18.11.00
A proposito di storia e libri di testo
di Girio Marabini
In questi giorni ho seguito il dibattito acceso
sulla questione dei libri di testo innescato dall'improvvida proposta avanzata da una
parte politica.
Tuttavia, le reazioni mi sono sembrate per la verità un po' scomposte anche perchè
ritengo vi sia in circolazione uno strano concetto della libertà di pensiero, per cui
solo chi possiede la "verità" ha il diritto di manifestarla, gli altri devono
tacere.
Chi ha dato la propria vita per la libertà lo ha fatto anche per quelli che, si ritiene,
sono nell'errore e non si sconfigge l'errore alzando le barricate ma discutendo
democraticamente e cercando di mettere sul tavolo della discussione elementi e fatti
concreti.
Il primo fatto che salta agli occhi è che è stata sollevata l'accusa di faziosità
soprattutto ad un ben preciso campo dei libri di testo e cioè al libro di storia. Sarebbe
ipocrito non ammettere che molti libri di testo in uso nelle nostre scuole dalle
elementari, alle medie, alle superiori quando trattano questioni relative al novecento lo
fanno in modo affatto obiettivo.
Chi insegna la storia lo sa e deve comunque ricordare che la propria libertà di
insegnamento trova un limite di fronte al diritto del soggetto che apprende di conoscere
tutte le verità in modo da formarsi un abito critico.
Se così non fosse si pone sicuramente il problema del docente" cattolico" che
impone le sue idee, del docente"comunista" che impone le sue idee e del docente
"fascista" che impone le sue idee e così via, ma è questo che ci si chiede?
Vediamo di affronatre il problema da un altro punto di vista.
Alla domanda "perché insegniamo la storia" non si può rispondere se prima non
si è affrontato un altro problema : che cosa è la storia.
In verità è mia convinzione che ogni insegnante possiede una certa idea della storia,
della natura e della validità della conoscenza storica perché ciò costituisce la
premessa indispensabile di ogni sua attività didattica in questo settore. Ciascuna teoria
della storia muove da premesse filosofiche o più semplicemente da una concezione generale
del mondo e dell'uomo. Non è questo tuttavia il luogo per parlarne e mi limiterò ad
osservare che le teorie possono essere raggruppate intorno a due orientamenti principali:
l'indirizzo idealistico e quello neopositivistico.
Secondo l'indirizzo idealistico ciascun evento storico è qualcosa di unico e irripetibile
e come tale va studiato. I singoli fatti storici quindi non possono essere ridotti a leggi
generali come avviene per i fatti fisici. Al contrario l'indirizzo neopositivistico
ritiene che il metodo , proprio delle scienze empiriche, può essere applicato per
spiegare la storia.
Tutti gli eventi storici sono riconducibili sotto leggi categoriali ( o generali):
applicando queste leggi o ipotesi universali ai dati relativi al caso particolare si può
dedurre una spiegazione storica.
Posto dunque che ognuno di noi secondo la propria concezione generale della vita e del
mondo, ha in se stesso risolto il problema di che cosa è la storia veniamo alla seconda
domanda: perché insegnamo la storia.
Dagli antichi greci in poi il passato è sempre stato un atto d'insegnamento, ma in forma
indiretta perché subordinato alle esigenze di indottrinamento che a seconda delle
epoche,, voleva letterario, o filosofico o religioso.
Fu il secolo XIX con l'avvento dei regimi liberali, col bisogno di un'educazione
nazionale, storica per natura, con il culto della storia proprio del romanticismo, che
realizzò le condizioni politiche e culturali perché la storia acquistasse un posto
autonomo tra le discipline scolastiche. L'origine politica del nuovo ruolo della scuola
caratterizzò il fine del suo insegnamento.
Questo fine politico a seconda dei luoghi e dei tempi, è dinastico o nazionale,o
patriottico o classista. Quando questi fini sono perseguiti in modo esclusivo non vi è
più l'insegnamento veramente storico.
Il fine politico dell'insegnamento può esistere a mio avviso solo in quanto esso esercita
una funzione civilmente positiva, quando cioè assume un certo contenuto: l'educazione
civica.
Nella scuola media è dato particolare risalto all'educazione civica e alla sua
connessione con la storia.
Fin dal titoli I, cap.I art.I della legge istitutiva della scuola media il legislatore
dichiara: " La scuola media concorre a promuovere la formazione dell'uomo e del
cittadino secondo i principi stabiliti dalla costituzione
" e nei programmi di
insegnamento relativamente alla storia si afferma: " a tale risultato concorre
l'educazione dell'educazione civica, che, muovendo appunto dallo studio della storia e
dello stesso svolgersi e articolarsi della vita cittadina e di quella scolastica, si
propone di condurre il giovane a riconoscere nelle libertà garantite dalla costituzione
le forme della sua autonomia e responsabilità personale, ossia della libertà di
esplicare la sua personalità in armonia con l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica, e sociale.
I profondi nessi esistenti tra storia ed educazione civica postulano che i due
insegnamenti affidati al medesimo docente, vengano condotti e sviluppati in un quadro di
intima collaborazione
"
Inteso dunque come preparazione alla vita sociale, il fine politico dell'insegnamento
della storia contribuisce a combattere gli istinti asociali, sviluppare i sentimenti di
solidarietà, dare coscienza che tra l'individuo e l'umanità esistono delle strutture in
cui concretamente esso deve operare e senza cui non gli è possibile realizzarsi
pienamente.
Concepito in tal modo il fine politico non è inconcepibile ma anzi è elemento
costitutivo del più universale fine umanistico verso cui si spingono le nuove concezioni
dell'educazione.
Esse guardano infatti all'uomo, mirano ad aiutare lo sviluppo mentale e psichico dell'uomo
ad arricchirne la personalità, a rendere più armonico il suo futuro inserimento
nell'ambiente..
Trasferito nell'insegnamento della storia ciò si traduce nell'aiutare l'alunno ad
acquisire un senso del tempo e a formarsi un abito critico.
La storia dunque , non deve essere presentata in maniera dogmatica, ma in modo
problematico così da abituare l'allievo ad una mentalità critica che non è tuttavia il
culto della critica, la folle pratica di una critica cioè disancorata dai dati di fatto,
verbalistica e sofistica. E' questo al contrario il metodo critico, il metodo cioè della
ricerca, della discussione, del confronto delle testimonianze.
Occorre convincere gli alunni che nella conoscenza storica non c'è verità definitiva, ma
una verità provvisoria che può e deve essere rimessa in discussione quando si
conosceranno meglio i fatti . I vantaggi formativi di questo metodo sono molteplici.
L'insegnamento attuato mediante la riflessione, la discussione e il richiamo continuo ai
limiti delle nostre conoscenze renderà gli allievi capaci di valutare i fatti con una
certa obiettività, di mostrare una attenta considerazione delle idee altrui, di crearsi
una forma mentale propria del cittadino di una democrazia. Quanto al fine
"morale" che può derivare dall'insegnamento critico della storia, esso è ben
diverso dall'insegnamento moralistico in uso nei tempi passati che cerca nei fatti esempi
di malvagità punita o di virtù premiata. Tale visione della storia rinunciava
all'obiettività in favore di una azione etico-pedagogica
ma ormai dovrebbe essere
"storia" passata!!
E allora il libro di testo che propone una visione parziale della vita e degli avvenimenti
soprattutto della attualità recente che non è ancora storia, non è un buon libro di
testo.
Non scendo poi per non essere polemico sul modo come in molte realtà vengono scelti i
libri di testo: i genitori? I consigli di classe? Il collegio dei docenti? lasciamo
perdere...
In questi giorni ho seguito il dibattito acceso sulla questione dei libri di testo innescato dall'improvvida proposta avanzata da una parte politica.
Tuttavia, le reazioni mi sono sembrate per la verità un po' scomposte anche perchè ritengo vi sia in circolazione uno strano concetto della libertà di pensiero, per cui solo chi possiede la "verità" ha il diritto di manifestarla, gli altri devono tacere.
Chi ha dato la propria vita per la libertà lo ha fatto anche per quelli che, si ritiene, sono nell'errore e non si sconfigge l'errore alzando le barricate ma discutendo democraticamente e cercando di mettere sul tavolo della discussione elementi e fatti concreti.
Il primo fatto che salta agli occhi è che è stata sollevata l'accusa di faziosità soprattutto ad un ben preciso campo dei libri di testo e cioè al libro di storia. Sarebbe ipocrito non ammettere che molti libri di testo in uso nelle nostre scuole dalle elementari, alle medie, alle superiori quando trattano questioni relative al novecento lo fanno in modo affatto obiettivo.
Chi insegna la storia lo sa e deve comunque ricordare che la propria libertà di insegnamento trova un limite di fronte al diritto del soggetto che apprende di conoscere tutte le verità in modo da formarsi un abito critico.
Se così non fosse si pone sicuramente il problema del docente" cattolico" che impone le sue idee, del docente"comunista" che impone le sue idee e del docente "fascista" che impone le sue idee e così via, ma è questo che ci si chiede?
Vediamo di affronatre il problema da un altro punto di vista.
Alla domanda "perché insegniamo la storia" non si può rispondere se prima non si è affrontato un altro problema : che cosa è la storia.
In verità è mia convinzione che ogni insegnante possiede una certa idea della storia, della natura e della validità della conoscenza storica perché ciò costituisce la premessa indispensabile di ogni sua attività didattica in questo settore. Ciascuna teoria della storia muove da premesse filosofiche o più semplicemente da una concezione generale del mondo e dell'uomo. Non è questo tuttavia il luogo per parlarne e mi limiterò ad osservare che le teorie possono essere raggruppate intorno a due orientamenti principali: l'indirizzo idealistico e quello neopositivistico.
Secondo l'indirizzo idealistico ciascun evento storico è qualcosa di unico e irripetibile e come tale va studiato. I singoli fatti storici quindi non possono essere ridotti a leggi generali come avviene per i fatti fisici. Al contrario l'indirizzo neopositivistico ritiene che il metodo , proprio delle scienze empiriche, può essere applicato per spiegare la storia.
Tutti gli eventi storici sono riconducibili sotto leggi categoriali ( o generali): applicando queste leggi o ipotesi universali ai dati relativi al caso particolare si può dedurre una spiegazione storica.
Posto dunque che ognuno di noi secondo la propria concezione generale della vita e del mondo, ha in se stesso risolto il problema di che cosa è la storia veniamo alla seconda domanda: perché insegnamo la storia.
Dagli antichi greci in poi il passato è sempre stato un atto d'insegnamento, ma in forma indiretta perché subordinato alle esigenze di indottrinamento che a seconda delle epoche,, voleva letterario, o filosofico o religioso.
Fu il secolo XIX con l'avvento dei regimi liberali, col bisogno di un'educazione nazionale, storica per natura, con il culto della storia proprio del romanticismo, che realizzò le condizioni politiche e culturali perché la storia acquistasse un posto autonomo tra le discipline scolastiche. L'origine politica del nuovo ruolo della scuola caratterizzò il fine del suo insegnamento.
Questo fine politico a seconda dei luoghi e dei tempi, è dinastico o nazionale,o patriottico o classista. Quando questi fini sono perseguiti in modo esclusivo non vi è più l'insegnamento veramente storico.
Il fine politico dell'insegnamento può esistere a mio avviso solo in quanto esso esercita una funzione civilmente positiva, quando cioè assume un certo contenuto: l'educazione civica.
Nella scuola media è dato particolare risalto all'educazione civica e alla sua connessione con la storia.
Fin dal titoli I, cap.I art.I della legge istitutiva della scuola media il legislatore dichiara: " La scuola media concorre a promuovere la formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi stabiliti dalla costituzione " e nei programmi di insegnamento relativamente alla storia si afferma: " a tale risultato concorre l'educazione dell'educazione civica, che, muovendo appunto dallo studio della storia e dello stesso svolgersi e articolarsi della vita cittadina e di quella scolastica, si propone di condurre il giovane a riconoscere nelle libertà garantite dalla costituzione le forme della sua autonomia e responsabilità personale, ossia della libertà di esplicare la sua personalità in armonia con l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, e sociale.
I profondi nessi esistenti tra storia ed educazione civica postulano che i due insegnamenti affidati al medesimo docente, vengano condotti e sviluppati in un quadro di intima collaborazione "
Inteso dunque come preparazione alla vita sociale, il fine politico dell'insegnamento della storia contribuisce a combattere gli istinti asociali, sviluppare i sentimenti di solidarietà, dare coscienza che tra l'individuo e l'umanità esistono delle strutture in cui concretamente esso deve operare e senza cui non gli è possibile realizzarsi pienamente.
Concepito in tal modo il fine politico non è inconcepibile ma anzi è elemento costitutivo del più universale fine umanistico verso cui si spingono le nuove concezioni dell'educazione.
Esse guardano infatti all'uomo, mirano ad aiutare lo sviluppo mentale e psichico dell'uomo ad arricchirne la personalità, a rendere più armonico il suo futuro inserimento nell'ambiente..
Trasferito nell'insegnamento della storia ciò si traduce nell'aiutare l'alunno ad acquisire un senso del tempo e a formarsi un abito critico.
La storia dunque , non deve essere presentata in maniera dogmatica, ma in modo problematico così da abituare l'allievo ad una mentalità critica che non è tuttavia il culto della critica, la folle pratica di una critica cioè disancorata dai dati di fatto, verbalistica e sofistica. E' questo al contrario il metodo critico, il metodo cioè della ricerca, della discussione, del confronto delle testimonianze.
Occorre convincere gli alunni che nella conoscenza storica non c'è verità definitiva, ma una verità provvisoria che può e deve essere rimessa in discussione quando si conosceranno meglio i fatti . I vantaggi formativi di questo metodo sono molteplici. L'insegnamento attuato mediante la riflessione, la discussione e il richiamo continuo ai limiti delle nostre conoscenze renderà gli allievi capaci di valutare i fatti con una certa obiettività, di mostrare una attenta considerazione delle idee altrui, di crearsi una forma mentale propria del cittadino di una democrazia. Quanto al fine "morale" che può derivare dall'insegnamento critico della storia, esso è ben diverso dall'insegnamento moralistico in uso nei tempi passati che cerca nei fatti esempi di malvagità punita o di virtù premiata. Tale visione della storia rinunciava all'obiettività in favore di una azione etico-pedagogica ma ormai dovrebbe essere "storia" passata!!
E allora il libro di testo che propone una visione parziale della vita e degli avvenimenti soprattutto della attualità recente che non è ancora storia, non è un buon libro di testo.
Non scendo poi per non essere polemico sul modo come in molte realtà vengono scelti i libri di testo: i genitori? I consigli di classe? Il collegio dei docenti? lasciamo perdere...
Girio Marabini