06.01.2014
Sui
pulpiti, le prediche e i chierici di De Anna
di Antonio Valentino
Giuste e
sacrosante le argomentazioni di Franco De Anna
a proposito delle posizioni e degli appelli, maturati in questi giorni,
circa i criteri per la scelta, da parte del Ministro, del nuovo Presidente
INVALSI.
Giusta la distinzione tra ricerca pedagogica e ricerca educativa; giusto il
richiamo a non fraintendere i compiti e le funzioni del "sistema" della
ricerca educativa.
Opportuno e sacrosanto anche sottolineare che la "valutazione" messa in capo
all'INVALSI ha come caposaldo le rilevazioni dei livelli di apprendimento
attraverso le somministrazioni standard relative a Italiano e Matematica. E,
soprattutto, che queste “non hanno a che fare con la "valutazione degli
alunni", che è invece “prerogativa insostituibile dell'esercizio
professionale ( …) del docente”.
Ma
veniamo al senso della sua polemica, “puntuta”, come spesso gli capita,
contro “il mondo pedagogico”. Reo, a suo dire, di voler contrastare, nella
conduzione dell’INVALSI, la prevalenza di "economisti" e di "statistici",
perché tutto teso - il mondo pedagogico - a far valere la messa in primo
piano delle competenze educative, pedagogiche, ecc....
Riconosciuto il valore delle tue considerazioni, ti propongo, ora, caro
Franco, un approccio diverso alla questione. Che prende le mosse da aspetti
molto concreti con cui è fondamentale, per tutti quelli che operano nel
sistema scuola, fare i conti.
In primo luogo osservo che, dietro le posizioni con cui tu polemizzi, non
c’è solo il “mondo pedagogico” (che anzi mi sembra decisamente minoritario,
se con esso, ti riferisci, come ho pensato, a chi studia e coltiva
pedagogia, e non a chi pratica e organizza l’insegnamento).
Dietro queste posizioni, c’è innanzi il mondo della scuola (o sue parti
consistenti); soprattutto dirigenti scolastici (ma anche insegnanti e
formatori), impegnati a ridare dignità al nostro sistema scolastico. La cui
polemica non penso voglia essere aprioristica contro la presenza prevalente
di economisti e statistici nella direzione dell’INVALSI, ma, piuttosto,
contrastare modalità operative che in questi anni tendevano a prescindere
dai “luoghi” nei quali e per i quali si svolgono le rilevazioni.
La seconda considerazione si allaccia alla prima. La percezione che il mondo
della scuola ha del lavoro dell’INVALSI, conosciuto in questi anni, non è di
quelle catalogabili sotto le voci: diffusa condivisione e apprezzamento.
L’INVALSI ha continuato ad essere estraneo alle scuole e la collaborazione -
che pure non è mancata - è stata sempre considerata dalla scuola come un
atto dovuto, di cui non sempre si coglievano senso e prospettiva. E questo
perché non è stato favorito un approccio diverso al riguardo. È certamente
vero che la ricerca educativa la fa l’INVALSI; ma è innegabile che nelle
procedure di rilevazioni - e non solo - centrano le scuole. E la qualità
delle procedure molto dipende dal livello di consapevolezza dell’importanza
delle rilevazioni e dalla condivisione (o, almeno, dell’esatta
comprensione) degli oggetti valutativi (se non delle modalità di rilevarne
la padronanza).
Ora, io penso che un indicatore significativo del declino - passami il
termine - del nostro sistema sia anche il fatto che la maggior parte delle
scuole viva in modo marginale un’esperienza – quella delle prove
standardizzate - che, con tutti i limiti propri di un “progetto giovane”
(non pochi i Paesi europei che hanno cominciato parecchio tempo prima di
noi), avrebbe potuto far crescere la cultura valutativa di docenti e
dirigenti (non solo riferita agli apprendimenti, ma anche al contesto, ai
suoi contenutori, al suo clima, al suo “progetto”). Cultura valutativa
diffusa che costituirebbe risorsa importante anche per le stesse
rilevazioni dell’INVALSI.
Quindi non penso che le scuole siano immuni da “colpe” e responsabilità.
Anche se, a cercarle più in alto, se ne troverebbero di più attendibili.
Terza e ultima considerazione. L’INVALSI è soggetto, certamente
fondamentale, del Sistema nazionale di valutazione. Il senso e il valore
delle rilevazioni e delle valutazioni sono in funzione del miglioramento del
sistema. E il miglioramento non può che essere riferito alle finalità
generali e specifiche del fare scuola, oltre che alle prospettive del
sistema. Perché è vero – per limitarmi solo al primo aspetto - che le
rilevazioni afferiscono solo ad alcune aree di apprendimento, ma è
innegabile come la padronanza in tali aree condizioni, nel bene e nel male,
il successo o meno nelle altre materie di studio.
Una interlocuzione dell’intero sistema nazionale col mondo della scuola non
può pertanto essere un optional. Essa va non solo voluta (le buone
intenzioni, senza gambe, se le porta il vento) ma anche progettata e
perseguita da chi ha interesse e responsabilità al riguardo. E non per
allungare i tempi; ma per dare valore a quello che si mette in pentola.
Ognuno deve fare la sua parte (hai certamente ragione), ma la propria parte
la si gioca bene, “agendo” fino in fondo le proprie prerogative e i propri
compiti istituzionali; ma anche – e perciò stesso - conoscendo i propri
limiti e le interazioni e collaborazioni di cui si ha bisogno per
raggiungere meglio - e possibilmente prima - i propri obiettivi.
Amo
pensare che nessuno voglia in questa situazione rivendicare il primato della
cultura pedagogica. Ma solo mettere in primo piano le ragioni per cui esiste
un Sistema Nazionale di Valutazione. Che sono quelle di offrire dati e
valutazioni attendibili ai decisori politici ai vari livelli (e in primo
luogo a quello nazionale); ma anche alle scuole. nel confronto con se stesse
e con le altre realtà vicine e lontane.
Tutti siamo consapevoli che il Sistema nazionale di valutazione ha bisogno
di una pluralità di risorse, tutte ugualmente importanti e tutte di qualità.
Rivendicare primati di alcune competenze rispetto ad altre è insensato,
oltre che controproducente. Ma penso, comunque, che a dettare l’agenda, come
si dice, non può che essere la sua “ragione sociale” (come diresti tu): a
chi serve e perché. Un economista può valere quanto un pedagogista, come
presidente, se la figura scelta si muove in questa logica e con questa
prospettiva.
Ragionamenti, caro Franco, a botta calda sui punti caldi; e soprattutto
senza pretese.
Quanto poi alla Storia, beh, lei fa quello che vuole. Forse. Come la storia
- quella con la s minuscola che si occupa di ricostruire eventi - continua
a raccontarci. Forse. (“Insegnarci” è termine troppo grosso e impegnativo).
Comunque pensare, almeno in qualche caso, a cambiarne il corso, può
risultare, talvolta, addirittura divertente. Non pensi?