Direzione didattica di Pavone Canavese

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02.10.2005

UNA PROPOSTA DI LEGGE TROPPO POCO INNOVATIVA
di Gianni Gandola e Federico Niccoli
 

 

L'intervento di Gianni Gandola e Federico Niccoli fa riferimento alla proposta di legge di iniziativa popolare fatta dal Movimento Retescuole di Milano. Per saperne di più e per leggere il testo della proposta, si può consultare il sito www.leggepopolare.it (rp)

I
Al di là del giudizio che si può dare sull’opportunità o meno della scelta di ricorrere ad una proposta di legge di iniziativa popolare, una cosa non si può certo disconoscere: questa iniziativa riaprirà di fatto un dibattito nelle scuole, tra gli operatori, i docenti e i genitori, sul “dopo Moratti”. Il dato positivo sta proprio qui, nel passaggio dal ritornello ormai stantio dell’”abroghiamo la legge Moratti”, cioè dalla fase della protesta e dell’opposizione pura e semplice, a quella della proposta, al tentativo di delineare una nuova configurazione della scuola italiana. Impresa, certo, non da poco.
Ci eravamo riservati, come Scuolaoggi, di dare il nostro contributo critico alla discussione, entrando nel merito della proposta di legge. Cominciamo a farlo, a partire dalla scuola primaria.

Sono diversi gli aspetti positivi e condivisibili della “bozza di lavoro” di proposta di legge, correttamente considerata dagli estensori come “una base di partenza per la discussione” . Condividiamo innanzi tutto le dichiarazioni di intenti e i “valori” di riferimento esplicitati nell’art. 1, comma 1, come pure molte enunciazioni riguardanti la scuola pubblica, il diritto all’istruzione, ecc. Ma più che fermarci sugli elementi condivisi riteniamo più utile entrare nel merito dei punti più discutibili e meno convincenti.
In generale (vedremo, per titoli con riserva di discussioni più approfondite, le specificità della scuola di base) non ci convince l’impostazione autoreferenziale, spesso declamatoria dei principi affermati, poco precisa in vari punti dell’articolato salvo le parti riguardanti l’organico dove la riconquistata precisione si traduce in richieste a volte utopistiche.
Inoltre, in una proposta molto dettagliata dove si parla di tutto e di tutti gli operatori scolastici ed extrascolastici, non compaiono mai, salvo nostro errore, né il termine “dirigente scolastico” né uno straccio di riferimento all’autonomia delle istituzioni scolastiche ed al relativo regolamento dpr 275/99. Eppure si tratta di elementi centrali del governo delle istituzioni scolastiche!

Ecco alcuni elementi specifici poco “convincenti”.

La scuola di base.

Ci arrestiamo subito una volta arrivati al secondo comma dell’art.1 e al successivo art.3 che delinea l’impalcatura della “scuola di base”. Qui ci sono alcune proposizioni, su questioni non irrilevanti, che non solo non ci convincono affatto ma che riteniamo deboli, poco “riformatrici” (nel senso di “innovative”) dello stato di cose esistente.
In buona sostanza nell’art.3 non si fa altro che cancellare la legge 53 e i decreti applicativi per tornare allo status quo ante. Una sorta di “contro contro-riforma Moratti”. Un po’ poco. Anzi, troppo poco. Noi pensiamo che non è sufficiente tornare alla scuola elementare così come delineata dalla riforma del 1990 e dai programmi del 1985 (anche se molti aspetti rimangono validi) e alla scuola media del 1977 (Legge n. 348/1977 Riforma della scuola media inferiore). Per un motivo molto semplice: la “separatezza” dei due gradi di scuola, che permane indiscussa. Non si “governano” così le discontinuità…

Abbiamo già sostenuto e non abbiamo difficoltà a ripeterlo, per essere chiari, che secondo noi una vera “riforma” (in senso forte e “progressista”) della scuola di base c’era, ed era il “riordino dei cicli” del min. Berlinguer, legge approvata dal Parlamento e abrogata poi dalla maggioranza di centrodestra, come primo atto del governo Berlusconi. La legge 30/2000 aveva dei limiti, soprattutto quello di non delineare ancora compiutamente gli aspetti organizzativi del settennio di base, ma rompeva finalmente la separatezza storica dei vari settori della scuola di base, portandoci ad un livello “europeo”. Abbiamo già detto che non ci sembra politicamente riproponibile quel modello, per la forte opposizione che ha incontrato (a destra e a sinistra, e in alcune lobby della scuola), ma ciò non toglie che aveva una decisa connotazione progressista (nel senso di un cambiamento radicale e positivo).
Come Scuolaoggi ha già sostenuto, riteniamo allora che almeno un passo in quella direzione sia ineludibile, fondamentale: la generalizzazione degli istituti comprensivi, riveduti e corretti. Occorre cioè tornare a quella che era l’ispirazione originaria degli I.C. (vedi la loro fase “sperimentale”) garantendo ad essi quelle condizioni irrinunciabili e necessarie per un loro sviluppo coerente

Nella proposta di legge si fa solo un cenno, troppo generico, agli istituti comprensivi ( “A partire dalla verifica dell’esperienza degli Istituti Comprensivi, il Ministero della Pubblica Istruzione promuove e sostiene, con appositi progetti, percorsi di raccordo da attuare tra docenti, con gli/le alunni/e e con il coinvolgimento delle famiglie” ). Cosa vuol dire? Che non si li prevede proprio come prospettiva generale e uniforme sul territorio nazionale (e quindi le attuali aggregazioni vanno disfatte) o che si vuole lasciare la situazione così com’è? A noi non sta bene né una soluzione né l’altra.

Tornare allo stato di cose esistente prima della legge 53 (e della stessa legge 30) ci sembra una posizione conservatrice, arretrata, che non risolve, ripetiamo, il problema di fondo della continuità della scuola di base ma si limita a ratificare la divisione in segmenti distinti e strutturalmente separati, ad accettarla come un dato di fatto immodificabile (o che non si vuole modificare…).
Ci rendiamo perfettamente conto che percorrere la strada dei comprensivi intesi come “modello scolastico continuo ed unitario” significa rivoluzionare l’attuale assetto sul piano degli organici docenti (rivedere orari e organizzazione didattica, quindi lo stesso profilo professionale dei docenti elementari e medi; rivedere i programmi e definire un curricolo unitario). Proprio per questo ci si possono aspettare contrarietà e riserve, perché ciò vuol dire mettere in discussione abitudini e situazioni consolidate, anche sul piano sindacale e contrattuale. Molto più comodo “conservare” il vecchio modello scolastico, lasciando al caso o all’estemporaneità il problema della continuità, senza affrontarlo organicamente a livello strutturale.

Diritto all’istruzione

Il 6% del pil da assicurare al sistema educativo di istruzione può essere troppo o troppo poco se non si inverte la composizione complessiva delle spese. In altri termini se il 95-96% dell’ipotetico 6% continuerà ad essere investito solo per spese per personale e solo il restante 4% circa del 6% continuerà a rappresentare la cifra complessiva delle spese per investimenti, ricerca, formazione, non avremo alcuna significativa innovazione. Salvo che non si pensi che esista un qualche automatismo tra aumento delle retribuzioni degli operatori e aumento della qualità dell’istruzione.

Finalità

Abbiamo (anche i promotori della legge popolare) molto criticato la legge Moratti che vorrebbe imporre una sorta di metodologia di Stato e riproponiamo lo stesso errore. Noi siamo del tutto d’accordo sulla organizzazione della pratica scolastica proposta, ma non è ragionevole imporla come “organizzazione di Stato”

Organici

Un altro aspetto che ci lascia perplessi è il fatto che si delinea una scuola ricca di risorse come fosse la Città del sole. Non si tiene in alcun conto il problema dei vincoli e delle compatibilità economiche. Quindi, non solo conferma del doppio organico sul tempo pieno (e fin qui ci siamo) ma anche classi a 22 alunni/massimo (e non 25 com’è da almeno trent’anni), un docente facilitatore ogni 5 alunni stranieri ( “un/una docente ogni 5 alunne/i con necessità di prima alfabetizzazione e di un/una docente ogni 25 alunne/i di recente immigrazione - da meno di tre anni in Italia” ), un aumento generalizzato e indifferenziato degli insegnanti di sostegno ( “nella determinazione dell’organico va garantita l’assegnazione di docenti di sostegno per tutto l’orario di permanenza a scuola dell’alunno/a), e via dicendo, come se questo non comportasse un aumento considerevole e una dilatazione degli organici abbastanza improponibile e irrealistica. Un conto è delineare un’inversione di tendenza rispetto alle scelte politiche morattiane e agli attuali tagli delle risorse, un conto è parlare di “organico funzionale” (una dotazione organica “arricchita” e stabile che risponda alle necessità delle scuole), un altro è prospettare un aumento esponenziale e massiccio degli organici docenti, come se non vi fossero limiti economici.

Non si tiene cioè conto del fatto – politico – che una volta che il centro sinistra andrà al governo si troverà di fronte una situazione economica disastrosa, un’economia in piena recessione e, per quanto possa e debba assumere la scuola come un settore fondamentale nel quale investire, non avrà a disposizione mezzi illimitati. Ma questo è un problema dei “politici” - si obietta – “noi diciamo e delineiamo quello che è necessario per la scuola”. Troppo facile. Se vogliamo aprire il libro dei sogni possiamo anche farlo, ma se vogliamo indicare le linee portanti di una legge non possiamo non tener conto delle implicazioni sul piano economico e della spesa pubblica. Alcune richieste vanno pertanto riviste e collocate dentro un quadro di compatibilità. Altrimenti sono destinate a rimanere mera espressione di desideri. Quindi, maggior realismo e concretezza.

Valorizzazione delle diversità

Cosa significa “nella determinazione dell’organico va garantita l’assegnazione dei docenti di sostegno per tutto l’orario di permanenza a scuola dell’alunno” ? Una generalizzata esplosione di risorse aggiuntive, a prescindere dalla gravità dei soggetti, del piani educativi individualizzati e di tutto quel che risulta necessario (non sempre è richiesta una risorsa “docente”) per una effettiva integrazione di qualità?

Funzione docente

Giusto auspicare l’unicità della funzione docente senza gerarchie di ruolo…., anche se, poi, in altra parta della proposta, restano immutate le ore obbligatorie di docenza degli operatori dei vari ordini di scuola. Ad esempio i docenti dell’infanzia dovranno continuare a fare un servizio di 25 ore settimanali per poter assicurare 10 ore di compresenza. Quel che è più grave ed ancora una volta autoreferenziale è che lo Stato e le Istituzioni scolastiche sono obbligate (ed è giusto) a curare la formazione dei docenti, mentre i docenti “progettano e partecipano agli interventi ritenuti collegialmente necessari” (!)

Partecipazione

Invece di ripensare la crisi di efficienza e di efficacia degli organi collegiali esistenti e di progettarne una loro revisione organica si aggiungono all’esistente ben altri 3 organismi come se la democrazia potesse essere garantita dalla moltiplicazione delle assemblee elettive all’interno delle scuole

Valutazione

E’ giusto ed opportuno che un percorso di valutazione cominci dall’autovalutazione. Ma la valutazione di sistema non può certo ritenersi conclusa dalle determinazioni autoreferenziali delle sole categorie interessate

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