03.05.2006
LEP, OSA e
PECUP
Dagli Obiettivi di apprendimento ai “livelli” o standard
di Pasquale D'Avolio
L’ultimo intervento del prof. Bertagna su “Scuola e Didattica” del 15 aprile
2006 “Personalizzazione degli apprendimenti: livelli essenziali di
prestazione o prestazioni minime di apprendimento dei ragazzi?” ribadisce in
maniera chiara e definitiva (stavo per dire piuttosto “ultimativa”, visto lo
scenario prossimo futuro che ci aspetta) l’equivoco tra LEP e OSA che si ritrova
nelle Indicazioni nazionali, opera, si sa, del gruppo facente capo proprio al
prof. Bertagna.
Queste infatti recitano nel frontespizio per i vari gradi di istruzione: alla
fine dell’anno o del biennio “la Scuola ha organizzato, per lo studente,
attività educative e didattiche unitarie che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a
trasformare in competenze personali le seguenti conoscenze e abilità
disciplinari” .
A parere di Bertagna non si tratta di obiettivi cognitivi, riferiti alle
discipline, o di obiettivi affettivi-relazionali, riferiti alla convivenza
civile (le varie educazioni), che l’alunno deve conseguire, bensì di “materiali”
o, come metaforicamente li chiama altrove, di “ingredienti” da utilizzare per
progettare i percorsi formativi “al servizio del massimo sviluppo possibile
degli alunni”. Ritornerò successivamente su come deve intendersi “il massimo
sviluppo possibile” e sulle possibile conseguenze che ne derivano sul piano
della valutazione.
GLI OSA DEVONO ESSERE APPRESI DAGLI ALLIEVI
Intanto che le conoscenze e le abilità non siano le mete ultime dello sviluppo
della personalità dell’alunno siamo d’accordo: questa semmai si manifesta
attraverso le “competenze” o per usare il lessico più appropriato di Bertagna,
“la competenza”, di cui si parlerà dopo.
Ma le competenze si raggiungono proprio attraverso le conoscenze e le abilità e
il processo di istruzione è in questo senso la via attraverso la quale si
realizza la formazione. Lo schema più volte riportato negli scritti di Bertagna
o di Puricelli per cui dalle capacità (natura) si arriva alle competenze (vita)
attraverso le conoscenze e le abilità che costituiscono i materiali delle UA
insieme agli OF (cultura) testimonia che senza conoscenze a abilità non si
costruiscono le UA e non si arriva alle competenze; ne deriva che gli OSA
dovranno essere non solo utilizzati dai docenti ma dovranno essere “appresi” dai
discenti. Che significa infatti che i docenti “usano” (pag. 9) … le abilità? Le
abilità non si usano, si apprendono e quindi non ha senso dire che “gli OSA non
indicano ciò che l’alunno deve sapere e saper fare”.
Gli obiettivi specifici di apprendimento di cui parla l’art. 8 del DPR 275 non
sono altro che le conoscenze e le abilità che gli alunni dovrebbero possedere:
essi certamente non restano a sé stanti e quindi non esauriscono lo scopo della
formazione, come si è già detto, tanto è vero che già nella norma si parla di
“obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze”, che dovrebbero
costituire il fine ultimo dell’istruzione e della formazione. Proprio il
richiamo alla CM 84 e alla definizione di competenza ivi enunciata avrebbe
dovuto chiarire questo concetto.
La competenza, vi si dice, “è l’agire personale di ciascuno, basato sulle
conoscenze e abilità acquisite” dall’alunno e, io aggiungo, non semplicemente
“usate” dal docente. “La competenza è … un insieme integrato di conoscenze e di
abilità che si sono personalizzate ed armonizzate .. dentro di noi” (pag. 13)
In sostanza gli OSA devono essere appresi e non possono essere semplicemente gli
ingredienti “usati” dal docente. Sempre nel modello di “scheda” inserito nella
C-M. 84 si parla di “apprendimenti attesi”. E’ vero che tali modelli sono
contestati dal gruppo dell’Università di Bergamo, in particolare Puricelli, ma è
pur sempre indubitabile che la Scuola non può non valutare le conoscenze e le
abilità, cioè gli OSA, che “ci si attende” vengano acquisti dagli alunni,
seppure a vari livelli .
Gli OSA pertanto non possono essere dei LEP e l’aver scambiato gli uni con gli
altri è alla base di tutti i fraintendimenti che ne sono derivati anche sul
piano della valutazione.
Che gli OSA di cui all’art. 8 vogliano significare i “curricoli” appare evidente
da quanto espresso nell’art. 13 del DPR 275 laddove si afferma “Fino alla
definizione dei curricoli di cui all'articolo 8….”
UNA ESEMPLIFICAZIONE DEI L.E.P.
I LEP sono piuttosto quelli che le Indicazioni chiamano “Vincoli e risorse” :
organico, orario ed altro. Vi farei rientrare tutte le “norme generali” che nel
corso degli anni hanno riguardato il calendario scolastico nazionale, il numero
minimo di giorni, le regole per la formazione delle classi e la assegnazione dei
docenti alle classi, il sostegno agli alunni, le dotazioni minime informatiche,
le biblioteche e i laboratori ed altre norme “vincolanti” (perché oggi in
effetti non lo sono) riguardanti la formazione dei docenti, i progetti di
educazione alla salute, la continuità e l’orientamento ecc. Ecco cosa sono i LEP,a
mio parere, ma non solo mio. Così come nella sanità, dove tuttavia esistono
“protocolli” o degli indicatori che vanno tenuti presenti al fine di giudicare
se l’azione di un Ospedale è più o meno adeguata, ma non esistono “impegni” per
il malato, salvo il dovere di non contrastare l’azione del medico con
comportamenti difformi. Nulla a che vedere con la Scuola, dove l’alunno è non
solo oggetto ma anche soggetto della sua formazione integrale che deve
dimostrare di aver raggiunto e su cui dovrà essere valutato.
Tralascio di avventurarmi nella disamina degli elenchi degli OSA, giudicati
dallo stesso Bertagna in maniera non entusiasmante, ma non posso non rilevare
che le “conoscenze” in qualche modo resuscitano i programmi che pure si volevano
abolire, mentre per le “abilità” penso non fosse il caso di essere così
analitici. Abbiamo alle spalle montagne di documenti in cui vengono enunciate le
“abilità” disciplinari o come vengono piuttosto chiamati i “sillabus”.
OSA E “PROFILO IN USCITA”
A me sembra, anche se sono certo che il Prof. Bertagna non approverà, che i veri
OSA si ritrovino nel Profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) che,
sempre a mio parere, potrebbe essere integrato con il Documento dei Saggi del
1997/98. Mentre quest’ultimo puntava più sui “contenuti” e sui “saperi”, il
PECUP di Bertagna, bisogna riconoscerlo, ha una curvatura maggiormente attenta
alla formazione. Non vedrei male un lavoro di riscrittura a “due” mani e non a
una sola, come è purtroppo avvenuto in questi anni del Profilo.
Mi chiedo che valore dare al Profilo se non intenderlo come l’enunciazione delle
mete formative da raggiungere alla fine di un ciclo, mete che comprendono
aspetti affettivi, relazionali e cognitivi. Sotto questo aspetto il “Profilo” è
senz’altro uno dei documenti più importanti tra tutti i documenti della Riforma,
ma su cui ci si è poco soffermati. Discutibile, ma fondamentale. Personalmente
avrei visto un paragrafo espressamente dedicato anche agli aspetti “metacognitivi”,
che comunque sono presenti implicitamente in più parti.
E’ qui nel PECUP che compare in maniera chiara il concetto di competenza, di cui
Bertagna parla diffusamente nelle “Raccomandazioni” ; salvo che qui mi permetto
di notare come la “competenza” va declinata nelle sue varie accezioni, per cui
parlerei piuttosto di “competenze”, cosa che fra l’altro è richiesto sia dal più
volte citato art. 8 del DPR sia dai numerosi documenti emanati in questi ultimi
anni a partire dal nuovo Esame di Stato.
Se si esamina la parte del PECUP riferita agli “strumenti culturali” possiamo
scorgere quelli che io definirei gli “obiettivi specifici di apprendimento”
riferiti questa volta alle discipline o agli ambiti culturali, da cui si possono
ricavare le macrocompetenze. E’ ciò che a livello europeo vengono definite la
literacy o la numeracy o in altri modi. Purtroppo mancano a livello
internazionale esempi di competenze emotive e relazionali,su cui invece il PECUP
si sofferma adeguatamente nella prima parte.
Naturalmente il Profilo non va visto come qualcosa che si realizza semplicemente
alla fine di un percorso; esso va articolato e sviluppato ai vari livelli e
possibilmente per “periodi didattici”. Questo compito può essere lasciato alle
Scuole e ai team di docenti. In questo modo si recupera anche il “curricolo” che
invece si vorrebbe abolire. Certo che il curricolo e ciò che concettualmente è
legato al curricolo (nuclei fondanti, epistemologia delle discipline) va
integrato con gli “obiettivi formativi” utilizzando le “valenze formative” delle
discipline senza inventarsi degli OSA appositi, come avviene nelle Indicazioni
con le “educazioni”, ma adattando davvero le Unità didattiche o i “moduli” ai
principi delle “unità di apprendimento” . Sempre tornando all’art. 13 del DPR
275 è importante quanto è detto: “Fino alla definizione dei curricoli di cui
all'articolo 8 si applicano gli attuali ordinamenti degli studi e relative
sperimentazioni, nel cui ambito le istituzioni scolastiche possono contribuire a
definire gli obiettivi specifici di apprendimento di cui all'articolo 8
riorganizzando i propri percorsi didattici secondo modalità fondate su obiettivi
formativi e competenze.” In sostanza si tratta di trovare una sintesi, come ho
più volte sostenuto, tra programmazione curricolare e PSP, basati sulle UDA. Ma
qui il discorso si allarga e ho avuto modo già in altre sedi di contestare
questa presunta inconciliabilità tra UD e UA, tra OD e OF.
In sostanza gli OSA, quelli delle Indicazioni o del PECUP, non possono non
essere intesi come “obiettivi di apprendimento”, nel senso che gli alunni devono
acquisirli e non devono essere assolutamente confusi con i LEP
Che lo Stato debba indicare quali “saperi” e quali “competenze” dovranno essere
acquisite dagli alunni non è affatto un attentato alla “libertà di insegnamento”
e non contrasta con il principio di sussidiarietà e soprattutto non è sintomo di
statalismo “sansimoniano”, come sostiene Bertagna. Certo che al centro deve
esserci l’alunno e la sua formazione, ma l’istruzione non è semplicemente un
diritto-dovere della persona, è anche un diritto “sociale” e “civile”, nel senso
che lo Stato deve garantire che tutti possano godere di quei diritti di
cittadinanza che l’istruzione è in grado di assicurare e possibilmente in
maniera uniforme. Ma occorre che certi traguardi vengano raggiunti, tenendo
conto certo delle caratteristiche individuali, delle capacità dei singoli, ma
non accontentandosi del “massimo sviluppo possibile” degli allievi.
L’acquisizione della “competenza” di cui si parlava prima presuppone
l’acquisizione di “competenze” di base enunciate nel Profilo e che abbisognano
del possesso, a livelli diversificati se si vuole, ma certamente del “possesso”
proprio di quegli OSA che Bertagna vorrebbe invece considerare dei LEP.
Il PECUP, è scritto, “rappresenta ciò che un ragazzo di 14 anni dovrebbe sapere
e fare per essere l’uomo e il cittadino che è giusto attendersi da lui al
termine del I ciclo” E’ vero che l’uso del condizionale e quell’”attendersi”
attenuano il dovere dell’alunno, il quale al termine del ciclo, ma anche nelle
fasi precedenti (proprio per quella processualità e quel gradualismo del
Profilo), deve dimostrare di aver raggiunto tale competenza se si vuole che il
processo educativo abbia avuto il suo “giusto” completamento. In caso contrario
la stessa Legge 53 prevede il non passaggio alle classi successive o la non
concessione del diploma. Non è vero quindi che la legge non preveda sanzioni,
come dice Bertagna, tanto è vero che sono stati soppressi anche alcuni articoli
della L. 517/77 troppo “permissivi”
DAGLI OBIETTIVI AI LIVELLI O STANDARD
Il problema è piuttosto un altro, vale a dire: come si stabilisce il livello
accettabile del padronanza di tali competenze? Quando ad esempio possiamo dire
che mancano le competenze oppure che esse sono “elementari” e pur tuttavia
presenti?
Qui, a mio parere, interviene un secondo equivoco, che consiste nel confondere
gli “obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze” con gli
standard o i livelli accettabili di apprendimento da parte degli alunni.
Dice Bertagna “Se le Indicazioni nazionali avessero avuto la pretesa di indicare
standard e livelli di apprendimento per gli allievi avrebbero dovuto … precisare
per ciascun obiettivo, anche gli standard e i livelli minimi o medi di
padronanza attesi per tutti gli allievi”. Ora è evidente che altro sono gli
“obiettivi”, altro sono gli standard minimi; questi ultimi non possono che
essere stabiliti dai docenti, seppur in maniera non arbitaria, come si dirà
dopo. Trovo pertanto che la cancellazione nell’ultima versione dell’art. 8 del
DPR 275 della espressione “standard di prestazione degli apprendimenti degli
allievi” sia stata giusta, perché in questo modo gli obiettivi si sarebbero
trasformati in qualcosa d’altro e si sa che è pericoloso fissare per legge degli
“standard di apprendimento” E’ evidente che, una volta stabiliti tali livelli, è
possibile, anzi direi doveroso, che i docenti non promuovano un alunno che si
dovesse collocare al di sotto di tale livello. E questo non ha nulla a che
vedere con una specie di letto di Procuste, come argomenta Bertagna. Non si
tratta di “piegare (sic!) la persona di ogni allievo al raggiungimento degli
standard stabiliti” o “strutturala sul modello delle prestazioni attese dallo
Stato”, ma semplicemente di “valutare” in senso positivo o non positivo un
alunno. Altrimenti in cosa consisterebbe la valutazione sommativa, che non
possiamo certo eliminare dalla Scuola? Il fatto che un alunno abbia raggiunto
“il massimo sviluppo possibile” per lui, date le sue capacità, ci induce a
ritenere che abbia conseguito le mete formative indicate dal PECUP? E se non le
ha raggiunte, la Scuola ha il diritto-dovere di non certificare la competenza.
Nulla da eccepire che sia la scuola, e i docenti che hanno la “responsabilità
professionale di identificare i livelli accettabili di apprendimento che devono
essere raggiunti dal ragazzo”. Eppure lo stesso Bertagna avverte la necessità
che ci sia un confronto e quindi che si possano identificare dei livelli
essenziali di prestazione. Questo confronto deve essere bidirezionale ed quello
che bisogna chiedere all’INVALSI, per cui non c’è contrasto tra valutazione
statistica e valutazione “professionale”, ma entrambe servono allo stesso scopo:
impedire la frammentazione e la polarizzazione del nostro sistema di istruzione
e nel contempo riconoscere le “differenze” che non potranno mai essere
cancellate.
Tutto questo discorso non mette in discussione l’esigenza di una scuola al
servizio dell’alunno, che sappia “personalizzare” i percorsi, che non si fermi
alle conoscenze e alle abilità e quindi agli OSA, che pure devono essere dettati
dal centro, ma miri allo sviluppo integrale della persona. Una scuola che
richiede docenti di ben altre caratteristiche rispetto alla maggior parte di
quelli in servizio. Ma fino a quando la formazione e l’aggiornamento sono un
optional ………
P.S.
Ho letto un intervento di Iosa che mi ha un po’ colpito per la “supponenza”
abituale dell’autore. A parte le espressioni offensive sulle cosiddette “mosche
cocchiere di sinistra” che, a suo parere volevano “sinistrare” le parole della
Riforma, Iosa liquida come “pedagogia del nulla” parole come tutor, portfolio,
OSA. Bel segnale di dialogo e di confronto! A parte che di tutor e portfolio c’è
ampio riscontro nella letteratura pedagogica di questi ultimi anni, meraviglia
che Iosa non si sia letto l’art. 8 del DPR 275, che se non sbaglio ha
contribuito a far scrivere!
Non si annunciano tempi sereni se si ricostituisce al MIUR lo staff di
Berlinguer