12.02.01
Riforma dei cicli
Cosa cambia nella scuola dell'infanzia ?
Alcune considerazioni sul documento
conclusivo
del Gruppo di lavoro sulla Scuola dell'Infanzia
di Girio Marabini
La Scuola dell'Infanzia, appena toccata dal processo conmplessivo di
riforma , rischia , di retrocedere a pura scuola assistenziale. I segnali sono evidenti,
basta pensare alla articolazione proposta per la scuola di base( 2+3+2) e alla mancata
obbligatorietà del terzo anno dell'attuale scuola materna.
Eppure tutti si affannano a dire che essa si inserisce a pieno titolo nel sistema
nazionale di istruzione e formazione; il come non è dato di sapere e resta nell'alveo
delle pie intenzioni...
E' vero comunque che il gruppo di lavoro sulla Scuola dell'Infanzia ha cercato in qualche
modo di mettere riparo all'occasione mancata dal piano quinquennale di attuazione dei
nuovi cicli che, lo ribadiamo, poco contiene rispetto a questo importante momento della
formazione dell'uomo e del cittadino.
L'indicazione fondamentale infatti di un curricolo progressivo , essenziale e continuo che
coninvolga la persona dai tre ai dodici anni , è una intuizione importante che se attuata
correttamente porterà notevoli contributi al successo formativo nella scuola
dell'autonomia.
Ciò che però non convince è quel sottolineare in maniera quasi ossessiva l'importanza
dell'acquisizione delle "competenza" come elemento, il solo, capace di unificare
il sapere ed il saper fare. Ci sembra in tal modo voler ridurre le produttive intuizioni
degli orientamenti del '91 a puro tecnicismo, ad una cultura spicciola ed immediata che
consenta semplicemente al bambino di utilizzare le conoscenze per il soddisfacimento dei
bisogni del momento. La cultura, come diremo al termine di questa breve riflessione, non
è solo questo.
Vediamo brevente dunque, sperando di aver colto nel segno, quali sono gli aspetti più
significativi del documento conclusivo redatto dal gruppo di lavoro - Scuola
dell'Infanzia. Tralasceremo in questa sede la parte conclusiva del documento, relativa
alla "scuola dell'Infanzia e attuazione della legge 30/2000. Sarà oggetto di una
successiva riflessione.
Si inizia con il riconoscimento della validità pedagogico didattica degli orientamenti
del '91. Essi possono costituire la base per la definizione del curricolo da parte delle
singole scuole.
In questa azione occorre abbandonare ogni tentazione enciclopedica, nozionistica e
contenutistica, per abbracciare un'idea ampia di competenza in funzione dell'orientamento.
Il curricolo deve essere poi progressivo nei confronti della scuola di base.
L'apprendimento nella scuola dell'infanzia dunque deve essere interpretato come "un
processo di progressiva, attiva e creativa rielaborazione della realtà nell'incontro con
i linguaggi della cultura"
Se così è il curricolo della scuola di base non può essere limitato alla epistemologia
e al metodo di una disciplina ma è ricerca integrata dei criteri, dei contenuti e dei
modi più efficaci per organizzare la conoscenza. I principi a cui ispirarsi sono appunto
quelli della progressività, essenizialità, continuità. Non si tratta tuttavia di
semplificare o ridurre ma di identificare ed essenzializzare una serie di competenze
fondamentali da promuovere progressivamente nei diversi livelli di scolarità. E' la
costruzione di un curricolo unitario dal ciclo dell'infanzia al ciclo secondario che tenga
comunque conto delle peculiarità dei singoli cicli.
Da questo scaturisce la fondamentale importanza del curricolo dell'Infanzia perchè esso
può essere generativo del curricolo complessivo.
In questa ottica anche i "campi di esperienza" previsti dagli Orientamenti '91
mantengono la loro validità.
La Scuola dell'Infanzia ha il compito di mediazione culturale, utilizzando proprio i campi
di esperienza, per la progressiva costruzione delle conoscenze e delle competenze che
diventano la mappa del percorso formativo dal promuovere dalla scuola dell'Infanzia alla
scuola di base.
Tale impostazione impedisce di definire gli obiettivi formativi come contenuti di
apprendimento. essi vanno invece declinati come atteggiamenti e capacità da promuovere.
E qui l'ovvia considerazione che i tre traguardi dello sviluppo indicati negli
orientamenti - maturazione dell'identità, conquista dell'autonomia, sviluppo della
competenza vanno ripensati " come frutto di un percorso nel quale, offrendo
situazioni significative di esperienza, a ciascun bambino venga data la possibilità di
esprimere la propria soggettività e, progressivamente, di governarla (maturazioen
dell'identità), di interagire e comunicare con altri in maniera produttiva e sempre più
raffinata"
Detto questo il gruppo di lavoro arriva al dunque.
Nel ribadire la complementarietà dello sviluppo affettico, sociale e intellettuale dei
bambini dai tre ai sei anni, vengono proposti gli aspetti irrinunciabili dello sviluppo
del bambino:
a) la capacità di esprimere e dare forma al proprio mondo interno
b) la capacità di esprimersi verbalmente per sollecitare le azioni altrui
c) la capacità di tener conto del punto di vista altrui nell'azione e nella comunicazione
Per raggiungere tali obiettivi occorre "dichiarare che cosa ci si aspetta che un bambino diventi alla fine del percorso formativo compiuto nella scuola dell'infanzia, definendo con chiarezza quali aspetti dello sviluppo sociale, intellettuale e emotivo si intendono promuovere".
Ed il gruppo poi si esercita in una azione di semplificazione dando indicazioni nell'ambito degli orientamenti del '91 per declinare i seguenti aspetti:
a) sviluppo sociale
b) consolidamento dell'identità personale
c) sviluppo intellettuale atrtraverso l'acquisizione di un atteggiamento di curiosità e
delle capacità di elaborare, organizzare, ricostruire.
Si ribadisce poi il concetto della continuità che deve essere
riferita non solo ai traguardi e alle competenze ma allo specifico approccio curriculare.E
le scuole lo potranno fare attraverso l'elaborazione di specifici progetti di
collaborazione
Per quanto riguarda la valutazione, l'esercitazione del gruppo di lavoro, diventa ancor
più accademica .
Badate bene la valutazione non deve essere intesa in senso docimologico: naturalmente
devrà essere una valutazione formativa. Valutare chi o che cosa? Innanzitutto occorre
valutare la scuola come ambiente educativo. Occorre valutare l'offerta formativa della
scuola. In questo modo sarà possibile apprezzare la qualità dell'ambiente educativo per
promuovere la riflessione e l'innovazione.
Siamo dunque al solito discorso sulla qualità. Mai una volta che si riesca a fare un
discorso serio sulla qualità in pedagogia, sulla necessità di approntare un sistema
veramente educativo fondato su solidi valori e risorse pedagogiche. Siamo al solito
"costruite una organizzazione di qualità, da essa sicuramente deriveranno risultati
positivi per la formazione dei bambini".
Sappiamo che così non è: la ricerca socio-pedagogica ha dimostrato che l'organizzazione
di qualità incide solo per un 10% sui risultati degli alunni.
Abbiamo bisogno di ben altro.
Potremo infatti condividere l'assersione "la promozione della qualità appare
un'esigenza ineludibile per le scuole operanti nella dimensione dell'autonomia" solo
se sarà definita tale qualità in termini filosofici e pedagocici. Nessuna altra qualità
può appartenere al mondo della scuola, luogo educativo per eccellenza.
Manca però questa anima alla riforma, lo sappiamo. Manca un quadro filosofico e culturale
complessivo, essa è un insieme di tasselli spesso diversi da come erano stati disegnati
dall'ideatore.
E dunque , attenzione, le competenze vanno intrecciate con i lineamenti di metodo
descritti dagli Orientamenti , dando senso "a quel che si fa, che sia coerente col
come si fa e che renda chiaro e comprensibile il perchè."
E infatti competenza per quale cultura?
Non mi pare sia possibile trovare nella Sintesi del Gruppo di lavoro una risposta a tale
domanda.
Certamente il loro lavoro si inserisce a pieno titolo nel solco della tradizione
bruneriana e delle teorie dell'apprendimento in particolare "mastery learning" e
curricoli. Una cultura pedagogica finalizzata certamente , ed è lodevole, a riscoprire il
ruolo e il valore del lavoro che io ritengo, sia soprattutto un fatto di esistenza, di
esistenza pulita ed utile, di esistenza sana.
Provo tuttavia a dare una risposta frutto di un personale convincimento e per questo
limitato e forse, non scientifico.
Ritengo che la cultura non sia solo competenza cioè "padronanza consapevole di
conoscenze, abilità, linguaggi, cioè di quei saperi "situati" che scaturiscono
da contesti di apprendimento stimolanti e motivanti" (in "verso i curricoli
della Scuola di base", a cura di Franco Frabboni e Giancarlo Cerini, Tecnodid, pag.
9).
La cultura è anche, se vogliamo semplicemnete, capacità di pensare che può
corrispondere, sembra un paradosso, al non saper fare e alla non competenza: è
l'attenzione, il giudizio, il senso critico, la creatività, il metodo della ricerca e del
progettare. E' ciò che consente ad uno che non sa scrivere una poesia di poter gustare la
poesia, di poter criticare una poesia.
E' una questione di libertà creativa . Favorendo tale tipo di cultura potremo liberare la
creatività del bambino, la fantasia, il gusto dell'apprendere per sapere, per conoscere
cose anche se non appartengono al proprio contesto e al proprio ambiente, in modo
sincronico e diacronico. E' in questo quadro che il lavoro germina cultura.
Limitare quindi l'apprendimento alle sole competenze è fare corto il cervello dei nostri
alunni.
Mi scuso se ho banalizzato le posizioni , ma so che c'è una grande differenza tra
curricolo dichiarato e curricolo effettivamente realizzato..So poi che è comoda abitudine
seguire le indicazioni "dei programmi" piuttosto che leggere e interpretare tali
indicazioni. E' per questo che il rischio di estrema riduzione ed essenzializzazione delle
conoscenze diventa rischio di nuovo analfabetismo.
Girio Marabini