24.12.04
Amore e autorità per vincere il disagio
Don
Giovanni Bosco aveva dedicato la sua vita ai giovani balordi, abbandonati a sè
stessi, che vivevano per strada, coloro che noi oggi chiameremmo i perdenti o i bulli,
coloro che allinterno della scuola fanno vivere situazioni di disagio e
di estrema difficoltà sia alle loro vittime che agli insegnanti.
Su che cosa trovava fondamento la sua autorità? Che cosa riusciva a muovere verso il bene
quei giovani?
Semplicemente lamore. Li aveva amati, infatti, e li aveva formati con il
lavoro e la disciplina. A coloro che gli chiedevano di scrivere il suo metodo rispondeva
Amateli questi giovani e mostrate loro di farlo.
E questa la sintesi meravigliosa dell educazione , di cui ogni teoria
educativa che fondi le sue ragioni sulla persona non può fare a meno.
Non mi nascondo tuttavia che parlare deducazione in questi termini,
soprattutto oggi di fronte alla crisi dei valori e di questa società in cui prevale il
disordine morale, legoismo e lindifferenza , può sembrare una utopia. Ritengo
al contrario che non lo sia e anzi sono convinto che occorre recuperare allinterno
dellorganizzazione scolastica, il valore ed il senso dellamore inteso
come lessere per gli altri, come servizio per la promozione umana.
Tale
esigenza appare ancor più rilevante se si considera da un lato lemergere del
disagio che tanti giovani vivono e dallaltro limpotenza della scuola che si
trova disarmata di fronte al fenomeno della violenza e dellaggressività, delle
prepotenze, delbullismo.
E un emergere di solito imprevisto e dirompente che si manifesta in diverse forme e
che trova spesso linsegnante e lorganizzazione impreparati: vi sono alunni
iperattivi, con deficit dattenzione in alcuni casi aggressivi, senza alcuna
motivazione allo studio che sono la disperazione dei loro insegnanti che non sanno più
cosa fare; vi sono, soprattutto,alunni , insofferenti alle regole e allautorità,
prepotenti ed aggressivi , che rendono la vita allinterno delle classi impossibile
ed impediscono agli insegnanti di fare scuola.
E vero che anche la stessa scuola può essere fonte di disagio quando soprattutto
crea un ambiente speciale in cui fondamentale è il programma disciplinare, e chiede
prestazioni non corrispondenti ai tempi e alle capacità di ognuno e crea essa stessa
situazioni per far fallire .
Il
chiudersi della scuola allinterno dei propri programmi e allombra delle
discipline e delle loro pretese e del medium del voto, della bocciatura come strumento di
selezione e anche di punizione, è stato e sarà un errore se non vi porremo riparo.
La scuola del resto non è una isola felice e non può essere un ambiente
artificiale che tiene fuori la società e i suoi problemi.
Le stesse finalità dellautonomia confermano quella che appare una evidenza: la
necessità di legare la scuola al territorio; la necessità di fare della scuola un
laboratorio progettuale che risponda concretamente ai bisogni, alle attese del territorio.
Cercare di rendere la scuola un ambiente speciale potrebbe , è vero, semplificare i
problemi. Tenere fuori i fattori che caratterizzano lambiente che non sono
degni di influenzare le abitudini mentali (Dewey) è separare la scuola
dalla vita sociale e dalle sue negatività, ma è creare qualcosa di artificiale che non
contribuisce alla promozione culturale e umana della persona. Occorre invece tenere ben
presenti le insufficienze della società, i suoi aspetti negativi e problematici, che
vanno comunque considerati una risorsa educativa , nellambito delle più ampie
finalità educative
Tale esigenza si pone appunto con forza soprattutto quando la scuola, e capita
sempre più spesso come abbiamo affermato, deve affrontare il diffondersi del fenomeno del
bullismo
E un fenomeno che si evidenzia in
modo preoccupante durante la preadolescenza ma che ha segnali inequivocabili durante la
prima infanzia e la fanciullezza.
Da qui la necessità assoluta di una diagnosi precoce e di interventi e strategie messe in
atto subito già dalla scuola materna ed elementare nella prospettiva della continuità
didattica ed educativa. Dobbiamo sottolineare che quegli alunni che si
rendono protagonisti di episodi di bullismo più o meno gravi non sono dei
mostri ma sono persone che vivono situazioni problematiche e difficili e quindi non
possono comunque essere abbandonati. E nello stesso tempo gli altri, la maggioranza
positiva, vanno protetti, difesi, incoraggiati e sostenuti.
Da questa presa datto nasce lesigenza
di un atteggiamento diverso da parte degli insegnanti, un atteggiamento fondato sulla
dedizione allaltro, sul mettersi in gioco ogni giorno con un linguaggio mansueto che
incoraggia, sostiene, consola, riprende senza lasciarsi scoraggiare dagli atteggiamenti
negativi.
La scuola comunque da sola non può farcela. Occorre cercare il sostegno in primo luogo
della famiglia, la principale responsabile delleducazione dei propri figli, dellente
Locale e dei suoi servizi, della Asl. Non va sottaciuto che in alcuni casi, i più
difficili, quando la famiglia è assente o esplica unazione negativa, essenziale
può diventare il ruolo della procura e del tribunale per i minorenni, istituzioni che
vanno intese nel loro carattere di servizio e di prevenzione e non solo nel loro compito
di repressione dei reati. E forse lestrema ratio, quando non si riesce in
alcun modo a risolvere il problema o quando ci si trova di fronte a veri e propri reati.
Saper attivare gli interventi attraverso anche formalità giuridiche, protocolli, intese,
accordi di programma, è il compito che si deve dare lorganizzazione della scuola.
Compito invece di ogni insegnante è saper creare situazioni di confronto e di
dialogo allinterno della classe facendosi carico di ogni situazione problematica.
Occorre cioè saper creare una comunità educante sul modello di quanto accadeva in
passato per cui tutti i membri di una collettività si sentivano impegnati nella
formazione dei giovani, facendosi esempi significativi, esortando, ammonendo, consolando
sostenendo i giovani in difficoltà.
Le stesse indicazioni per la futura scuola media lo
sottolineano
Scuola della prevenzione dei disagi e del recupero degli svantaggi. La
migliore prevenzione è leducazione. Disponibilità umana allascolto e al
dialogo, esempi di stili di vita positivi, testimonianza privata e pubblica di valori,
condivisione empatica di esperienze, problemi e scelte, significatività del proprio ruolo
di adulti e di insegnanti, conoscenze e competenze professionali diventano le occasioni
che consentono alla Scuola Secondaria di 1° grado di leggere i bisogni e i disagi dei
preadolescenti e di intervenire prima che si trasformino in malesseri conclamati,
disadattamenti, abbandoni. Il suo primo punto di forza in questa strategia è
rappresentato dal coinvolgimento delle famiglie; i genitori, infatti, sono chiamati in
prima persona a confrontarsi non solo con gli eventi scolastici dei figli, ma anche e
soprattutto con levoluzione della loro peculiare personalità. Laddove tale
coinvolgimento mancasse, la scuola stessa è chiamata ad affrontare questo
punto di debolezza, utilizzando tutte le proprie risorse, a cui si aggiungono quelle
delle istituzioni della società civile presenti sul territorio." (1)
Quali, tuttavia, gli strumenti che lorganizzazione
scolastica ha a disposizione in questa opera?
Allinterno delle scuole lesperienza ci ha insegnato
che luso di sanzioni immediate ai responsabili di atti di violenza e latteggiamento
di non tolleranza nei confronti di alunni prepotenti e litigiosi sono utili strumenti per
proteggere lambiente scolastico nellimmediata contingenza ma non sono
risolutivi del problema.
Occorre infatti un intervento preventivo di più ampio respiro, come abbiamo già detto,
fondato sulla persona, sui rapporti umani , sulla disponibilità ad essere per gli altri
di chi opera allinterno della scuola.
Del resto i provvedimenti disciplinari, che dovrebbero essere lestrema ratio e
tendenti sempre alla riconciliazione dellalunno con lambiente
scolastico,possono da soli risolvere il problema?
A tali provvedimenti gli alunni più indisciplinati rispondono per certi versi rendendo
clandestino il loro comportamento aggressivo e violento nei confronti degli
altri alunni e per altri con atteggiamenti provocatori e intolleranti nei confronti degli
insegnanti che loro sentono più deboli .
Si pone dunque il problema di come considerare lautorità: una autorità che
trova la sua forza nelle proprie prerogative e sulla legge o unautorità come valore
(2) che trova
giustificazione nel suo porsi come servizio?
Naturalmente siamo per il secondo modo di intendere lautorità.
Ma andiamo per gradi.
Come è
possibile il formarsi allinterno della scuola di gruppi di alunni ribelli ad ogni
richiamo e al rispetto delle regole che pure sono indispensabili per la convivenza civile?
Assistiamo oggi, non possiamo far finta che non sia così, al diffondersi di un sistema
sociale caratterizzato dal disordine morale, privo di regole, dal disprezzo per la vita
stessa delluomo, senza alcun rispetto per linfanzia e la sua innocenza,
sistema che porta alla frammentazione della società, alla formazione in essa di piccoli
gruppi caratterizzati dal prevalere, spesso con la violenza e la prevaricazione, di una
propria autorità che si contrappone allautorità costituita alla quale non si
riconosce alcun valore.
Lambiente scolastico, che come abbiamo detto non è un ambiente artificiale, risente
di tale frammentazione e può subire il formarsi di piccoli gruppi insofferenti allautorità
anzi tendenti a stabilire una propria autorità.
Non è sufficiente in questo caso lazione dei singoli insegnanti che
direttamente vivono il problema. Tutta la comunità deve reagire. Il problema
è di tutti e non solo degli insegnanti di quella determinata classe.
Occorre la solidarietà di tutti che si manifesta nella disponibilità ad
intervenire nella classe in cui maggiore è la presenza del disagio, ad intervenire nei
luoghi di vita comune.
La scuola come piazza dove tutti si sentono partecipi di una cittadinanza
attiva che controlla, aiuta, comunica, crea situazioni positive.
Ma anche questo può risultare insufficiente.
E ormai consolidato il concetto che occorra una visione integrale della
persona alunno. Se questo è dobbiamo tener conto che la vita della persona non
inizia con la scuola né la scuola ne esaurisce lesperienza. La persona va dunque
vista in situazione, cioè nei contesti problematici che la vita pone e che
vanno affrontati nella loro globalità e dinamicità.
In tal modo parlare di piani personalizzati e di portfolio (vedi la nuova riforma), ma
anche di lavori di gruppo, di apprendimento cooperativo, della questione tempo e non
ultimo di attrezzature e materiali didattici e degli spazi, non è marginale ma diventa
fondamentale.
Lapprendimento non è una solo una risposta ai bisogni che emergono durante la
crescita ma è una reale operazione culturale: il sapere, il saper fare e il saper essere
sono una conquista spesso faticosa: è lavoro quotidiano , è impegno costante.
Ed essendo lavoro esso deve essere organizzato ed affrontato con responsabilità e nel
rispetto delle regole. A nessuno è concesso di fare a meno delle regole . Al minimo
questo comporterebbe linsuccesso. Lesempio comunque resta il fattore
determinante: come chiedere allalunno di rispettare le regole che il lavoro
culturale impone se lambiente circostante dimostra spesso di tener in scarso
conto le stesse regole? Se un alunno che ha infranto la norma non viene chiamato alle
proprie responsabilità ed è continuamente giustificato, il risultato non può essere che
il suo permanere nellerrore e nel comportamento negativo. Tuttavia la condanna
non è lunico modo di opporsi allerrore.
E
una constatazione oggettiva e se vogliamo , è un fatto naturale, che il preadolescente
aspiri a diventare soggetto del proprio destino liberandosi da ogni situazione
di dipendenza, che è individuata spesso nel rapporto con i genitori e con gli insegnanti.
Tale aspirazione in alcuni diviene però patologica nel senso che porta alla ribellione di
fronte ad ogni tipo di autorità ed imposizione: è questo il caso degli alunni
problematici.
Rispondere a tale aspirazione con atteggiamenti autoritari e repressivi serve a poco anzi
rischia di radicalizzare i rapporti con gravi conseguenze.
A questa
degenerazione dellaspirazione alla libertà va invece contrapposta una autorità che
stimoli la persona a diventare soggetto della propria formazione valorizzando ogni
pur piccola positività, una autorità che riconosca le responsabilità di ciascuno,
promuova il processo di acquisizione dei compiti che non possono essere di altri ma
propri.
E un lavoro difficile che presuppone un cambiamento di mentalità, una ridefinizione
di ruoli che non significa certamente il mettere in discussione lautorità ma
significa prendere atto che
Essa non può essere prerogativa che divide ma deve essere servizio per la comunità:
autorità per e non autorità contro.
La vita nella scuola, in tutte le sue manifestazioni dovrebbe svilupparsi in uno scambio
continuo di informazioni, idee, collaborazione, sostegno, in una interazione
continua tra il personale della scuola e tra questi e gli alunni.Dovrebbe essere un
incontro di persone che partecipano della stessa vita e crescono nella loro interazione,
con il confrontare le esperienze, i problemi e le difficoltà. Solo attraverso lincontro
e linterazione le persone che costituiscono la comunità scolastica maturano e
crescono. Lautorità in questo contesto è collegata alla capacità di prendere
iniziativa e si esprime non in prerogative che costituiscono le gerarchie ma in servizio
reciproco ispirato da un idem sentire e tendente alla crescita della stessa comunità. Lautorità
attraverso leducazione tende, infatti, a valorizzare la persona , suo scopo è
stimolare a vivere responsabilmente.
E comunque non si può educare alla responsabilità personale attraverso lindiscussa
esecuzione degli ordini e attraverso la sola repressione dellerrore. Lautorità
deve farsi carico di eliminare ogni situazione di ingiustizia ma non può costringere a
non sbagliare. Sarebbe infatti un errore pretendere di controllare la libertà della
persona-alunno con il pretesto di costringerla a non sbagliare. Il provvedimento
repressivo dellautorità finisce spesso per ottenere leffetto contrario alle
motivazioni per cui è messo in atto.
Per questo i conflitti non vanno né temuti né evitati ma vanno affrontati con coraggio e
determinazione, cercando in essi stessi ciò che può portare a risolverli.
Certamente sarebbe estremamente facile limitarsi a correggere lerrore piuttosto che
cercare di far capire dove si sta sbagliando. Correggere semplicemente lerrore, lesperienza
ce lo ha insegnato, è improduttivo occorre invece saper indicare ,attraverso il dialogo
continuo,in modo convincente e credibile quale è la strada giusta e come percorrerla. Lautorità
non è infatti imposizione , non è norma fine a sé stessa ma è competenza,
responsabilità che richiede a chi ne è investito (insegnante, dirigente
) di essere
sempre al servizio della comunità per evitare il prevalere in essa di
comportamenti negativi che possono indebolirla e per favorire condizioni che possono
invece promuoverla e farla crescere.
Tale atteggiamento non si inventa ma si costruisce giorno per giorno assumendo il rischio
e la responsabilità conseguente, ma anche cercando la condivisione. In definitiva si
tratta di costruire l autorità come un valore condiviso e non come
potere da temere e al quale si è involontariamente soggetti.
Girio Marabini