24.11.2003
... ma la scuola si ritira
?
Proposte e perplessità degli Enti Locali
intervento svolto da Massimo Nutini
a Milano in occasione di un incontro sul primo decreto attuativo della legge di
riforma n. 53
Presenti il Prof.
Giuseppe Bertagna, Direttore CISEM
e il Dott. Massimo Nutini, Commissione scuola Anci nazionale
I Comuni e le riforme del sistema distruzione
Non vorrei che qualcuno ritenesse che i Comuni debbano essere
coinvolti nella discussione sui modelli organizzativi del servizio scolastico solo in
relazione alle questioni sociali o alle competenze loro assegnate dalla normativa
obsoleta, per quanto in gran parte vigente, che definisce le funzioni relative alla
somministrazione delle strutture e dei servizi di supporto e di assistenza scolastica.
Ancora di meno vorrei che si pensasse ai Comuni come a enti che potrebbero docilmente
subentrare in spazi e servizi che qualcun altro ha pensato, e attribuito loro, in modo
implicito, senza un aperto confronto sulle prospettive generali, sugli obiettivi e sulle
risorse.
Si tratta di questioni delle quali certo dovremo discutere, sicuramente anche in relazione
ai modelli organizzativi, ma sono qui per affermare che gli enti locali hanno da dire la
loro su tutto ciò che sta capitando alla scuola nel nostro paese e hanno da esprimere
preoccupazioni e proposte confrontandosi con limpianto complessivo, e non solo con
parti di esso, dellintera riforma del sistema educativo distruzione e
formazione.
Sarebbe un grave errore ritenere questa una presunzione: pensare che ci siamo montati la
testa a seguito del nuovo ruolo assegnato dalle norme sul decentramento amministrativo,
prima, e dal nuovo Titolo V della Costituzione, poi.
La storia della scuola in Italia testimonia che gli enti locali sono, da sempre, partecipi
alle trasformazioni del sistema educativo e, non di rado, animatori di innovazioni e
riforme di questo sistema.
Mi pare utile ricordare, in questa sede, due esperienze che introducono, in realtà, il
contributo che intendo portare con questo intervento.
Nella seconda metà degli anni sessanta mi sono ritrovato a
discutere con il Sindaco di un piccolo comune sulla necessità di organizzare un servizio
di doposcuola comunale, per la scuola elementare.
Si voleva andare incontro alle richieste di tanti cittadini, che avevano bisogno di
lasciare i figli a scuola anche di pomeriggio.
Espletate le procedure necessarie per lattivazione del servizio, si presentò il
problema di definire quali attività dovevano essere svolte durante le ore pomeridiane. Si
decise, semplicemente, di chiedere alla scuola cosa era meglio per quei ragazzi e si
organizzò, sullargomento, un incontro con il direttore didattico e con le
insegnanti del plesso.
Che cosa ci fu suggerito ? Vi lascio un attimo per pensarci
Ci venne detto che questi ragazzi, nel pomeriggio, dovevano fare i compiti.
Dovevano fare i compiti.
Nel primo incontro con le giovani insegnanti comunali, assunte a tempo determinato per il
doposcuola, dicemmo che il loro compito era
far fare i compiti.
Non era ancora trascorso un mese dallinizio delle attività che, un sabato mattina,
tutte le insegnanti del doposcuola piombarono in Comune chiedendo un incontro immediato
con il Sindaco e con lAssessore alla pubblica istruzione.
Che cosa era accaduto per avere bisogno un intervento così urgente ?
Le giovani insegnanti non volevano far fare i compiti!
Ed erano venute a dire che:
"Non tutti ne hanno necessità, molti di loro hanno bisogno di altre cose, di altre
attività
sono di dieci classi diverse, hanno compiti diversi; ne risulta una
situazione frustrante e ingestibile, per noi e per i ragazzi
Gianni e Manuela sono
bravissimi a dipingere, con loro si potrebbe fare
il nonno di Paolo potrebbe venire
a raccontare la sua storia avventurosa
Gennaro, che è una vera tragedia dal punto
di vista strettamente scolastico, è sempre allegro e simpatico, potrebbe recitare e,
inoltre, sa smontare la bicicletta
le "Maestre" del mattino certo non si
sono accorte di queste potenzialità e attitudini, continuano a riempirlo di compiti,
qualcuno dati in più, per punizione
perché non provare a valorizzarlo e a
motivarlo a partire dai suoi interessi
vogliamo parlare con il Direttore!".
Quante esperienze simili a questa sono state vissute in Italia in
quegli anni? E quante volte, a partire dalla questione dei compiti, ci siamo trovati a
discutere della scuola tutta intera
quasi che sotto a quella questione "di
dettaglio" ci fosse un iceberg, enorme, sommerso?
In Toscana ce ne sono state sicuramente tante. Forse non è un caso se quel signore con i
capelli ricci, di una famosa filastrocca di Gianni Rodari, era proprio di Scandicci, e
nemmeno se Clotilde Pontecorvo ha presentato, tanti anni or sono, uno studio sul primo
tempo pieno del Comune di Bagno a Ripoli.
In quel Comune, proprio per superare i limiti del doposcuola, fu sperimentata una
pionieristica scuola a tempo integrato che poi confluì tra le prime esperienze di tempo
pieno, per le quali la legge 820/1971 aveva previsto le prime possibilità di
realizzazione.
Nelle stanze del Comune, il personale della scuola e quello dellente locale,
e
quante assemblee con i genitori!, progettavano e riprogettavano, anno per anno, il modello
organizzativo del servizio scolastico.
Lesperienza delle sezioni "ponte" tra nido e materna
Qualcosa di simile è accaduto una decina danni più tardi
quando, per rispondere alle pressioni delle famiglie che chiedevano una maggiore risposta
alla domanda di asilo nido, abbiamo pensato di inserire bambini di due anni e mezzo nelle
sezioni dei tre anni della materna.
Eh sì! Proprio lanticipo, quello che stiamo tanto criticando in questi giorni, per
come è previsto dalla legge 53. Proprio lanticipo, labbiamo sperimentato
prima, e da tanto tempo, nelle scuole comunali. Ma come lo abbiamo fatto?
Le sezioni "ponte" come le chiamano al Comune di Roma, o "primavera"
come le chiamano in Emilia Romagna, o "Ni-Ma", come le chiamiamo nel Comune di
Prato, mettono insieme una quindicina di utenti in età di materna con una decina di
utenti in età di nido.
Il personale assegnato è pari a due educatrici di nido e due insegnanti di materna, dove
gli utenti in età di nido effettuano un orario anche pomeridiano, e ad una educatrice di
nido e due insegnanti di materna, nei casi in cui gli utenti in età di nido effettuano
solo un orario mattutino.
Il rapporto utenti/educatori è rispettoso, per gli utenti di età inferiore ai tre anni,
agli standard definiti dalle normative regionali in materia. Gli spazi e gli arredi sono
riprogettati, anche per tenere conto delle necessità degli utenti più piccoli. Il piano
dellofferta formativa è rielaborato in relazione alle caratteristiche di questa
nuova fascia dutenza. Non si attivano sezioni di questo tipo, che sottraggono di
fatto posti alla scuola dellinfanzia, in presenza di liste dattesa per tale
servizio.
Si tratta di poche, limitate, esperienze in quanto, comè facile intuire, la
garanzia di adeguati standard qualitativi comporta costi di difficile sostenibilità per
gli enti locali.
Vedremo, più avanti, che lo Stato non ha previsto alcuna risorsa aggiuntiva per
lattuazione dellanticipo nella scuola dellinfanzia, ma, prima di
cambiare argomento, non voglio tralasciare un cenno ad uno dei principali motivi per il
quale i Comuni, che hanno avviato questa esperienza, resistono alle difficoltà economiche
che ne derivano, e continuano a portarla avanti.
Nelle sezioni "ponte" tra nido e materna avviene un confronto tra due diverse
professionalità educative, quella delleducatrice e quella dellinsegnante, che
rappresenta unopportunità unica di formazione in servizio: lattenzione ai
rapporti con le famiglie ed al cosiddetto curricolo implicito delleducatrice si
confronta, e a volte si scontra, con le competenze organizzative e di programmazione
dellinsegnante.
È un confronto dal quale, ambedue le figure, ne escono arricchite e trasformate. Queste
sezioni rappresentano, quindi, veri e propri laboratori della continuità nei servizi da
zero a sei anni. A tutte le educatrici e le insegnanti viene offerta la possibilità di
svolgere tale esperienza.
Vorrei sottolineare, a proposito di modelli organizzativi, che le modalità di
utilizzazione del personale educativo sono lasciate allautonoma decisione di ogni
singola scuola. Abbiamo conosciuto esperienze nelle quali tutte le insegnanti ruotavano
nei turni indipendentemente dalla presenza degli alunni di riferimento e altre dove le
educatrici e le insegnanti costruivano i loro turni per rimanere nelle fasce di presenza
degli alunni di riferimento.
Ciò di cui di cui vi sto parlando ha nomi: autonomia e collegialità. Solo che il
concetto, in questo caso, è applicato addirittura al singolo plesso, alla singola scuola,
che è poi tenuta a verificare e a relazionare sul modello adottato.
Vi invito a pensare alla differenza tra questo modello di autonomia, sperimentato dai
comuni nei servizi alla prima e seconda infanzia, e un modello che preveda scelte operate,
nellambito di un intero istituto, sulla base di modelli organizzativi suggeriti
centralmente.
Vi invito a pensare a quanta diversità può esserci tra unautonomia, come quella a
cui ho fatto cenno, esercitata in un quadro di risorse, umane, strumentali e finanziarie
certe e unautonomia proclamata senza alcuna certezza sulle risorse disponibili.
Vi invito a riflettere, infine, prendendo spunto da questa breve narrazione, sui motivi
per i quali è universalmente riconosciuto il contributo che i Comuni hanno dato per la
crescita dellattenzione ai temi delleducazione infantile e sui motivi per i
quali lesperienza nei servizi per linfanzia dei Comuni italiani costituisce un
punto di riferimento per le riflessioni che si svolgono nella comunità scientifica
internazionale.
Le risorse per lanticipo nella primaria
La relazione tecnica che accompagna, nel suo iter presso la
Conferenza Unificata e presso le Commissioni parlamentari competenti, la bozza del primo
decreto attuativo della legge 53, relativo alla scuola dellinfanzia e al primo ciclo
dellistruzione, si dilunga per dimostrare che il decreto in questione non determina
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che, di conseguenza, non è necessario il
preliminare e propedeutico provvedimento legislativo che stanzi le occorrenti risorse
finanziarie, per come obbligatoriamente previsto, in presenza di maggiori oneri, dal comma
8 dellart. 7 della stessa legge 53.
Intendo dimostrare, in questa sede, invece, che la mancanza di ulteriori risorse
finanziarie renderà impraticabile lattuazione del decreto sia nella sua versione
ufficiale attuale (cioè larticolato, per come approvato in via preliminare dal
Consiglio dei Ministri del 12 settembre scorso) sia, e ancor di più, nella sua versione
ufficiosa (quello che si impara, cioè, dalle parti illustrative che, in modo poco
ortodosso, sono state inserite nel testo disponibile sul sito istituzionale del Miur).
Parliamo, per adesso, solo dellanticipo. Le risorse stanziate per tale intervento
sono stabilite dallart.7, comma 5, della 53 in 12.731 migliaia di euro per l'anno
2003, 45.829 migliaia di euro per l'anno 2004 e 66.198 migliaia di euro a decorrere
dall'anno 2005. Spalmando sugli anni scolastici tali somme (il gioco degli otto dodicesimi
e dei quattro dodicesimi) si ricava che le risorse per gli anni scolastici 2003/2004 e
2004/2005 sono, rispettivamente, 43.284 migliaia di euro e 59.408 migliaia di euro.
Tali somme, in realtà, sarebbero destinate dalla legge non solo al finanziamento
dellanticipo nella scuola primaria, ma anche a quello della scuola
dellinfanzia. Su questo torneremo più avanti. Proseguiamo, per adesso, con i conti,
prendendo per buona la scelta, in realtà molto discutibile, che è stata operata nel non
riservare alcuna risorsa per lanticipo nella scuola dellinfanzia.
La circolare con la quale sono state riaperte le iscrizioni per attuare lanticipo
nellelementare nellanno scolastico 2002/2003, la n.37 del 11 aprile 2003,
porta in allegato una tabella dalla quale si evince che, con la somma destinata a tale
anno si è resa disponibile una dotazione aggiuntiva di 1472 posti.
Applicando gli stessi parametri si può calcolare che con la somma destinata per
lanno scolastico 2003/2004 si potrà attivare una dotazione aggiuntiva di 2020
posti.
I potenziali utenti dellanticipo erano, nellanno scolastico in corso, circa
87.000. Hanno utilizzato tale opportunità in circa 23.000; poco più del 25%. Ipotizzando
lestensione massima dellanticipo (i nati fino ad aprile) abbiamo che
potenziali utenti dellanticipo saranno, per lanno scolastico 2003/2004, circa
175.000.
Quale percentuale di adesione dobbiamo ipotizzare, per il prossimo anno scolastico? Non
possiamo certo basarci sul numero degli utenti che si sono espressi in tal senso nella
prima attuazione della legge. Sappiamo tutti che le iscrizioni sono state riaperte in
fretta dal 18 al 30 aprile, periodo nel quale le scuole sono state aperte, tra vacanze di
Pasqua, 25 aprile e primo maggio, solo due giorni!
Forse non possiamo neppure basarci sui sondaggi di gradimento resi noti prima
dellapprovazione della legge, che rilevavano un notevole gradimento di tale
opportunità.
Utilizziamo un dato medio: ipotizziamo solo il 50% degli aventi diritto. Una percentuale
inferiore, considerata la dovuta sottrazione della parte di utenti che già anticipava con
il sistema della primine, significherebbe unoggettiva e pesante smentita
dellinteresse delle famiglie per tale modificazione ordinamentale.
Ebbene, considerando che per accogliere i 23.000 utenti anticipatori dellanno in
corso sono stati necessari circa 1230 posti dorganico (risulta, infatti, che circa
240 posti, dei 1472 disponibili, sono residuati ed utilizzati per la generalizzazione
dellinglese), si può facilmente calcolare che per i circa 57.000 utenti aggiuntivi
ipotizzabili per il prossimo anno scolastico (circa 80.000 meno i circa 23.000 che già
hanno liberato posti anticipando nellanno precedente) sarebbero necessari ben 3.000
posti mentre, come abbiamo appena visto, le risorse stanziante ne possono finanziarne solo
2020.
Voglio ancora sottolineare che il ragionamento, puramente matematico, che ho appena svolto
comporta una stima al ribasso, in quanto non tiene conto di alcuni fattori che quasi
certamente provocheranno una lievitazione nella necessità di organico in incremento.
Il primo di questi fattori è la buona probabilità che ladesione allanticipo
sia ben più alta della percentuale qui ipotizzata.
Il secondo fattore è lesponenzialità delle esigenze di organico in relazione
allincremento dellutenza. Credo risulti a tutti evidente che le prime migliaia
di utenti in aggiunta hanno maggiore possibilità di trovare posti nel completamento del
numero massimo degli alunni per classe. Con laumentare del numero, invece, la
probabilità che risulti necessario lo sdoppiamento di alcune classi diviene sempre più
alta.
Il terzo fattore è la certezza del diritto. Vi invito a chiedervi cosa potrebbe accadere
se tutti gli utenti cui viene offerta la possibilità di anticipare di un anno decidessero
di avvalersi di tale opzione? Come si potrebbe dir loro, a un certo punto, che i posti
sono finiti? Come proporre un anno dattesa per lesercizio di un "diritto
dovere legislativamente sanzionato"?
Visti questi semplici ragionamenti risulta molto facile azzardare
una previsione.
Non ci sarà, per il prossimo anno scolastico, la possibilità di concedere la facoltà di
anticipo delliscrizione per tutti i nati nel periodo gennaio-aprile 1999. Ovvero, se
ci sarà una disposizione in tal senso, si dovrà procedere a finanziare, con un
provvedimento successivo, ulteriore ed urgente, un aggiuntivo incremento degli organici.
Da più parti è stato suggerito al Ministro di programmare una gradualità
nellattuazione del provvedimento di cui stiamo trattando.
Sarebbe possibile in questo modo realizzare quel coinvolgimento dei protagonisti
principali del sistema, che risulta tanto enfatizzato quanto poco praticato.
Purtroppo, gli attuali responsabili del Ministero (si vedano le dichiarazioni del
sottosegretario Aprea qui a Milano, proprio pochi giorni fa, che va in giro a dire che al
decreto non sarà aggiunta una virgola e che già è stata prenotata una Gazzetta
Ufficiale di metà gennaio per la pubblicazione) preferiscono fare il gioco degli annunci
trionfalistici, salvo poi adottare provvedimenti affrettati e "tampone", come è
avvenuto per i due decreti estivi dei progetti nazionali di sperimentazione, pur di non
prendere atto che le difficoltà che le loro proposte incontrano sono segno
delloggettiva necessità di un maggiore approfondimento e non frutto di un oscuro
complotto ordito da chissà chi.
Preferiscono, come vedremo poco più avanti, delegare a provvedimenti amministrativi (DM e circolari) alcune scelte fondamentali che invece dovrebbero essere operate con decreti legislativi. Pare che in questo modo si riesca a confondere le idee sia ai partiti di opposizione sia a quelli di maggioranza, Ministro Tremonti compreso.
Le risorse per gli altri interventi imprescindibili per lattuazione della riforma
Oltre allinsufficienza delle risorse per gli organici,
dobbiamo registrare la totale assenza di previsioni finanziarie, in alcuni casi, e
linconsistenza del piano programmatico finanziario presentato ai sensi
dellart.1, comma 3, della legge 53, in altri casi.
Abbiamo già visto come non si intenda, e come risulti impossibile, destinare alla scuola
dellinfanzia alcuna parte delle somme finalizzate allanticipo. In relazione a
questa scelta, non regge la motivazione secondo la quale nella scuola dellinfanzia
dovrebbe avvenire un semplice scorrimento di utenti: tanti ne entrano e tanti ne escono,
in quanto anticipatori per la primaria.
Questo ragionamento, peraltro discutibile, non tiene conto del fatto che si è sempre
ritenuto necessario, in relazione allanticipo per linfanzia, sia una riduzione
del numero di alunni nelle sezioni che accoglieranno i più piccoli sia
lintroduzione di specifiche professionalità.
Come sarà possibile realizzare ciò, senza un centesimo di euro ?
Oltre a ciò non è previsto alcun trasferimento aggiuntivo a favore dei comuni, per gli
arredi, i servizi di supporto, i libri di testo, etc. E i finanziamenti per
ledilizia si mantengono su cifre al di sotto della spesa storica sostenuta dallo
Stato con i piani triennali della legge 23/96, unica norma in Italia specificamente
destinata alla qualificazione del patrimonio di edilizia scolastica.
Si legge, nel piano finanziario, che tali interventi sarebbero di competenza esclusiva dei
comuni e delle province; si afferma che gli interventi dello Stato devono essere intesi
unicamente ad adiuvandum.
Unaffermazione del genere rappresenta una vera provocazione nei confronti degli enti
locali. Non stiamo parlando, infatti, del mantenimento del sistema come attualmente
organizzato. Siamo di fronte a modifiche ordinamentali che impongono la disponibilità di
un numero maggiore di aule, di arredi, di beni, di servizi
, che implicano spese
ingenti. Queste spese aggiuntive e straordinarie devono essere finanziate dallo Stato.
Mancano poi le risorse per concretizzare la disposizione, dettata dallart.2 della
legge 53, secondo la quale deve essere assicurata la generalizzazione dellofferta
formativa e la possibilità di frequenza alla scuola dellinfanzia. Anche in questo
caso, nella bozza di decreto attuativo, altro non è rintracciabile se non un rinvio ai
finanziamenti iscritti annualmente nelle legge finanziaria e alla compatibilità con la
finanza pubblica. Senza alcun termine, senza alcuna scadenza. Non cè un impegno
dello Stato a raggiungere tale obiettivo in un periodo di tempo certo e dichiarato.
Stesso destino è riservato praticamente a tutte le previsioni della legge. Una strana
catena di provvedimenti
che non provvedono: la legge delega che altro non finanzia
(e, come abbiamo visto in modo insufficiente) se non lanticipo; un piano finanziario
indefinito nel tempo e indeterminato nelle cifre; i decreti legislativi delegati che, se
il buon dì si vede dal mattino, altro non faranno che rinviare a successivi provvedimenti
amministrativi. Il tutto subordinato prioritariamente alle compatibilità finanziarie.
Il rompicapo del tempo scuola e del tempo mensa
Si discute molto, in questi giorni, sulla questione del tempo scuola
possibile con quanto disposto dalla bozza di decreto e della questione di chi svolgerà
lassistenza agli alunni durante la consumazione del pasto.
Non sono pochi i commentatori che leggono nel decreto la cancellazione di ogni
possibilità di un tempo superiore alle ore nello stesso indicate e la cancellazione della
presenza obbligatoria degli insegnanti nel tempo dedicato alla mensa.
Il Ministero smentisce in pubblici comunicati e ha anche inserito, scelta originale e non
ordinaria per una bozza di decreto, degli specchietti illustrativi e interpretativi lungo
larticolato pubblicato sul sito ufficiale.
La Conferenza Unificata e le Commissione parlamentari competenti hanno ricevuto, invece,
una bozza senza i commenti con allegate due relazioni, una illustrativa e una tecnica, i
cui contenuti si discostano dai commenti contenuti negli specchietti diffusi tramite
internet.
Non voglio qui dilungarmi sulle questioni di metodo (troppe ce ne sarebbero da dire!);
voglio pronunciare, senza timore di smentita, tre affermazioni:
Non voglio dire con questo che non è possibile, magari per i primi anni, che venga assegnato, pur sempre nei limiti delle disponibilità finanziarie, un organico per garantire le attività appena elencate. Voglio dire che non si intende garantire per legge il diritto delle famiglie di avere un servizio corrispondente alle loro richieste. Si vuole demandare a provvedimenti amministrativi successivi leventuale "concessione" di tali servizi. Si vuole, in sostanza, far dipendere interamente dagli equilibri politici, allinterno della maggioranza e tra maggioranza e opposizione, ai rapporti di forza con i sindacati, alla misurazione della pressione delle famiglie, quello che invece dovrebbe essere assicurato da una norma di carattere generale.
In questo modo si crea unoggettiva situazione dincertezza che penalizza le famiglie che dovranno, di anno in anno, studiare la legge finanziaria e le circolari ministeriali per capire quale e quanta scuola potranno avere i loro figli.
In questo modo si uccide lautonomia degli istituti scolastici: Quale autonomia senza alcuna certezza di risorse? E quale progettualità nellelaborazione dei modelli organizzativi e didattici potrà mai essere esercitata?
In questo modo si mina alla base ogni proficua relazione tra scuole ed enti locali, sia per la costruzione di un sistema integrato nel quale le risorse e gli interventi, ma anche la progettualità e le idee, di ogni soggetto interagiscono nellinteresse comune, sia per la stessa razionalizzazione nelluso delle risorse che unicamente da una programmazione locale dei servizi può essere realizzata.
Prima di illustrare, conclusivamente, le proposte dellAnci,
vorrei soffermarmi un attimo sui contenuti di alcuni specchietti esplicativi che il Miur
ha inserito nel decreto.
In tali illustrazioni si usano due argomenti per rassicurare le famiglie, in relazione al
tempo scuola.
Il primo argomento è la vigenza di due norme: lart. 131, comma 7, del Testo Unico
dellistruzione, il quale stabilisce che nellorario di lavoro dei docenti è
compresa lassistenza educativa svolta nel tempo dedicato alla mensa; lart. 26,
comma 10, del CCNL ultimo, secondo il quale il servizio di mensa rientra a tutti gli
effetti nell'orario di attività didattica.
Queste due norme in realtà non garantiscono nulla in relazione allorario del
servizio scolastico: esse definiscono unicamente lobbligatorietà e
lesigibilità di una mansione nei confronti del personale. Lorario del
servizio scolastico e lorario di lavoro dei docenti sono cose diverse e non
immediatamente sovrapponibili.
Laltro argomento è laffermazione che il terzo comma
dellart. 7 della bozza di decreto, secondo il quale il tempo dedicato alla mensa non
è compreso nel tempo della attività didattiche, risulta identico al comma che regolava,
nella legge 148/90, lorario del modello modulare.
Questa affermazione è esatta, ma si tace che, nella legge 148, cera un articolo che
blindava lorganico della scuola elementare in tre insegnanti ogni due classi
(art.121, comma 2, del T.U.) e un altro articolo che prevedeva altre due tipologie
dorario: una di 37 ore settimanali e una di 40 ore settimanali (art.130, commi 1 e 2
del T.U.).
Credo che tutti siano in grado di capire cosa veniva fuori dal combinato disposto di
questi tre articoli e di confrontarlo con cosa viene fuori dal combinato disposto del
nuovo decreto che, dopo aver escluso dalle attività didattiche, quelle dei commi 1 e 2,
il tempo mensa, stabilisce, al comma 4, che lorganico distituto è costituito
per garantire unicamente le attività di cui ai commi 1 e 2.
Non so dire quanto le famiglie possano sentirsi rassicurate da una normativa del genere o
quanto le scuole si siano tranquillizzate prendendo per legge, come un po sono
abituate a fare, le interpretazioni ministeriali; certo è che qualunque osservatore
attento, e i comuni devono essere annoverati in questa categoria, si rende facilmente
conto che gli specchietti esplicativi altro non sono, passatemi un espressione molto usata
in Toscana, che specchietti per le allodole. Questo, a meno che larticolato non
venga modificato accogliendo le proposte emendative avanzate dallAnci in sede di
Conferenza Unificata.
Le preoccupazioni e le proposte dellAnci
Il titolo di questo contributo pone, in apertura, un quesito:
ma la scuola -ci si chiede- si ritira?
Tale interrogativo vuole evocare due significati.
Il primo di questi è la preoccupazione per il restringimento, quantitativo e qualitativo,
del servizio scolastico.
È noto a tutti che le politiche per la qualificazione e la razionalizzazione della spesa,
nel sistema distruzione, sono state avviate da governi precedenti a quello attuale
(basti ricordare, in particolare, il DL 8 agosto 1992 e la legge 449/97, cosiddetta
finanziaria di Maastricht).
Il problema di fondo, senza addentrarsi in alcun modo (in questo ragionamento) nel
giudizio di valore sui due progetti di riforma, sta nel fatto che la legge 30/2000
prevedeva la riduzione di un anno, nel percorso scolastico complessivo. Tale riduzione
mitigava di molto gli effetti dei tagli dorganico che nelle leggi finanziarie erano
già previsti.
La legge 53/2003, invece, oltre che ripristinare il tredicesimo anno del percorso
complessivo dellistruzione, ha preso in carico (forse sarebbe il caso di dire,
letteralmente, "in collo") un mezzo anno in più di utenti che vengono spostati
dallasilo nido alla scuola materna.
Queste due scelte, insieme alle maggiori riduzioni di spesa che sono già state disposte,
realizzano una miscela esplosiva: la riduzione del servizio, in tutti gli ordini di
scuola, appare di fatto una scelta obbligata.
Il secondo significato del "si ritira?" è , invece, legato alla preoccupazione
che il sistema educativo abbandoni il modello inclusivo che oggi lo caratterizza. La nota
presa datto dell'impotenza e della rassegnazione della scuola (Davide) nei confronti
dei fallimenti scolastici derivanti principalmente dall'ambiente sociale e familiare di
provenienza (Golia).
Quasi che la scuola non dovesse più annoverare tra i suoi compiti quello di rendere
concrete pari opportunità per tutti e quello di creare condizioni per il successo
scolastico di ognuno. Esattamente lopposto, e lo dimostrava il racconto che ho fatto
in apertura sul passaggio dai dopo scuola al tempo pieno, di unidea che vede,
invece, inscindibili gli obiettivi dellistruzione e della formazione da quelli
dellinclusione e della partecipazione.
Se abbiamo bisogno di un sapere critico, e non credo vi sia alcun dubbio su questo; se non
vogliamo individui incapaci di partecipare attivamente ai processi lavorativi, sociali,
alle stesse relazioni interpersonali; se non vogliamo ambienti di vita pieni di quel mix
micidiale che è dato dalla superficialità, dallindifferenza e dalle chiacchiere,
allora forse dobbiamo ripensare a questa idea di rigida divisione dei compiti tra i vari
soggetti del sistema dellistruzione, delleducazione e della formazione.
Se però questa dovesse essere la strada prescelta, allora come comuni non potremo che
chiedere che si facciano i conti. Se la scuola non fa più alcuni servizi, che
precedentemente svolgeva, o anche se non li garantisce più nella stessa quantità e
qualità, allora si deve quantificare finanziariamente la somma economizzata dallo Stato e
tale somma deve essere trasferita ai soggetti che subentrano nello svolgimento di tali
competenze.
Mi raccontava lAssessore di Ravenna che alcuni comitati di genitori hanno consegnato
al Comune, pochi giorni or sono, settecento firme di genitori che chiedevano garanzie per
il tempo pieno. Sapete a chi era, unicamente, indirizzata la lettera? Al Sindaco e
allAssessore! Manco ci avevano pensato di scrivere al Ministero!
E allora, al Ministero, abbiamo scritto noi. Anche a nome e per conto dei nostri
cittadini.
Nel documento che abbiamo consegnato al primo incontro della Conferenza Unifica per
lespressione del parere, previsto dalla legge delega prima dellapprovazione in
via definitiva del decreto, abbiamo sollevato tutte le questioni cui ho fatto cenno, ed
abbiamo avanzato anche numerose proposte emendative.
Non è stato per niente un incontro semplice e si prospetta una battaglia molto aspra
dalla quale, però, confidiamo di ottenere dei risultati che, se non altro, dovrebbero
attenuare la compressione della scuola italiana che deriva dalla versione attuale del
decreto.
Riporto in estrema sintesi gli emendamenti che abbiamo proposto in Conferenza Unificata:
Art. 4, comma 1; aggiungere: "Le scuole primarie e le scuole secondarie di primo grado possono essere aggregate in istituti comprensivi, comprendenti anche le scuole dellinfanzia che gravitano sullo stesso territorio"
Art. 5, comma 1, sostituire la prima riga come segue: "La scuola primaria, accogliendo e valorizzando le diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilità, dalle provenienze culturali e geografiche e dalle situazioni di disagio sociale, promuove lo sviluppo" ecc
Art.7, comma 1, sostituire le parole: "è di 891 ore" con: "è di almeno 891 ore"
art.7, comma 2, sostituire le parole: "ulteriori 99 ore" con: "ulteriori 198 ore"
Art.7, comma 2, al secondo capoverso, dopo: "le predette richieste sono formulate all'atto dell'iscrizione." inserire il seguente periodo: "Le ore aggiuntive per le quali la famiglia avrà optato fanno parte, a tutti gli effetti, dell'esercizio del diritto-dovere di cui all'art.4, comma 1".
Art.7, comma 3, al termine del comma 3 aggiungere: "che, ove previsto, sarà comunque gestito dalla scuola come momento educativo"
Art.7, comma 4 e Art.10, comma 4, inserire in entrambi i commi dei due articoli, dopo le parole: "Allo scopo di garantire le attività educative e didattiche di cui ai commi 1 e 2" le seguenti parole: ",nonché l'assistenza educativa da parte del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa, fino ad un totale di 231 ore annue,".
Art.12 comma 1, al termine del primo comma aggiungere:" dintesa con lAnci."
In sostanza abbiamo lanciato al Ministero una duplice sfida. Da un
lato abbiamo chiesto di scoprire le reali intenzioni in relazione alle risorse e
allinvestimento politico che si intende fare sulle autonomie scolastiche e locali;
dallaltro abbiamo proposto modifiche allarticolato che non potranno non essere
accolte integralmente se le tante enunciazioni che in questi giorni vengono fatte
rappresentano impegni seri ed in buona fede e non mere dichiarazioni propagandistiche.
Ferme restando le gravi preoccupazioni sullimpianto complessivo della riforma,
staremo a vedere, se non altro su questo ultimo punto se saremo capaci di salvare un
minimo di certezza per le famiglie, ma anche per le scuole e per gli enti locali.
Scuola, lampioni e campi sportivi...
Permettetemi, gli ultimi due minuti, di rivolgermi in particolare
agli amministratori locali. Vorrei citare, e poi tentare di rendere più attuale, una
frase di Don Lorenzo Milani.
Esortava, il Priore di Barbiana, a mettere maggiore impegno nella scuola con queste
parole: Sindaci, pensate alla scuola. I lampioni e i campi sportivi sanno metterli anche i
monarchici.
Io vorrei dire, oggi: Sindaci, se ancora non lo avete fatto, date in gestione i campi alle
società sportive e trovatevi una buona ditta per esternalizzare la manutenzione della
rete della pubblica illuminazione, ma non abbandonate la scuola pubblica.
Inserite il vostro impegno per la scuola tra gli obiettivi prioritari, così come si deve
quando si è nellambito della missione fondamentale dellente, che altro non è
che la crescita culturale, sociale ed economica della popolazione e del territorio.
Quale migliore strategia, per perseguire tale missione, se non quella di pensare la città
tutta come una città educativa, capace di vivere e infondere rispetto per
lambiente, per i suoi abitanti, per i suoi ospiti.
Capace di dare senso alla parola comunità di cui il nome dellente che rappresentate
altro non è che un sinonimo.