riteniamo si debba rinunciare. Anche per questi motivi abbiamo denunciato, durante liter di approvazione della legge 53, "il rischio di riportare nella scuola lartificiosa separazione tra il tempo dellistruzione e della trasmissione del sapere e il tempo delleducazione e della crescita umana e culturale; separazione che i sistemi locali hanno positivamente superato sia grazie allespansione del tempo pieno sia grazie ad una profonda interazione tra scuola ed extra scuola"(2)
Il terzo motivo di contrarietà degli enti locali alle legge 53 riguarda la scuola superiore e la formazione continua: abbiamo visto in tale legge "il rischio di scindere, nel percorso formativo, listruzione dalla formazione professionale, mentre nel mondo delle imprese come nei centri per limpiego il concetto di competenze riassume in sé aspetti di carattere cognitivo e operativo" (2) e ben poca chiarezza su "come il prefigurato assetto ordinamentale sia conciliabile con le esigenze di long life learning, non solo più volte richiamate nei documenti dellUnione Europea, ma essenziali per un territorio che non voglia culturalmente depauperarsi, rinunciando a forza lavoro in grado di rispondere alle dinamiche dei sistemi produttivi"(2).
A queste tre motivazioni, che supportano la disapprovazione di merito del provvedimento, si aggiungevano e si aggiungono le preoccupazioni per alcune chiare "invasioni di campo" in relazione alle competenze di altri soggetti la cui autonomia è riconosciuta ed ampliata dalla nuova Costituzione (dalle Regioni, agli Enti Locali, alle stesse Autonomie Scolastiche) e la certa insufficienza delle risorse finanziarie stanziate per lattuazione della legge.
2. Le modifiche, peggiorative, dagli "Stati generali" alla bozza del 12 settembre 2003
Le modifiche più significative, apportate con la legge 53 e con il primo decreto attuativo, rispetto al progetto illustrato agli "Stati generali dellistruzione" del dicembre 2001, possono essere così sintetizzate:
Si tratta di modificazioni che hanno voluto solo corrispondere alle pressioni corporative della scuola media (inferiore, per quanto riguarda la scansione dei periodi, e superiore, in relazione alla durata complessiva di cinque anni), alla necessità di evitare sfondamenti di spesa (la riduzione dellorario massimo concedibile), nonché di una insignificante concessione ad un partito interno alla maggioranza (lUDC) che da sempre scalpita contro lintroduzione di una figura prevalente tra gli insegnanti.
Dal punto di vista degli enti locali, e delle preoccupazioni più sopra richiamate, si tratta di modificazioni sicuramente peggiorative rispetto al progetto originario. La reintroduzione del quinto anno della superiore e lingresso nel sistema di un mezzo anno dei nidi, senza alcun cenno al necessario incremento delle risorse, accresce, come abbiamo già visto, la preoccupazione che si vada verso una riduzione "orizzontale" dellofferta pubblica complessivamente intesa. Lidea stessa dellanticipo, senza una seria attenzione agli standard qualitativi, preoccupa invece che far piacere. Lulteriore riduzione del numero massimo delle ore possibili aggrava la preoccupazione di una "ritirata" nello stretto campo dellistruzione fino a farci pensare ad "una scuola che non privilegia più un progetto per la propria comunità, ma che diventa un luogo in cui i singoli accedono a quote più o meno ampie (comunque discrezionali) di un servizio"(3).
3. Dalla bozza del 12 settembre al decreto definitivo. Quali risultati ha raggiunto lAnci?
Quando è stato approvato, in via preliminare, dal Consiglio dei
Ministri, il primo decreto attuativo relativo alla scuola dellinfanzia ed al primo
ciclo è emerso con chiarezza che le preoccupazioni avanzate avevano solido fondamento.
La drastica riduzione del tempo della scuola pubblica e gratuita appariva con grande
evidenza, in tale prima stesura. Si pensi solo al fatto che al comma 4 degli articoli 7 e
10, relativo alle dotazioni organiche degli istituti scolastici, si prevedeva che tali
dotazioni erano costituite unicamente allo scopo di garantire le attività didattiche
"di cui ai commi 1 e 2", cioè le ore obbligatorie e le ore facoltative. È
stato questo il primo punto sul quale si è concentrata la battaglia dellAnci.
Solo dopo alcuni giorni, e dopo le proteste che si sono sollevate da varie parti, è
uscita la versione della bozza di decreto con i commenti ministeriali nei quali si
rassicurava, ma solo nelle parole esterne allarticolato, che lorganico sarebbe
stato concesso anche per il tempo mensa e che tale tempo avrebbe potuto avere
unestensione tale da garantire un servizio scolastico di durata pari al tempo pieno.
Hanno ben che dire adesso, il Ministro ed il sottosegretario Aprea, che tale estensione
era sempre stata nelle loro intenzioni. Chi ha partecipato agli incontri di quei giorni sa
che non erano per niente rassicuranti (come, per certi versi, non lo sono neppure oggi,
come vedremo più avanti) le parole che poi non si traducevano in una modifica
dellarticolato.
Era però chiaro che liter del decreto sarebbe andato avanti a tappe forzate ed è a
questo punto che, come commissione scuola dellAnci, oltre a mantenere tutte le
osservazioni critiche allimpianto complessivo della "riforma", ci siamo
anche posti in un ottica emendativa.
Le proposte presentate per la prima volta alla riunione tecnica della Conferenza Unificata
del 20 novembre 2003 avrebbero rappresentato, se accolte integralmente, un reale
miglioramento del testo in itinere. Non solo si sarebbe portato lorario delle
attività didattiche, sia della scuola primaria che secondaria di primo grado, a 27 + 6,
ma si sarebbe anche indicato, per ambedue gli ordini di scuola, un tempo mensa, assistito
dagli insegnanti, di 7 ore. Il tutto senza tetti vincolati alla spesa, senza vincoli in
relazione a limiti di organici.
Uneventuale integrazione del decreto come quella appena descritta non avrebbe
impedito, alle scuole e ai Comuni, nonché agli utenti, convinti della validità del
progetto Moratti/Bertagna, di realizzare una scuola "più stretta", ma anche
avrebbe permesso, a coloro che si collocavano sulla prospettiva di un modello diverso,
"più ampio", di poterlo progettare e realizzare.
Purtroppo, comè noto, quando si entra nella logica emendativa poi si scende ad un
compromesso e, in particolare sul tempo scuola, il testo che ci ritroviamo oggi è frutto
di un compromesso il cui risultato potrà meglio essere valutato con landare dei
mesi e forse anche degli anni.
Anche allinterno dellAnci abbiamo bisogno valutare più a fondo questo
risultato, ma molti Assessori pensano che gli spazi che rimangono aperti grazie agli
emendamenti proposti dai Comuni sono e saranno spazi preziosi per chi ritiene che il tempo
scuola sia elemento essenziale della qualità dellofferta distruzione.
4. Un minuto di silenzio
Questa valutazione sullimportanza di salvaguardare comunque
uno spazio per la progettazione e la realizzazione di tempi scolastici lunghi è stata
ampiamente condivisa da tutti i Comuni, anche se ciò non vuol dire automaticamente che
tutti ritengano che il "più tempo" rappresenti comunque "più
qualità". Anche nelle riunioni Anci, più o meno a bassa voce, ci raccontiamo, in
particolare da un po di anni, di conoscere una scuola mal fatta, e molto chiusa,
anche nei tempi lunghi e una scuola ben fatta, e molto aperta, anche nei tempi corti.
Affermazione banale? Non si dovrebbe fare in questo modo, in questo momento? A chi fa del
male? A chi fa del bene? E perché?
Può essere elemento di riflessione per qualcuno, se riferisco che, a margine di una delle
riunioni di questo periodo, mi è capitato di chiedermi assieme ad un Assessore di un
importante comune italiano, governato dal centro sinistra, se "davvero non riusciamo
ad immaginare altro tempo, per il futuro dei bambini e dei ragazzi delle nostre Città, se
non quello di una scuola di quaranta ore e di fine settimana trascorsi in affollati centri
commerciali"?
Un minuto di silenzio
è stata la nostra risposta
per poi, riprendendo le
parole, dirci che la battaglia che si stava facendo doveva comunque essere fatta, se non
altro perché, in un po di acqua sporca, vedevamo due "creature" che non
potevano non essere difese dalla autonomie locali: residuali esperienze di scuola vissuta,
bella e militante e la risposta ad un bisogno sociale delle famiglie per il quale ad oggi
non abbiamo unalternativa di qualità e praticabilità paragonabile.
5. Lattuazione del decreto: la questione delle risorse e quella del tutor
Il decreto adesso cè e con la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale sarà legge dello Stato. Le questioni allordine del giorno, in relazione a
tale provvedimento, sono principalmente due: lattuazione dello stesso, e quindi i
provvedimenti amministrativi (circolari, etc.) e contrattuali (apertura di una coda
contrattuale sul tutor, etc,); le certe, anche se non prevedibili nel brevissimo periodo,
ulteriori modifiche.
Sullattuazione e la gestione del decreto emerge in primo piano la questione dei
vincoli che potranno derivare allautonoma progettazione dei modelli organizzativi
dalla scarsezza e dalla incertezza delle risorse e dalle indicazioni che saranno date in
relazione alla figura del tutor. Le due questioni sono in realtà strettamente collegate.
Iniziando dalla incertezza delle risorse, è il caso di notare come proprio le leggi di
"riforma" della scuola siano state citate dal Procuratore Generale della Corte
dei Conti come esempio di "formule di copertura nuove e inconsistenti fondate su
quantificazioni <<manifesto>> e sul mero rinvio a successive decisioni di
bilancio" (4) . Vale per i provvedimenti, nella loro interezza; ma come non rivolgere
il pensiero, in prima battuta, allaffermato principio della generalizzazione della
scuola dellinfanzia alla quale "si provvede attraverso ulteriori decreti
legislativi", come recita il comma 2 dellart.1 del decreto!
Risulta, poi, indispensabile concentrare lattenzione sullart. 15 del decreto,
il quale presenta un testo la cui stesura non brilla certo per chiarezza. Si dice infatti
che "al fine di realizzare le attività educative di cui allart.7, commi 1, 2 e
3 e allart.10, commi 1, 2 e 3, è confermato in via di prima applicazione, per
lanno scolastico 2004/2005, il numero dei posti attivati complessivamente a livello
nazionale per lanno scolastico 2003/2004 per le attività di tempo pieno e di tempo
prolungato ai sensi delle norme previgenti", come se lorganico attualmente
assegnato alle sezioni dei tempi lunghi (che sono come noto circa il 28% del totale)
dovesse essere sufficiente a coprire le esigenze dorganico di tutto il sistema
educativo!
Levidente errore materiale rischia addirittura di rendere di minor efficacia ciò
che il legislatore pare volesse garantire, ovvero il mantenimento per un anno, almeno
nella stessa quantità, delle sezioni di tempo pieno e tempo prolungato.
(Una parentesi di fantapsicopolitica: Perché, viene da chiedersi, sarà stato commesso
questo errore? Come si poteva formulare correttamente tale articolo? Provate a scriverlo
in modo corretto, fate questo esercizio, e vedrete che non è semplice produrre un testo
che non diventi in qualche modo "rivelatore" di "progetti futuri" sul
tempo scuola. Forse, proprio per non incorrere in questo rischio si è preferito il
"banale errore" materiale).
Ma lart.15 prosegue affermando che "Per gli anni
successivi, ulteriori incrementi di posti, per le stesse finalità, possono essere
attivati nellambito della consistenza dellorganico complessivo del personale
docente dei corrispondenti ordini di scuola determinata con decreto del Ministro
dellistruzione, delluniversità e della ricerca di concerto con il Ministro
delleconomia e delle finanze".
Questa seconda parte, pur essendo anchessa un po confusionaria (rimane oscuro
il significato dellespressione "ulteriori incrementi" riferita al
precedente periodo nel quale si parla di "mantenimento" e non di
"incremento"), ci dice un qualcosa di abbastanza chiaro: laumento delle
sezioni a 40 ore, negli anni oltre il 2004/2005, potrà essere realizzato solo a scapito
della compresenza e della consistenza degli organici nei modelli funzionanti con un numero
di ore inferiori alle 40.
È legittimo immaginare che una letterale applicazione di tale articolo potrà scatenare
contrasti tra gli stessi genitori che, dividendosi tra i due modelli di tempo, potrebbero
trovarsi gli uni contro gli altri, magari stimolati anche un po dai docenti, a
reclamare maggiori risorse per il modello frequentato dal proprio figlio, a scapito del
modello frequentato dai figli degli altri. (Sarà questo la libertà che si intende
offrire alle famiglie nel concedere loro la scelta sui diversi modelli scolastici?).
Comè facile intuire il docente tutor, da questo punto di osservazione, rappresenta
un elemento di primo piano anche in relazione alle possibili economizzazioni di organico
conseguenti la "minore necessità" di compresenze. Su questo si sono già letti
approfonditi e condivisibili interventi, ma poco o niente si è detto sul fatto che il
docente tutor apre anche una questione non semplice con la quale, ben prima di questo
decreto, è emersa la necessità di fare i conti. Anzi, a mio parere, apre due questioni: la
differenziazione tra gli insegnanti e la responsabilità del dirigente scolastico. Mi
concederei, a questo punto, un secondo minuto di silenzio
(nellacqua sporca
vedo, in questo caso, panni che forse varrebbe la pena passare al lavaggio) e, tanto per
gettare solo un sasso nello stagno, nella speranza che le onde provochino fastidio in
qualcuno, vorrei solo dire che i dirigenti che affideranno a tutti gli insegnanti di una
classe (o anche di due classi parallele) il tutoraggio degli alunni, dividendo questi
ultimi tra i diversi insegnanti, in parti uguali, potranno anche aver individuato una
soluzione per riconoscere, promuovere, valorizzare, uneffettiva contitolarità, e
corresponsabilizzazione di tutti i docenti, ma potranno anche aver operato unaltra
scelta. Provate ad immaginare quale
6. Le prossime modifiche e la "folgorazione" della Corte Costituzionale.
Il decreto subirà di certo ulteriori modifiche, sia perché la stessa legge delega prevede allart.1, comma 4, la possibilità per il Governo di dettare ulteriori disposizioni "entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore" sia perché gli uffici legislativi di alcune Regioni sono già al lavoro per impugnare parti del provvedimento di fronte alla Corte Costituzionale.
Le due ragioni che rendono, luna possibile e laltra
inevitabile, il cambiamento del decreto ci sollecitano anche a confrontarci su alcuni
nodi, che sono rimasti troppo in secondo piano, al di là delle posizioni che
sullintera operazione si potranno assumere. In altre parole: sia che ci si ponga
nellottica della non "riformabilità" di questa avventura legislativa (e
quindi ci si batta per il ritiro della legge 53 e di tutti i presenti e futuri
provvedimenti attuativi) sia che si ritenga di volere/potere fare qualcosa di buono, o di
comunque utile, nel porsi in un ottica emendativa (posizione che, ritengo, non potrà non
essere assunta dagli enti locali), non credo che sia rinviabile più di tanto affrontare
un argomento che, più o meno sottovoce, ci diciamo da diverso tempo, forse troppo.
Elemento scatenante di tale esigenza è la recente sentenza della Corte Costituzionale con
la quale è stata accolta la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla
Regione Emilia-Romagna, con conseguente dichiarazione di illegittimità di una
disposizione (6) che non prevede "
che la competenza degli uffici scolastici
regionali viene meno ...quando le regioni nel proprio ambito territoriale ...attribuiscano
a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle
istituzioni scolastiche".
La Corte, nella parte argomentativa, pur non definendo le sfere di competenza delle
"norme generali" su cui lo Stato ha competenza esclusiva e dei "principi
fondamentali" destinati ad orientare la legislazione concorrente delle regioni,
individua con estrema chiarezza che la definizione della dotazione organica del personale
docente e non docente delle istituzioni scolastiche rientra nella funzione di
programmazione della rete scolastica, oggetto di legislazione regionale.
La pronuncia della Corte dovrà essere approfondita, e non poco, in relazione agli effetti
che potrà produrre sin dallimmediato futuro, ma obbliga anche a riaprire la
riflessione su quale livello di "federalismo" riteniamo dover immaginare per il
sistema educativo nel nostro paese?
Vorrei, a questo punto, raccontare di unaltra domanda che, da qualche anno, è
rimasta sospesa nella mia mente. Poco dopo la disposizione che aveva stabilito che i
bidelli sarebbero diventati dipendenti statali (7), di fronte ai tanti problemi che tale
trasferimento aveva comportato, con un alto funzionario dellAnci, capitò di farci
questa domanda: "Ma se invece che passare i bidelli dai Comuni allo Stato si fosse
fatta loperazione inversa, facendo tornare ai Comuni tutto il personale della
scuola, non sarebbe stato meglio?". Inutile dire che qui si consumò il terzo minuto,
i cui non detti mi piace consegnare a questo scritto
7. Esame di maturità, per gli enti locali
La parola "federalismo", nelluso e nellabuso
che ne è stato fatto, non ha più un significato politico ben definito. Ha subito un
destino simile alle parole "partecipazione" e "democrazia". Chi è
contrario alzi la mano!
Non indiscutibili nel significato, ma certamente, oggi, fornite di una più condivisa
definizione, mi sovvengono le parole: "potere", "cessione di potere",
"rapporto tra potere e cittadini".
Ne ho parlato con una giovane studentessa universitaria, poche sere fa. Si stava
preparando per un esame di storia contemporanea e mi ha riferito di una questione sulla
quale il professore ha suggerito di riflettere. La questione era questa: "Le
esperienze di democrazia diretta di questultimo secolo sono state tutte molto
circoscritte, nello spazio o nel tempo. Domanda: la causa di ciò deve essere ricercata
allesterno di esse, per es. la repressione alla quale sono state sottoposte, o può
essere ricercata una ragione intrinseca che spieghi il loro fallimento?". Mi
chiedeva, la studentessa: "Potrebbe essere la scarsa maturità degli
individui?". E io sono qui a farmi queste domande: "Può essere la scarsa
maturità degli enti territoriali a sconsigliare un reale trasferimento, verso il basso,
dei poteri dello Stato? Chi è il soggetto che può esaminare questa maturità? Come
questa maturità può essere acquisita?"
NOTE
1) lespressione è testualmente ripresa dal noto scambio
epistolare, dellagosto 2001, tra i Ministri Tremonti e Moratti.
2) dal documento conclusivo del convegno ANCI e UPI "Quale Sistema di istruzione e
formazione per i nostri cittadini, quale ruolo degli enti locali nei processi
educativi" del 31 gennaio 2002.
3) dal documento consegnato alle Commissioni Parlamentari in occasione dellaudizione
del 5 dicembre 2002.
4) dal discorso pronunciato in occasione dellinaugurazione dellanno
giudiziario a Roma il 28 gennaio 2003.
5) sentenza 13 gennaio 2004, n.13.
6) art.22, comma 3, della legge 28 dicembre 2001, n.448.
7) disposto con lart.8 della legge 23 luglio 1999, n.124.