Direzione didattica di Pavone Canavese

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05.10.2003

I piani di studio personalizzati
Problemi e prospettive
di Pasquale D'Avolio

Tra le varie novità contenute nelle Indicazioni nazionali del gruppo Bertagna, i PSP rappresentano una autentica "innovazione" rispetto ai precedenti modelli di programmazione; mi pare opportuno approfondire il discorso sia per ricercarne le matrici culturali e pedagogiche sia per verificarne la possibilità reale di introdurli nella pratica didattica quotidiana, visto che essi, come dirò, rientrano ormai nella legislazione ordinaria

Una prima considerazione è che in effetti esistono degli antecedenti che si richiamano a disposizioni normative in particolari situazioni (i PEI ai sensi della L. 104), ma anche in generale (vedi successivamente la "Carta dei servizi") Ora essi compaiono, oltre che nelle Indicazioni e nelle Raccomandazioni della Commissione Bertagna, nella stessa L. 53/2003, dove sono stati inseriti nell’ultima modifica all’art. 2 al posto della più giusta espressione "piani di studio", che significa "quadro orario, curricoli ecc. Ciò introduce un "salto logico" e pedagogico davvero strano: che senso ha, sia detto tra parentesi dire che i PSP contengano oltre al nucleo nazionale una "quota regionale" (??!)

Dai programmi alla programmazione: berve excursus storico

La parola "programmazione", è noto, non fa parte del lessico pedagogico-diadttico italiano almeno fino alla fine degli anni 50 (in contemporanea con la scoperta della "programmazione economica" che tanto successo ebbe negli anni 60, grazie anche a La Malfa e al centrosinistra di allora) e si sa che ci furono difficoltà e resistenze ad introdurla in Italia, dove imperava la tradizione idealistica e spiritualistica. Il concetto di programmazione richiamava pratiche didattiche di chiara origine anglosassone con una impostazione di tipo comportamentistico, come appare chiaramente nella cosiddetta "istruzione programmata". L’istruzione programmata sul finire degli anni 60 si collega con l’utilizzo delle nuove tecnologie didattiche e gli strumenti di valutazione cosiddetti "oggettivi" come i test o le prove standardizzate.

E’ indubbio che la programmazione introduce elementi di rigidità e di impersonalità in una sfera che appare contrassegnata più da un rapporto creativo e personalizzato. Si può finire veramente con lo scadere in quello che Bertagna giustamente chiama "prestazionismo": la ricerca di oggettività fa perdere di vista la complessità di un giudizio sulla persona che deve essere globale, senza rinunciare alla analiticità. Lo stesso discorso si potrebbe fare dal lato degli obiettivi, che declinati in maniera molto analitica e particolareggiata conduce a segmentare eccessivamente l’apprendimento. (V. OBIETTIVI E PERFORMANCE di Mager)

Il termine di programmazione viene richiamato per la prima volta nei DD e precisamente all'art.3 del DPR 416/74, quando a proposito dei compiti dei collegi Docenti si afferma che spetta al Collegio curare "la programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare … i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento disciplinare"
Due quindi gli scopi della programmazione: "adeguare i programmi all’ambiente" ( o agli alunni!?) e il coordinamento interdisciplinare.
Successivamente la L. 517/79 precisava in maniera chiara tale compito. La legge è più nota perché aboliva i voti numerici e gli esami di riparazione nelle Scuole Medie.

L’enunciazione più chiara sui compiti della Scuola in merito alla programmazione è contenuta nel DPR del 10 giugno 1995, la cosiddetta Carta dei servizi. Ritengo opportuno riportare integralmente il testo perché di esso purtroppo, come succede spesso in Italia, dopo le ansie e le preoccupazioni iniziali, si è persino persa traccia


"La programmazione educativa, elaborata dal Collegio dei docenti, progetta i percorsi formativi correlati agli obiettivi e alle finalità nei programmi. (sottolineatura mia)
Al fine di armonizzare l’attività dei consigli di intersezione, di interclasse o di classe, individua gli strumenti per la rivelazione della situazione iniziale e finale e per la verifica e la valutazione dei percorsi didattici.
Sulla base dei criteri espressi dal Consiglio di circolo o d’istituto, elabora le attività riguardanti l’orientamento, la formazione integrata, i corsi di recupero, gli interventi di sostegno.

Programmazione didattica

Elaborata ed approvata dal Consiglio di intersezione, di interclasse o di classe:
- delinea il percorso formativo della classe e del singolo alunno, adeguando ad essi gli interventi operativi;
- utilizza il contributo delle varie aree disciplinari per il raggiungimento degli obiettivi e delle finalità educative indicati dal Consiglio di intersezione, di interclasse o di classe e dal Collegio dei docenti;
- è sottoposta sistematicamente a momenti di verifica e di valutazione dei risultati, al fine di adeguare l’azione didattica alle esigenze formative che emergono "in itinere".

Contratto formativo

Il contratto formativo è la dichiarazione, esplicita e partecipata, dell’operato della scuola. Esso si stabilisce, in particolare, tra il docente e l’allievo ma coinvolge l’intero Consiglio di interclasse o di classe e la classe, gli Organi dell’istituto, i genitori, gli Enti esterni preposti od interessati al servizio scolastico. Sulla base del contratto formativo, elaborato nell’ambito ed in coerenza degli obiettivi formativi definiti ai diversi livelli istituzionali:

l’allievo deve conoscere:
- gli obiettivi didattici ed educativi del suo curricolo
- il percorso per raggiungerli
- le fasi del suo curricolo

il docente deve:
- esprimere la propria offerta formativa
- motivare il proprio intervento didattico
- esplicitare le strategie, gli strumenti di verifica, i criteri di valutazione"

Si possono quindi distinguere varie aspetti e conseguentemente varie fasi della Programmazione all'interno dell'Istituto. Per ognuno di essi il docente è chiamato a dare il suo contributo in maniera certamente differenziata.

Lasciando da parte il cosiddetto P.O.F. (Piano dell'offerta formativa) di competenza del Collegio Docenti e del Consiglio di istituto, al docente spetta esprimersi sulle mete formative che il Collegio elabora all'inizio di ogni anno. Si tratta di definire obiettivi e mete dell'azione educativa non limitandosi a mere enunciazioni di principio, ma cercando di individuare gli strumenti atti a realizzare tali obiettivi. E' questo un compito, come si è detto del Collegio Docenti, anche se nella Carta dei servizi si distingue in maniera, a mio parere, impropria tra programmazione educativa, di competenza del Collegio, dalla programmazione didattica, di competenza del Consiglio di classe.

CONTRATTO FORMATIVO
L'ultima fase riguarda quello che viene chiamato il "contratto formativo" sul quale è bene fare alcune precisazioni. L'espressione richiama un certo linguaggio civilistico, che mal si adatta alla situazione della Scuola; ma in effetti è tutta l'impostazione della carta che risente di una tale "curvatura", contestata a ragione dal mondo della Scuola, più impegnato sul versante pedagogico. Va sottolineato gli obiettivi didattici ed educativi del suo curricolo

- il percorso per raggiungerli
- le fasi del suo curricolo tuttavia nella parte finale l'impegno alla trasparenza. I genitori e gli studenti ne devono essere messi al corrente.

Programmazione collegiale ("educativa"), programmazione del Consiglio di classe ("didattica") confluiscono in quello che viene chiamato il contratto "formativo", che a questo punto si potrebbe tradurre nel cosiddetto PIANO DI STUDIO PERSONALIZZATO

Quanto la programmazione didattica sia un compito precipuo del singolo docente, mi pare acquisito ormai nella teoria, anche se non nella prassi, l'esigenza di un confronto e di una collaborazione sia all'interno del Consiglio di classe che, soprattutto, fra i docenti della stessa disciplina o di discipline affini.

DAL PROGRAMMA ALLA PROGRAMMAZIONE AI CURRICOLI

Tralascio l’elencazione delle varie fasi della programmazione individuale, o piano individuale di lavoro, perché risaputi (analisi della situazione iniziale della classe ,finalita' e obiettivi disciplinari, criteri metodologici, criteri e strumenti di valutazione, contenuti con l’indicazione fondamentale dei tempi). Il P.I.L., giova ribadirlo, non può essere scisso dalla programmazione Collegiale e da quella del Consiglio di classe. Occorre quindi far riferimento agli obiettivi stabiliti dal Collegio, dai Consigli di classe e agli accordi fra docenti della stessa disciplina. Il riferimento a tali obiettivi generali può costituire la premessa o il "cappello" a tutto il piano, prima di addentrarsi nelle varie parti. Pertanto si può scegliere o sottolineare solo alcuni degli obiettivi, avendo presenti le caratteristiche particolari della classe e la specificità del proprio ambito disciplinare.

La programmazione classica è quindi la programmazione per obiettivi e specie a livello collegiale non si veda come possa essere superata da altre forme di programmazione.

Nella pratica didattica tuttavia la programmazione per obiettivi e performance si è rivelata insufficiente a rendere la "complessità" delle situazioni e soprattutto rivela la sua debolezza in rapporto alle nuove teorie dell’apprendimento.

Per il primo aspetto si sono diffuse negli ultimi anni varie forme di programmazione specie in ambito disciplinare, che vanno dalla programmazione modulare, per concetti o mappe concettuali. E soprattutto, specie ultimamente, quella per competenze, al centro comunque di un interessante dibattito pedagogico e didattico (vedi sito Edscuola.com, settembre 2003)

Un punto fermo mi pare sia il superamento del concetto di programma e la sua sostituzione con il curricolo, anche se nella pratica didattica, specie nelle superiori, è tutto da verificare. Il D.P.R. 275/99 "Regolamento autonomia" definisce negli art. 3 e 8 quali sono i compiti dello Stato e delle singole scuole. Il termine "programma" appartiene ormai alla storia, anche se pesso è stato resuscitato impropriamente nel ddl sulla "devolution" ad opera di Bossi e La Loggia

Resta tuttavia aperto il rapporto tra "programmazione curricolare" per l’intera classe e il cosiddetto "patto formativo" previsto dalla Carta dei servizi, riferito al "singolo alunno".

Una interessante puntualizzazione che potrebbe preludere ai Piani di studio personalizzati si ritrova sempre nell’art. 8 del DPR 275, dove si parla di "personalizzazione" a proposito dei curricoli di istituto in rapporto.tuttavia ad "azioni, progetti o accordi internazionali" Ma importante mi pare soprattutto il comma 4 che afferma " 4. La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze formative degli alunni concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di continuità e di orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli Enti locali, dai contesti sociali, culturali ed economici del territorio. Agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di opzione" Si può dire che Bertagna abbia voluto tradurre in maniera molto concreta quanto previsto da tale comma? La tesi mi pare plausibile, anche perché anche per quanto riguarda le modalità di costruzione dei Piani di studio personalizzati, si utilizza, come vedremo, una terminologia che è ricavata integralmente proprio dall’art. 8 del 275.

 

I PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI

I PSP trovano una loro base filosofico-pedagogica nelle "Raccomandazioni" che, come si sa, non hanno valore prescrittivo, ma tuttavia costituiscono il fondamento teorico delle stesse Indicazioni. Esse sono precedute da un paragrafo, che partendo dalla filosofia della scienza (da Newton a Gadamer) arriva alla didattica e introduce, come viene chiaramente affermato, un nuovo lessico pedagogico, o meglio, reinterpreta espressioni e parole che da alcuni anni sono entrati a far parte del lessico pedagogico corrente, non senza qualche forzatura di tipo non solo terminologico, ma anche sostanziale, e non senza qualche "dimenticanza" che in effetti non è tale (mi riferisco ad esempio a tutta la discussione sulle conoscenze essenziali e i nuclei fondanti e della precedente elaborazione pedagogico-didattica)

La ragione di tale dimenticanza è nella svolta ancora una volta di tipo filosofico-culturale: la "personalizzazione" del sapere e quindi i PSP infatti viene fatta discendere da una visione della scienza e della conoscenza in cui ai "prodotti" della ricerca si sostituisce il processo e l’attività di ricerca, che in quanto tale riguarda più il soggetto che l’oggetto; così il problema dei "saperi" essenziali che aveva costituito il leit-motiv della riforma berlingueriana, e che trovavano un fondamento nella pedagogia bruneriana, viene superato; non si tratta di definire ciò che va insegnato o appreso, né il modo come si conosce. Non è in gioco il "che cosa" si insegna, (o almeno non solo, si dice nelle raccomandazioni) né il "come si fa", ma il "chi". L’ordine logico di una serie di costrutti scientifici, vi si dice, deve coincidere con quello psicologico ed etico (?) di chi se ne appropria. Non basta che qualcosa sia scientificamente certo, ma dobbiamo riuscire a rendere quel qualcosa in una nostra verità esistenziale. Francamente trovo pericoloso quel richiamo all’etica riguardo alla conoscenza; potrebbe alludere a "verità" eticamente inaccettabili e come tali da scartare? A parte ciò, tuttavia bisogna riconoscere che il presupposto di un rapporto strettissimo tra soggetto e oggetto della conoscenza è condivisibile, a determinate condizioni.

Questo è ciò che viene definita la nuova "rivoluzione copernicana", anche se a ben vedere gran parte di ciò che viene affermato, costituisce la sostanza stessa del costruttivismo. Solo che il costruttivismo non elimina né vuole eliminare la "durezza" della realtà e quindi degli "oggetti" della scienza, come la stessa rivoluzione copernicana di Kant non abolisce il carattere oggettivo della "cosa in sé". Qui si rischia invece di ritornare all’esse est percipi di Berkley.

Ma con la messa tra parentesi dei "saperi" oggettivi, il rischio è che si torni al semplice "incontro tra anime" di ascendenza idealistico- spiritualistica (alla Lombardo-Radice, Giuseppe, per intenderci). C’è voluto molto prima di introdurre nella Scuola italiana la cultura della Programmazione proprio a causa del pregiudizio idealistico che ha sempre combattuto contro una visione del sapere "discontinuo" e "discreto" che punta sull’analisi dei contenuti, dimenticando a volte il soggetto che apprende; ma occorre evitare il rischio di annullare gli oggetti di apprendimento come inessenziali al fine di educare il soggetto in sé.

 

PERSONALIZZAZIONE E PROGRAMMAZIONE

Venendo allo specifico didattico, i PSP dovrebbero, così almeno sembra ( e si dice espressamente nelle Linee guida della formazione) eliminare la "vecchia" programmazione, come logica conseguenza dell’eliminazione dei programmi, anzi non solo dei programmi ma come dicevo prima anche dei "curricoli". Ora siamo tutti d’accordo che i Programmi sono superati e che la logica programmatoria classica (quella per intenderci degli obiettivi e delle performance oggettivamente e preventivamente determinati) va aggiornata e in effetti è stata abbondantemente aggiornata, almeno da parte dei docenti più avveduti e … aggiornati. Negli ultimi anni si è parlato tanto di programmazione per concetti, per moduli e infine di programmazione curricolare, dove il curricolo rappresenta la progettazione di un percorso calato nel particolare di una classe o al limite del singolo alunno, come nel caso del PEI per l’handicap. All’istruzione programmata classica degli anni 50/60 si è sostituito il costruttivismo, anche se più nelle enunciazioni che nella pratica (ma la scuola elementare in questo è all’avanguardia, grazie a i Programmi dell’85).

Ora si propone di superare il curricolo per completare l’abbandono dell’uniformità delle prestazioni e ..rovesciare la vecchia impostazione dei programmi. Cito da un articolo di Bertagna comparso su Tuttoscuola del marzo 2003. Nella programmazione curricolare, ci dice Bertagna, è successo che l’uniformità venisse trasferita dal livello nazionale a livello di scuola o di classe. Occorre andare altre; e allora "Ai docenti è richiesto non più di transitare "dal generale culturale al particolare personale (che era poi l’ individualizzazione dell’insegnamento) ma di operare "dal particolare personale al culturale" (pag. 127).

A parte la fumosità di tale espressione, sembrerebbe di dover predisporre per ciascun alunno un "programma individuale" una specie di PEI come previsto dalla 104. Tralascio i problemi concreti e pratici della costruzione di questi PSP, che, stando alle Linee guida per la formazione sostituirebbe ogni altra forma di "programmazione" Mi soffermerei solo su tre aspetti:

  1. la procedura gerarchizzata e standardizzata delle operazioni richieste per la predisposizione del PSP che sembrano proporre non solo una pedagogia di Stato (come era in parte avvenuto in passato e con lo stesso Berlinguer) ma addirittura una didattica di Stato. Il docente deve avere ben chiari gli obiettivi formativi generali della scuola primaria e il profilo in uscita del I Ciclo, entrambi stabiliti a livello nazionale (art. 8 del DPR 275) nonché gli OSA (composti da conoscenze e abilità) che rappresentano "gli standard obbligatori del servizio" che le Scuole sono tenute ad erogare; da qui parte per definire le UA in cui sono contenuti gli "obiettivi formativi" riferiti alle competenze del singolo allievo, metodi, attività e verifiche, che devono poi confluire nel Portfolio. Il tutto concordato o contrattato con i soggetti, le famiglie prima e gli studenti poi. Non è chi non veda l’artificiosità e la complessità di tutto questa procedura, anche se da una lettura attenta si possono riscontrare gli stessi termini presenti nell’art. 8 del DM 275/99
  2. Il secondo aspetto è quello della valutazione degli apprendimenti . Bertagna chiarisce molto bene (Tuttoscuola marzo 203) che bisogna abbandonare la logica "prestazionistica" che ha caratterizzato la scuola italiana dal 1977 in poi (si riferisce alla 517? Come mai questa non viene mai citata? Occorre chiarire se è stata abrogata o meno, perché come vedremo alcune parti della 517 confliggono con le Indicazioni). Il prestazionismo, dice ancora Bertagna, è di tipo "selettivo" ed è associato a comportamentismo, pragmatismo ed efficientismo pedagogico. La personalizzazione elimina questi vizi e quindi si potrebbe dire è …. antiselettivo! Ora che il comportamentismo e l’efficientismo pedagogico siano vizi da superare ce ne eravamo accorti da tempo: la Scuola italiana dapprima non li aveva accolti quando si volle introdurli alla fine degli anni 50 e poi li aveva mal sopportati nell’ultimo decennio berlingueriano. Il fatto è che qui si giunge a mettere in discussione che possano esistere degli "standard di prestazione di apprendimenti degli allievi". E’ vero che esiste l’INVALSI, ma questo non ha alcun valore di giudizio sui singoli e sulle Scuole; la soluzione di questa apparente contraddizione starebbe in una "interlocuzione continua" tra Invalsi e scuole. Ammesso che sia possibile, si ripresenta comunque il problema: come si valutano gli alunni al termine di un ciclo? La risposta è che sta al docente formulare gli standard di prestazione non prima dello svolgimento delle UA ma "in maniera fenomenologia, assestandoli riflessivamente in un continuo interscambio tra a-priori e a –posteriori, tra progetto ed esperienza" (pag. 30 Tuttoscuola) Qui si coglie la differenza di fondo tra "individualizzazione" che propone percorsi differenziati per raggiungere risultati possibilmente omogenei e la "personalizzazione" che esclude in partenza la possibilità di esiti omogenei. La prima tiene conto di personalità diverse, di stili di apprendimento personali, di attitudini e interessi diversificati per raggiungere risultati comunque comparabili. La seconda prevederebbe percorsi formativi differenziati, che darebbero vita a una sorta di insegnamento su misura e per di più proposti magari dalle famiglie. Il tutto in una classe in cui è previsto un "insegnamento a carattere prevalentemente omogeneo e unitario" e di tipo "frontale" (Linee guida, pag. 19-20) per 18/21 ore. La figura del maestro-tutor, così come viene concepita e cioè come maestro prevalente, entra in contraddizione proprio con l’esigenza della personalizzazione: se egli deve trascorrere la maggior parte del tempo con il gruppo-classe, non riuscirà certamente a "personalizzare" il proprio insegnamento.

Al di là del rischio di una scuola come "servizio a domanda individuale", c’è il rischio che la personalizzazione riproduca le caratteristiche preesistenti negli allievi, mentre dovrebbe se bene intesa tendere a costruire "percorsi di apprendimento coerenti con la valorizzazione delle potenzialità di ciascun allievo" (Vertecchi INSEGNARE n.3/4 2003, pag. 10). Eppure si parla spesso di "livelli essenziali delle prestazioni" stabiliti centralmente, il che comporterebbe che tutti debbono poter raggiungere dei livelli minimi accettabili

III) Ultimo aspetto, non meno importante è il rapporto tra l’attenzione al singolo alunno e la necessità di guardare al gruppo-classe, senza trascurare il contesto più ampio del plesso o dell’Istituto. I PSP sembrano guardare solo al primo e poco si preoccupano delle relazioni che pure costituiscono un elemento fondamentale del processo di insegnamento-apprendimento. Come dice giustamente A. Rocca "A scuola gli alunni crescono vivendo la relazione con i coetanei, con gli insegnanti e con il sapere, in una sorta di decentramento da sé" per cui il concetto di personalizzazione "va qualificato con il carattere della relazionalità che è proprio della persona umana"( "Verso i PSP", da "Il Maestro" , mensile dell’AIMC, maggio 2003)


Possibili soluzioni

Da quanto detto prima emerge la necessità che i PSP non si sostituiscano alle precedenti programmazioni curricolari, ma ne siano al più una specificazione. In sostanza i cosiddetti "obiettivi formativi", che nella versione di Bertagna rappresenterebbero la sintesi tra conoscenze e abilità, vanno individuati a livello dapprima trasversale (all’interno del team docente, o equipe come si voglia chiamare, che nelle Scuole secondaria è il Consiglio di classe) e quindi a livello disciplinare o di ambito sull’intera classe, tenendo conto della situazione di partenza del gruppo classe e dei singoli allievi. Solo in un secondo momento si potranno individuare percorsi "differenziati" o addirittura personalizzati, qualora si presentino situazioni che meritino una specificazione ulteriore. D’altronde non è una novità quella del cosiddetto "patto formativo" tra la Scuola e il singolo alunno, come previsto dalla Carta dei servizi di qualche anno fa. Salvo il fatto che di quella Carta nessuno si ricorda perché la fervida fantasia dei nostri ministeriali ha prodotto e stratificato una serie di documenti di vario genere, a partire dal PEI per passare al Progetto di istituto per arrivare al POF. Ma nessuno ha abolito la "Programmazione educativa e didattica" di cui parlano i Decreti delegati del 74 e che ha trovato una sanzione legislativa successivamente con la 517/77.

Occorre ripartire quindi dal concetto di Programmazione educativa e didattica, che è di pertinenza del Collegio, e nella quale sono fissate le mete formative e didattiche per un particolare tipo di scuola (quello che oggi viene chiamato il PECUP e che va adattato a livello di singola istituzione scolastica), compresi gli "standard minimi" ( o per usare la nuova terminologia " i livelli minimi") a cui occorre che tutti gli allievi devono conseguire, si tratti di comportamenti o di conoscenze e abilità. Di qui si origina, come si diceva, la programmazione collegiale a livello trasversale del gruppo classe (da parte del Consiglio di classe o dell’equipe pedagogica) e in ultima istanza si perverrà alla elaborazione di un documento personalizzato.

Ma, come ben evidenzia il Frabboni in un suo articolo di alcuni mesi fa "L’introduzione nella vita della classe di PSP è possibile a condizione di dar via-libera alla Didattica delle classi eterogenee. Questa richiede procedure di insegnamento dagli elevati coefficienti di personalizzazione didattica (attenta cioè ai livelli-capacità e ai tempi-modalità di apprendimento di ogni allievo/a) pur assicurando – nel contempo- dinamiche e "vissuti" di classe (sott. mia) ricchi di contrappunti emotivi-affettivi ed etico-sociali attraverso le naturali dinamiche di gruppo" (Scuola e Didattica, La Scuola, Ottobre 2002)

Non è chi non veda in questa impostazione un arricchimento reale della programmazione come normalmente è intesa nella pratica didattica; una vera sfida che richiede tuttavia un elevamento notevole della professionalità docente, che solo con il tempo e con una adeguata formazione si potrà raggiungere. E’ questa la vera Riforma, che da destra o da sinistra non si può non condividere.


P.S.
Dalla sintesi riportata da qualche sito del nuovo D.L. in via di pubblicazione sembra sia stata chiarita meglio la relazione tra Programmazione di classe e PSP. Non resta che attendere

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