26.08.2006
Riforma riformata 1
Perché non cambiamo discorso?
Mi sembra che il dibattito sulla Riforma della scuola, in
via di revisione col metodo del “cacciavite”, si stia un po’ perdendo in qualche
polemica poco comprensibile (tra presunti vincitori e vinti?) o in
interpretazioni esegetiche e filologiche della norma o del pensiero di Bertagna.
Spesso intervengono DS , I. Tecnici o pedagogisti. Mi domando perché gli
insegnanti partecipino poco.
Sto girando alcune scuole (medie) per formazione e consulenze sulla Riforma e
non trovo aiuto in questo dibattito; so di sicuro che non potrei proporlo ai
colleghi volonterosi che lavorano con me.
Più interessanti le iniziative citate da Cerini ed altri per una riapertura del
dibattito con più ampio respiro e a più livelli. Peccato che per ora siano
ancora limitate o ad inviti.
Intanto il Ministro si perde a consultare un campione di
docenti poco rappresentativo, sbandierando quel “buon senso della massaia” che
spesso fa danni come l’integralismo di chi l’ha preceduto.
Ho già cercato di dire più volte che:
1- trovo questa Riforma contestabile, non condivisibile sotto molti aspetti (nel merito e nel metodo); per altri versi continuazione di idee presenti nelle Riforme precedenti, già bloccate dalla scuola. Ci sono invece aspetti innovativi ed interessanti, legati a cambiamenti di prospettiva, che andrebbero salvati dalle guerre di religione passate o in atto. Lo spostamento dell’attenzione dall’insegnamento (di per sé non significativo) all’apprendimento (uno dei nostri obiettivi, come la formazione che è uno dei tre scopi principali della scuola, anche secondo i genitori); la necessità di riformare e documentare la valutazione; il problema del rapporto fra autonomia, contesto, individualizzazione e confrontabilità, il dibattito mai nato sul portfolio (non quello del MIUR) …
2- Credo che questa legge, nata per motivi politici (e
ideologici) forti (“cambiare la scuola per cambiare la società”), schiusa nella
(rispettabile, ma per definizione, limitata) incubatrice di un gruppo e quindi
genericamente identificata con 2 persone (Moratti e Bertagna), abbia di fatto
saltato il dibattito, il confronto, il coinvolgimento; sia stata, nella pratica,
imposta e quindi abbia scarsissime possibilità di essere compresa e digerita e
di coinvolgere il corpo docente. Tranne là dove qualche DS o gruppo di
insegnanti “trascina” al cambiamento.
Anche perché la norma presenta incoerenze a livello teorico e di applicazione.
Molti docenti la avversano, pochi la amano, moltissimi la conoscono solo dai
giornali perché lì è stata presentata. Senza condivisione non vedo prospettive
di applicazione anche critica.
La “scuola dei 3 NO” (Maragliano) che ha già bocciato le due precedenti, sta
insabbiando anche questa; per avversità, pigrizia, inapplicabilità, mancanza di
chiarezza.
In generale senza dire però cosa vorrebbe.
BENE e… PECCATO!
Io ho alcune idee, nessuna verità e quindi nessuna
“chiesa”. Illuminante però, come succede quando occorre cambiare ottica, un
episodio del Vangelo che ci indica che è “la legge ad essere fatta per gli
uomini” e non gli uomini che devono per forza adattarsi alla legge.
Penso quindi, insieme ad altri, che occorrerebbe partire da un altro punto di
vista ed abbandonare l’esegesi della norma o del suo profeta, per:
a) partire da quanto è urgente/necessario riformare
b) da quanto esiste (o persiste) nella prassi scolastica
c) da quanto è possibile modificare insieme, ai vari livelli, in modo per tutti
consapevole e non imposto
d) da quanto è realistico pensare che la nostra scuola, questi docenti, siano in
grado di condividere.
Una riflessione anche dal basso, ma non demagogica (molto
difficile da innescare, ma necessaria) che si intrecci con le riflessioni di più
ampio respiro, con le esigenze di carattere generale, nazionale (che si dovranno
però chiarire) e con una lettura critica della R.
Non mi piacciono gli atteggiamenti un po’ demagogici di questo Ministro, ma
credo che nel contesto scolastico e politico attuale (e non solo) paghino di più
i piccoli passi con una strategia flessibile dietro che le grandi utopie. La
storia del portfolio MIUR dovrebbe averci insegnato che le scuole che si muovono
nell’ottica della continuità, senza negare la esistenza della norma, ma ancorate
al loro contesto ed alla loro storia sono quelle che fanno passi piccoli, ma non
tornano indietro. Quelle prese dal furore applicativo rischiano di essere
invitati dal Garante e poi dal MIUR a buttare via tutto.
La legge adattata agli uomini e soprattutto alla realtà.