05.07.2006
Parliamo di
standard, fuor di polemica
di Pasquale D'Avolio
PREMESSA
L’intervento che segue era stato
scritto, come mi succede di solito, "di getto" appena letta la risposta del
gruppo di Bergamo alle "contestazioni" del sottoscritto e di Tiriticco
all’articolo sugli OSA e gli standard da parte del gruppo di cui sopra.
Avendo letto successivamente sulla Rivista "Scuola e didattica" una
precisazione più articolata sulla questione degli "standard" da parte di
Puricelli, mi ripromettevo di approfondire l’argomento, cosa che purtroppo
per una serie di ragioni (i mesi di giugno e settembre sono "micidiali" per
tutti, specie per i DS) non ho fatto.
La polemica è proseguita e si è ampliata con l’intervento un po’ "rude"
dell’amico Stefanel, al quale va senz’altro riconosciuto l’intento di non
scavare fossati tra le due parti in lotta. Fra l’altro la stessa Rivista di
Bertagna ha pubblicato alcuni suoi interventi.
Non condivido infine il proposito manifestato da Tiriticco e condiviso (?)
da Puricelli di non parlare più di OSA e di Indicazioni. Primo perché le
"Indicazioni" non sono affatto abrogate (e su questo credo non ci siano
dubbi) e poi perché la questione degli Obiettivi, degli standard e del
"Profilo", nonché delle competenze, non è che possiamo ritenerle superate,
solamente perché è cambiato il Governo. So che gli abrogazionisti in tutti
questi anni hanno speso tutte le loro energie a trovare il modo di non
applicare la legge, in attesa di abrogarla, ma c’è qualcuno che ha cercato
di usare il suo impegno e il senso critico perché nella Scuola il dibattito
pedagogico-didattico proseguisse, che le nuove "Indicazioni" fossero messe
alla prova, magari per "falsificarle" popperianamente, ma cercando di
attuarle, prendendosi magari l’accusa di aver voluto "sinistrarle".. E
soprattutto perché riteneva che la logica "curricolare" andasse rivisitata
alla luce delle nuove prospettive cognitiviste e della personalizzazione
degli apprendimenti, che non è una invenzione di Bergamo.
Quindi dico, riprendendo il filo laddove sembrava essersi spezzato (il 9
aprile) dico che occorre discutere, confrontarsi senza schemi e preconcetti.
Ed ecco il senso della riproposizione dell’intervento sottostante con
l’appendice, scritta a sua volta in tempi diversi
RISPOSTA AL GRUPPO DI BERGAMO
Impostata come una questione di carattere ideologico ("statalisti" contro sostenitori della "libertà della Scuola"), la disputa sugli OSA, sui LEP portata avanti dal gruppo di Bergamo del prof. Bertagna, (vedi saggio "La questione degli standard" apparso su questo sito in risposta a un mio precedente intervento) rischia di riproporre, a parti rovesciate, il clima di contrapposizione che ha caratterizzato questi ultimi anni il confronto-scontro tra i due schieramenti in campo. Lo statalismo è un retaggio ormai superato anche a sinistra, se ne dovrebbero convincere i miei interlocutori; anche se restano indubbiamente delle scorie. Ma anche l’antistatalismo di bandiera di una certa cultura cattolica-liberale dovrebbe essere ormai superato..
Torniamo alle questioni concrete. Mi sia permessa una breve "controreplica". Gli "Obiettivi specifici di apprendimento", giova ribadirlo, si trovano nel DPR 275/99 e quindi precedono la L. 53 e i Decreti applicativi. Colpa del precedente Governo di centro-sinistra è non aver dato corso in due anni all’art. 8 della 275 e così oggi ci troviamo a discutere se essi sono "livelli essenziali di prestazione o prestazioni minime di apprendimento". A me non appare dubbio che il "soggetto logico" siano gli alunni e quindi si riferiscano agli apprendimenti; altrimenti, mi si passi la battuta, si sarebbe parlato di "obiettivi specifici di insegnamento"!! Francamente non ho capito molto (sarà un mio limite, nonostante gli studi giovanili di "scienze politiche" e di diritto costituzionale) la differenza tra "Lep in senso tecnico" e "i livelli essenziali di prestazione (nel senso di standard di prestazione del servizio) che le Scuole ... sono tenute in generale ad assicurare ai cittadini". Ma credo non valga la pena avventurasi in disquisizioni di carattere giuridico, un po’ bizantine, se mi è consentito. Ribadisco quanto da me scritto nel precedente articolo e su cui gli autori non rispondono: se lo Stato deve astenersi da indicare gli "obiettivi di apprendimento" degli allievi, come deve essere interpretato il PECUP? Non si tratta di un "profilo" che lo Stato disegna per un quattordicenne , in grado di esercitare il suo ruolo di cittadino consapevole, in Veneto o in Sicilia, in città o nelle zone periferiche? Vi si parla infatti di ciò che gli alunni "devono conoscere e fare" alla fine del I ciclo. E allora ci troviamo di fronte a una indebita ingerenza dello Stato nell’educazione? Non mi pare .
Ricavare da questa disputa, condotta tutta sul filo di una logica molto sottile, la convinzione che si voglia stabilire dall’alto non solo ciò che gli alunni devono apprendere ma anche i "livelli" minimi di apprendimento da parte degli alunni è una deduzione non giustificata, almeno per quanto mi riguarda. Sgombriamo il capo dagli equivoci terminologici: io non parlo di "standard di apprendimento" (che rappresenta una "misura" dell’apprendimento), bensì di "obiettivi di apprendimento", vale a dire di conoscenze e abilità da conseguire da aprte degli alunni in vista del raggiungimento di determinate competenze. Dov’è lo scandalo se lo Stato indica gli OSA "da apprendere"? Con questo si arriva allo Stato educatore? Mah!. Una cosa sono gli obiettivi (il "cosa" devono sapere, fare ed essere per essere considerati cittadini consapevoli e responsabili) altra cosa sono gli standard (quelli che io, ma non credo solo io, intendo come i "livelli" minimi o sufficienti al fine di un giudizio positivo finale). La valutazione, intesa come giudizio sul livello accettabile di apprendimento, appartiene ai docenti e nessuno può metterla in dubbio, anche se si possono auspicare delle indicazioni in tal senso da parte dello Stato. Non lo dico io, ma gli autori dell’articolo riferendo l’opinione di Bertagna. "…resta comunque non solo legittimo, ma doveroso (sott. mia), per il prof. Bertagna che lo Stato definisca degli standard minimi nazionali per le prestazioni di apprendimento degli studenti", pur a determinate condizioni, essi aggiungono, non cioè in maniera semplicemente "deduttiva". Non solo, ma a un certo punto gli stessi affermano" non si capisce perché mai non dovrebbe essere (dovere dello Stato) anche quello di fissare le "norme generali" relative al cuore educativo e didattico del servizio scolastico, cioè le conoscenze e le abilità che appunto in generale devono essere insegnate dalle scuole e dai docenti agli studenti" In questo modo non torniamo ai programmi nazionali? E la libertà di insegnamento? Lo Stato stabilisce "cosa" devono insegnare i docenti, ma deve astenersi dall’indicare gli "obiettivi" che devono essere conseguiti dagli alunni!
Mi rendo conto che nella disputa dialettica si rischia di attribuire conclusioni affrettate dall’una e dall’altra parte, per cui mi astengo dal commentare oltre la posizione dei miei interlocutori; tali sono a mio parere e non degli avversari. Io credo che in fondo, almeno per quanto mi riguarda, ci sono più elementi di condivisione che di contrapposizione sui compiti che la Scuola ha nei confronti degli alunni.
Tra "vecchia" e nuova" didattica
Ed è da qui che vorrei partire per tentare di uscire dal dilemma tra "vecchia e nuova didattica"; per i critici dei Piani di studi personalizzati (che, giova sottolinearlo ancora una volta, sono stati inseriti, a mio parere surrettiziamente, nella Legge 53 al punto i dell’art. 2!) occorre tornare alla didattica "curricolare". Ma è proprio così? Si può tracciare con un tratto di penna tutto quello che si è detto tra l’85 (ultimi "programmi" della elementare) e i giorni nostri? Si può sostenere che il curricolo rappresenti la punta più avanzata di una didattica basata su principi "costruttivistici", a cui oggi non ci si può non richiamare per un corretto insegnamento? E la modularità e la "progettazione reticolare" di cui parlano anche i critici di Bertagna? Certo le UA hanno un che di artificioso, almeno nelle procedure indicate dal gruppo di Bergamo, ma comunque rappresentano un "avanzamento" rispetto alle UD. Credo che lo si debba riconoscere da parte di tutti. La logica "programmatoria" classica era in crisi già prima che uscissero le Indicazioni nazionali per i PSP. Invece di approfondire i temi di una "nuova" programmazione, ci si è limitati a smontare i PSP.
I problemi sono ben più complessi di quanto vogliano far credere gli "abrogazionisti"; i quali tutto sommato si preoccupano solo degli anticipi, del tutor, del doppio canale e tendono a difendere il tempo pieno o prolungato non con motivazioni pedagogico-didattiche, bensì con le questioni di organico .. e per venire incontro alle famiglie (per lo più settentrionali o lombarde, aggiungo io).
C’è ancora qualcuno che crede che più tempo scuola sia sempre un vantaggio per gli alunni? O si crede che il tempo pieno con due docenti "in successione" valga più dell’équipe con le compresenze? O si vuole sostenere a tutti i costi che le "funzioni tutoriali" in quanto connaturate alla funzione docente SONO già esercitate nella scuola da TUTTI i docenti? Quando ci libereremo dall’ipocrisia di scambiare il dover essere con l’essere? Chi vive nella Scuola sa che non è così. E magari il Portfolio avrebbe dovuto essere introdotto gradualmente sulla base di una adeguata preparazione dei docenti, ma non si può chiudere gli occhi e non riconoscere che tanta "valutazione" nella Scuola, specie nelle superiori, è non solo "inautentica" ma anche illegale (una o due interrogazioni al quadrimestre oppure due/tre test oggettivi o addirittura "interrogazioni scritte"!).
La vera battaglia nella Scuola è la qualità dell’insegnamento; senza qualità dell’insegnamento non ci può essere qualità degli apprendimenti.
Qualche anno fa un Ministro proveniente da Confindustria (Lombardi) mise il dito sulla piaga, affermando che la vera emergenza nella scuola era la formazione degli insegnanti, lasciata alla discrezionalità dei singoli.
Altro che OSA e competenze! Ancora oggi nella maggior parte delle Scuole medie e superiori vigono i programmi, non quelli emanati dal Ministero, ma quelli delle Case Editrici e dei compilatori di manuali; le abilità gli alunni se le sviluppano autonomamente e le "lezioni" si svolgono per la maggior parte in maniera trasmissiva. La pratica laboratoriale, (dico "pratica" e non "didattica"), salvo le dovute accezioni, è quella dei laboratori degli Istituti tecnici e professionali e le "competenze", a cui di solito ci si riferisce, sono quelle rivolte a una determinata attività professionale, nel senso più aziendalistico possibile. E intanto la maggior parte dei Licei, in cui l’impianto gentiliano non è stato affatto scalfito, checché se ne dica, continuano a essere palestre di verbosità
Tornado alla polemica di Sandrone e compagni, quanto alla "sfiducia" nei confronti degli insegnanti circa la valutazione, che trasparirebbe dagli interventi mio e di Tiriticco, starei attento a non affidarsi alle doti salvifiche dell’autonomia. Un po’ di sano realismo non basta; i risultati degli Esami di Stato nelle varie parti del paese (ma anche le prove Invalsi) stanno lì a testimoniare quanto siamo lontani da una corretta e "autentica" valutazione.
E allora, per finire: rimbocchiamoci le mani tutti, quelli a cui preme innanzitutto la qualità della Scuola. Non più "morattiani" e "antimorattiani", ma il vero discrimine è tra chi vuole innovare davvero nella Scuola e chi pensa solo a battaglie ideologiche.
P.S. Avevo scritto
questo articolo già da tempo, quando è apparsa la polemica tra il mio amico
Stefanel e la Dott.ssa Sandrone, che conosco poco, ma che so essere una
persona equilibrata e poco incline allo scontro e di Stefanel che predilige
il parlar chiaro e dritto a costo di "colpire di sciabola" e non di
fioretto. Forse Stefano avrebbe dovuto risparmiare le due espressioni troppo
forti (arroganza e opportunismo), in particolare quest’ultima. Non per
essere "irenico", tuttavia credo che lo sfogo sia giustificato da una
situazione davvero insostenibile per noi Dirigenti che "sul campo" hanno
vissuto lo scontro delle due armate, metaforicamente parlando. Ce le siamo
prese da tutti, dai favorevoli alla Riforma, perché troppo critici, e dai
contrari, perché troppo accondiscendenti. Questi ultimi poi sono arrivati
effettivamente in qualche caso all’insulto.
La Sandrone tuttavia non può non riconoscere che il vizio d’origine del
lavoro del gruppo di Bergamo è stato quello di essere stato, almeno
all’inizio, del tutto "impermeabile" e autosufficiente. Qualche apertura si
è manifestata negli ultimi tempi e così sia io che Stefanel siamo
intervenuti sulla Rivista, che nei primi tempi era un vero e proprio bunker.
Devo riconoscere la grande disponibilità di Bertagna a confrontarsi, ma
direi tuttavia più di qualche componente del gruppo ha scelto non tanto di
confrontarsi quanto di "evangelizzare" il nuovo verbo (che poi tanto nuovo
non era, come ho cercato di dimostrare). L’idea di un cenacolo ristretto,
con il Maestro e i suoi discepoli, ce la siamo fatta in tanti e non del
tutto a torto!
Si è comunque oscillato tra la rassicurazione proveniente soprattutto dal
MIUR a non considerare una "rivoluzione" le nuove Indicazioni a forme di
vero e proprio indottrinamento. Ma i PSP non si possono considerare dei
diktat e tutto l’armamentario didattico e lessicale connesso andava
istillato"a piccole dosi" se si voleva davvero convincere della bontà della
teoria. Ho visto invece docenti che usavano la nuova terminologia in maniera
così dogmatica che mi ha quasi spaventato. Quanto è colpa anche del gruppo
Bertagna questa visione quasi fideistica delle UA, con gli OF e gli OSA?
Quanto si è voluto forzare con un lessico del tutto originale la adesione al
"nuovo corso"? Ecco il senso forse il senso dell’"arroganza" (intellettuale
aggiungo io) di cui parla Stefanel. Dall’altro versante non mancano
certamente i "talebani" e ce ne accorgeremo presto. Vae victis!