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Direzione didattica di
Pavone Canavese |
08.04.2004
La classe anagrafica:
che ne dite di archiviarla ?
di Angelo Vita
Da qualche tempo mi
capita di riflettere sulla funzione della scuola e di trovarmi daccordo con concetti
che io stesso ho contrastato energicamente e aprioristicamente, senza preoccuparmi di
validarli. Eppure ho la sensazione che socializzando alla Giampaolo Pansa per
intenderci pensieri indecenti si possa riuscire a rompere quel velo di
verità che incatena, su pensieri incontrovertibili, chi li esplica senza
curarsi troppo della loro fattibilità, praticità e funzionalità.
Col tempo mi sto
persuadendo, sempre più, che la massima donmilaniana secondo la quale la
peggiore ingiustizia è far parti uguali tra disuguali calzi molto bene alla
scuola che abbiamo. Mettere assieme bambini con livelli apprenditivi e strumentali diversi
non funziona, maccorgo che non è proprio quello che alla società e ai ragazzi
necessita. Organizzare la scuola a misura dei livelli cognitivi di ciascuno potrebbe
garantire a tutti il massimo di partecipazione apprenditiva e relazionale. Checché se ne
dica la scuola che abbiamo non è in grado di favorire, con le classi multilivello il
successo formativo dei suoi alunni.
Conformare le
lezioni a classi di alunni con ritmi e tempi apprenditivi giustamente
differenziati non aiuta a migliorare lo status formativo di ciascuno; anzi ne compromette
la fiducia personale incutendo frustrazione, disagio e devianza.
La scuola così come
sè andata evolvendo non risponde più alle esigenze di unutenza variegata. È
deleterio continuare a puntare sulla classe anagrafica anziché sui livelli cognitivi.
Sono oramai troppi gli elementi che ci indicano la vacuità di tale scelta. Le sacche di
disagio apprenditivo presenti nelle classi anagrafiche sono così vistose da spingerci
verso un nuovo modo di fare scuola. Che non è quello che abbiamo. Una scuola dagli
elevati coefficienti relazionali e didattici richiede una riflessione puntuale svincolata,
dunque, dai pregiudizi di quanti associano i livelli alla discriminazione socioculturale.
Daltronde se
non si possiedono determinati prerequisiti - indispensabili allo svolgimento di specifiche
unità didattiche - come si fa a motivare gli alunni al raggiungimento degli obiettivi
previsti dal curricolo scolastico?
Introdurre elementi,
pertanto, di dis-continuità nella scuola di tutti credo ci consenta di conformare gli
obiettivi forrnativi alle reali capacità/possibilità degli alunni che, quasi mai -
specie dalla scuola secondaria di primo grado in poi - coincidono con letà
anagrafica degli studenti. Per garantire una nuova organizzazione scolastica
rispettosa di queste peculiarità - bisogna prendere in balzo la Riforma Moratti laddove
sintroduce il biennio e sfruttare questo spazio per dare vita alle classi aperte in
modo da coinvolgere alunni e docenti in progetti, personalizzati (per la Moratti) e,
individualizzati (per quanto mi riguarda) al fine di elevare interesse e partecipazione in
quegli alunni che vivono forme di frustrazioni apprenditive (dovute a carenze strumentali
non superabili con letà) che preludono alla dispersione scolastica e quindi al
disagio vero e proprio. Considerato che è dovere inderogabile della scuola non
regalare un solo alunno al disagio, appare funzionale allintegrazione ed
al successo formativo ridefinire territorialmente - unorganizzazione
scolastica attenta a dare di più a tutti e a ciascuno.
Questo momento
storico mi ricorda tanto quello del 1934 quando sera andati alla fascistizzazione
della scuola e quindi alla legge che imponeva ai docenti la fedeltà al fascismo. Molti
colleghi dopo avere adempiuto allobbligo del giuramento continuavano liberamente ad
esercitare la loro professione e, come se non, più di prima. Linvito che rivolgo ai
colleghi è di sperimentare a livello territoriale tutte quelle soluzioni che non sono
impedite dalla Riforma e che possono facilitare il successo formativo.
Per esempio che ne dite dellidea di sperimentare le classi maschili e femminili? È
semplice regresso?