Direzione didattica di Pavone Canavese

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30.07.2002


Il booklet del Ministro Moratti
di Aristarco Ammazzacaffè

Non a tutti sarebbe riuscito. Al Ministro Moratti sì. Intendo la classica ciambella col buco. Non quello metafisico di Tremonti, ormai categoria politica universale per significare la creatività sferica in campo economico e finanziario. Qui il riferimento è all'operazione che chiameremo per intenderci "Booklet", attraverso la quale si è fatto pervenire ai cittadini italiani, assieme a quotidiani ad alta tiratura, l'opuscolo "Una scuola per crescere". (La scelta del termine inglese è doverosamente in linea con la scuola delle tre I del nostro - si fa per dire - Premier.)

Infatti la modica cifra di 15 milioni di Euro - tanto sembra costata l'operazione -, impiegata per stampare il booklet che ci rappresenta la riforma che non c'è, è stata prelevata dai fondi della L. 440, che è una legge a sostegno della riforma che c'è: quella dell'autonomia delle scuole.

Ma interessa in questa nota sviluppare qualche considerazione sulla lettera del Ministro, riportata nelle prime pagine dell'opuscolo, essendomi proposto di parlarne bene - del Ministro, intendo - ogni qual volta se ne presenti l'occasione. Primo, per non correre il rischio, come dirigente scolastico, di essere additato o persino denunciato come un tiepido, o addirittura un critico, dall'On. Garagnani di Forza Italia; secondo, per sentirmi dentro il flusso comunicativo e dialogico che il ministro intende sviluppare precipuamente con se stesso per tutto il processo di riforma. Un po' come ha fatto con l'altra brillante operazione "dialogica" del novembre (o dicembre?) scorso: la grande kermesse degli Stati Generali i cui risultati - frutto di un diffuso coinvolgimento democratico - perdurano preziosi nella memoria di tutti i sud-coreani.

Nel merito. Tre mi sembrano essere le parole chiave della lettera: cambiamento, patto, amore. Tra i tre, vince, come sempre, amore; anche perché il Ministro è ricorso ad un supporter internazionale, Erasmo da Rotterdam, una cui massima figura centralmente in quarta di copertina. Bel colpo.

Ma andiamo per ordine.

Cominciamo da "cambiamento". Ricorre nei tre passaggi strategici del primo e ultimo (di fatto) periodo della lettera e di quello centrale.

Il messaggio chiaro è: vogliamo cambiare, con ciò sottintendendo che di cambiamenti in questi ultimi anni, come le scuole ben sanno, se ne sono viste col lanternino.

E si indicano le direzioni del cambiamento: c'è la visione europea della scuola che si intreccia con l'identità nazionale e fa da sfondo alle tradizioni locali. La terna è vincente e la giocheremo sulla ruota di Reggio Calabria.

E si indicano traguardi concreti, tipo: "arricchire le offerte formative (…) offrendo tra l'altro lo studio delle lingue e dell'informatica, stage e tirocinii (…)". E' soltanto un esempio, dice il Ministro. Che qualcuno dovrà pure avvisare - con rispetto - che molti di questi cambiamenti sono già una realtà, neanche più sperimentale, delle nostre scuole e che altri sono già previsti dalla L. 30 sul Riordino dei Cicli. Legge dello Stato che sarebbe entrata in vigore già dal settembre scorso se il ministro avesse deciso di saperlo e ragionarci sù.

Nel citare i cambiamenti il Ministro si è però dimenticato di uno in particolare che lei (o lui? chissà) ha già introdotto: è quello sugli esami di stato. Che, al fine di recuperare affidabilità e rigore, prevedono commissioni costituite da soli docenti delle classi (con buona pace di un minimo di verifica esterna); e le stesse scuole paritarie legalmente riconosciute possono operare in altrettanta completa autogestione. Con un presidente esterno ridotto a notaio.

Della serie: come si difende la qualità della scuola.

E veniamo al "patto". Viene in mente il patto/contratto con gli elettori, ormai storico, prima delle votazione del 13 maggio dell'anno scorso. Con Vespa notaio e maggiordomo e Berlusconi che firma in TV. (Siamo veramente un popolo con un grande stomaco.)

Il Ministro Moratti è sì della famiglia; e quindi alle formule magiche ci crede perché la gente ama crederci. Così almeno si ritiene.

Però è discreta e spiazzante, come i veri manager. Nel mondo dell'istruzione, si sa, il patto/contratto formativo si fa soprattutto tra la scuola (i docenti in primo luogo) e gli studenti. L'obiettivo: coinvolgerli, farli sentire protagonisti, farli diventare autonomi e responsabilizzarli. Il Ministro privilegia invece le famiglie e sembra tener fuori gli studenti. L'idea è strategica ed è scelta centrale, come sappiamo, nel progetto Bertagna alla cui filosofia di fondo si ispira il - diciamo così - "Moratti Change". (Richiamo, per capirci meglio, il Bertagna pensiero su questo punto. I tre percorsi formativi: di base, opzionale obbligatorio - con "percorrenza" anche esterna alla scuola - e facoltativo; destinati questi due ultimi a fare la gioia delle "famiglie tutte bene" di San Giovanni Barra e Ponticelli dell'area napoletana o del quartiere San Paolo di Bari).

Dell'amore si è detto l'essenziale. Una sola domanda. A quando nella scuola la distribuzione (a pagamento) dei baci perugina con bigliettino-involucro recante massime ispirate al tema "amore e scuola"?

Un'ultima annotazione sugli studenti nella lettera (nel senso di come vengono collocati).

E' vero, il Ministro il patto vuole farlo con le famiglie. Ma, sfidando la sintassi e la morfologia della nostra lingua, ha iniziato sì la lettera rivolgendosi a studenti, genitori, docenti, ma è passato, immediatamente dopo, ad un discorso diretto coi soli "giovani studenti di oggi e delle future generazioni" (sic). Non si tratta ovviamente di scarso controllo della forma - impossibile per un ministro dell'istruzione e per giunta dell'università e della ricerca tutte insieme - ma di una vera e propria audacia stilistica che traduce modernamente - anche attraverso qualche gerundio accortamente fuori posto - il linguaggio delle emozioni. E che non sia una considerazione peregrina lo dimostra la riproposizione, indubbiamente felix, della stessa modalità espressiva nella seconda pagina. Dove però gli studenti, evocati ancora direttamente e da soli, sono diventati, oltre sempre a quelli di oggi, "quelli che entreranno nella scuola nei prossimi anni". Doveroso, per questa scelta, un apprezzamento per il nostro ministro. Il quale, accortosi di averla sparata grossa parlando prima di "future generazioni", ha preferito ripiegare su più modesti propositi. Incorrendo probabilmente nelle ire del nostro - si fa sempre per dire - Premier Berlusconi, che, in qualità di presidente studente, avrebbe preferito che il messaggio fosse indirizzato anche ai giovani di tutto il secondo millennio.

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