17.02.2015
Tra SNV,
RAV, Questionario Scuola: si parte. Ma per dove?
Scrivo queste note stando dalla
parte dei tanti docenti e Dirigenti Scolastici che sono mobilitati in queste
settimane e nei prossimi mesi, a dare corpo iniziale al Sistema Nazionale di
Valutazione, mettendo a punto la prima parte Autovalutativa che è premessa e
connessa alle altre due sostanziali: l’impegno verso il Miglioramento e
quello alla Rendicontazione sociale.
Dalla parte, dunque, di chi sta lavorando per dare seguito ad un impegno
istituzionale, ma anche culturale e professionale: le mie opinioni, i
rilievi critici, finanche polemici espressi in tutta la fase di costruzione
del modello SNV, desunti anche, sempre “sul campo”, dalla partecipazione
diretta come valutatore nelle sperimentazioni connesse, sono, se non noti,
certo ricostruibili anche solamente dai materiali ospitati in questo sito
(vedi pagine dedicate).
Non ho neppure funzioni “direttive” rispetto al progetto SNV. Sicchè non
devo nè convincere né promuovere, né bocciare. Cerco di dare una mano a chi
si trova di fronte a un compito istituzionale e culturale di grande
rilevanza, a partire dai lavori della rete che nella mia Regione si occupa
da quasi 15 anni di autovalutazione, miglioramento e rendicontazione sociale
(Rete AUMI, oggi AUMIRE, circa 120 scuole della regione Marche).
L’amministrazione e l’INVALSI
sembrano, per ora, dare corpo al SNV mantenendo sia la struttura
(metodologie e strumenti) previsti nel Regolamento, nella Direttiva e nella
Circolare, già commentate in queste pagine, sia la tempistica.
E’ stato già reso noto il modello RAV che le scuole saranno chiamate a
compilare come esito del loro impegno autovalutativo; è stato
recentissimamente reso noto il Questionario Scuola cui tutte le istituzioni
scolastiche dovranno rispondere e che costituirà “una delle fonti” di dati e
informazioni che sono poste alla base del processo autovalutativo.
Il meccanismo è noto: le scuole immetteranno le loro risposte on line,
entro la fine di Febbraio. La piattaforma informatica che le raccoglie
tratterà informazioni e dati, e “restituirà” alla scuola l’esito di tale
trattamento che consisterà in sostanza nel confronto tra le informazioni
specifiche della scuola e gli insiemi comparabili (ordini di scuola, dati
nazionali, regionali, ecc,,). La restituzione è prevista per la fine di
Marzo.
Cominciamo da quest’ultimo prodotto,
il Questionario Scuola.
E’, tutto sommato, molto semplice.
E’ evidente la sua struttura isomorfa con il modello autovalutativo assunto
dall’INVALSI come riferimento nella sua rielaborazione tecnico-scientifica:
il modello CIPP che articola l’autovalutazione in quattro aree: Contesto,
Input, Processi, Prodotti. In tale senso vi è coerenza anche con la
struttura del RAV, che ha analoga filiazione teorico-scientifica,
Nel Questionari Scuola però le “aree” di rilevazione si presentano assai
ridotte.
Anzi, per alcune di esse, pure essenziali nell’identificazione strategica
della scuola, non si fanno domande, non si richiedono informazioni.
Il motivo è sostanzialmente individuabile nel fatto che molti dati e
informazioni che saranno utilizzate nel redigere il RAV, provengono in
realtà dall’esterno: si tratta di dati di contesto (assetti socio economici
del territorio forniti da banche dati ISTAT, dal Ministero dell’Interno, dal
MIUR stesso); di dati economici provenienti dal MIUR; di dati relativi agli
esiti scolastici degli studenti provenienti dal MIUR e, per i risultati
delle prove standardizzate, dagli esiti delle prove INVALSI.
Ciò sembra presentare un compito “ridotto” alle scuole che dovranno in tempi
stretti compilare il questionario.
Ma, se mi metto nei panni di chi oggi nella scuola fa parte del gruppo di
auto valutazione (Dirigente e docenti) guarderei a tale semplificazione con
qualche circospezione, proprio in considerazione della “parzialità” dei dati
rilevati e dunque della loro significanza rispetto al compito fondamentale
che sarà la compilazione del RAV. Tale considerazione è utile a ricostruire
il modello ma anche gli impegni e l’agenda autovalutativa
Ripeto sempre, fino a venirmi a uggia, che non vi è automatismo alcuno tra “dati e misurazione” e “elaborazione del giudizio”, consistendo la “valutazione” in una assennata combinazione tra le due fasi: giudiziose e pertinenti misure su dati certi e confrontabili e rielaborazione del giudizio all’insegna della ricostruzione “dell’inferenza alla migliore spiegazione”(come direbbero i cultori del nuovo realismo filosofico).
Trattandosi poi di valutazione di
“oggetti complessi” come organizzazioni (le scuole) il cui compito è la
produzione di servizi complessi (quelli che rispondono ai diritti
all’istruzione) alla cittadinanza, e che dunque sono contemporaneamente
“istituzioni”, quel percorso inferenziale deve essere presieduto con rigore
e cura, intelligenza, acume, clinica particolarmente accentuate.
Nessun automatismo o determinismo, ma capacità di lettura critica e di
integrazione di fonti anche assi diverse di dati e informazioni.
Ma sulla elaborazione del giudizio e
sulla valutazione che ne è coronamento ed esito, operano anche variabili
assai meno determinabili e rappresentabili da dati.
Per esempio opera il “sistema di valori” riconosciuti esplicitamente o agiti
in latenza, che operano nel sistema e nella società. Valutare è “assegnare
valore” e dunque dipende dal repertorio di valori in cui ci si riconosce e
si afferma.
Solo un esempio: se nella Direttiva relativa al SNV (si veda la Direttiva
qui in linea) si dichiara formalmente che la strategia è contraddistinta da
quattro indicazioni: 1) ridurre la dispersione evasione scolastica; 2)
migliorare le competenze di base degli alunni; 3) valorizzare esperienze di
recupero e potenziamento; 4) Ridurre le differenze geografiche e settoriali
tra le scuole; allora la valutazione della scuola che compila il RAV, sarà
evidentemente condizionata non solo dai “dati” ma da quella enunciazione di
valori.
Sulla elaborazione del giudizio
opera anche un set di variabili che sono riconducibili alla “cultura
organizzativa” della singola scuola e dunque sul suo modo di interpretare
l’autonomia.
Con il termine “cultura organizzativa” sintetizzo molte cose: l’insieme dei
significati scambiati e condivisi all’interno dell’organizzazione; l’insieme
dei linguaggi usati per esprimerli; l’insieme delle percezioni, delle
opinioni che sono oggetto di comunicazione; la dinamica dei ruoli.
Si tratta di componenti della cultura organizzativa che spesso non sono
espliciti (espressi, per esempio negli organigrammi e nei programmi) ma
latenti. Ma sono le “latenze” (lateres.. mattoni) a reggere
l’organizzazione, non gli organigrammi, che spesso rappresentano l’ordine
apparente che cela il disordine nascosto. E viceversa: spesso il disordine
apparente è governato da un ordine intimo di condivisione di culture e
valori.
Vi sono domande del Questionario Scuola, che interrogano direttamente tale
livello, anche se non lo dichiarano (ovviamente). Per esempio vi è una
domanda relativa alla distribuzione dei compiti decisionali tra le diverse
istanze (Collegio, Consiglio di Istituto, Consigli di classe, singoli
docenti, staff dirigenziale, Dirigente Scolastico) che va a “intrigare”
proprio tale livello di consapevolezza in chi compilerà il Questionario, più
che non la “certificazione” oggettiva di come davvero vanno le cose (e, del
resto, come produrla?).
L’esperienza di valutatore sul campo in fase sperimentale VALES mi ha
dimostrato in modo lampante che le rispose delle scuole proprio a tale
domanda erano le meno “consolidate e consolidabili” sotto il profilo della
significatività. Proprio perché chi rispondeva (il DS o il referente della
valutazione) riportava l’immagine della sua organizzazione per come
ricostruita nella sua mente e nel suo animo, nel suo giudizio, nella sua
“cultura organizzativa” con tutta l’aleatorietà e parzialità (ma di non
trascurabile valore diagnostico) del proprio pensiero.
Dunque anche solamente il compito del compilare il questionario, sapendo che
da esso proverranno poi una serie di “indicatori” restituiti alla scuola,
non è semplice e non può essere svolto pensando ad un “adempimento” formale.
Occorrerà invece esplorare il significato anche di domande apparentemente
dirette a fenomenologie “oggettive”.
La pluralità delle fonti di dati e informazioni da integrare
Proprio la complessità implicita del
Questionario Scuola, parallela e sotterranea alla sua parzialità e
semplicità, mette in primo piano la questione fondamentale che i gruppi di
Autovalutazione delle scuole dovranno affrontare (sempre che non si voglia
ridurre l’incombenza ad un adempimento burocratico e “opportunistico” sotto
il titolo impegnativo di “autovalutazione): come integrare una pluralità di
fonti di dati e informazioni.
Inoltre si tenga conto che nel RAV sono proposte (correttamente) una serie
di “domande guida” le cui risposte non sono necessariamente “comprese e
contenute” nel set di indicatori proposto, ma. di maggiore ampiezza
semantica, sono le domande cui la scuola deve rispondere in “autoanalisi”.
Infine si consideri che nelle declaratorie valutative utilizzate nel
giudizio finale del RAV sono “tipizzate” considerazioni e motivazioni che
segnalano il “non determinismo” tra elaborazione del giudizio e misura dei
dati. Richiamando considerazioni di valore, di “connessione” tra variabili
ecc.
Dunque, in sostanza, le scuole dovranno integrare diverse fonti di dati e
diverse variabili influenti sulla elaborazione del giudizio (non
necessariamente “dati” e “indicatori”). E su ciascuna di tali fonti
esercitare l’indispensabile approccio critico interpretativo. In sintesi
1.Dati provenienti da fonti “esterne” (MIUR, INVALSI, ISTAT ecc..)
Analisi, verifica, lettura critica
2.Dati provenienti dal questionario scuola
Analisi della restituzione, integrazione con informazioni proprie
3.Dati provenienti da indicatori scelti dalla scuola in integrazione di quelli formalizzati nel RAV
Scelta discrezionale della scuola (è prevista per tutti gli indicatori RAV)
4.Dati provenienti da indicatori scelti dalla scuola in assenza di indicatori formalizzati nel RAV
Scelta obbligatoria della scuola (per esempio per gli indicatori relativi alla missione alle scelte strategiche della scuola, la cui definizione è ad essa demandata)
5.Dati relativi alla “cultura organizzativa” della scuola (Pareri, significati, percezioni da docenti, genitori, studenti, stakeholders)
Da strumentazione messa a punto dalla scuola (questionari, focus groups, strumenti proiettivi, ecc.. capaci di raccoglier informazioni da tale dimensione soggettiva)
6.Risposte elaborate seguendo le “domande guida” proposte dal RAV
7.Integrazione informazioni interpretabili nei repertori valutativi e nelle scale di valutazione-
L’elenco precedente presenta in sintesi estrema (e me ne scuso) la trama dell’agenda di lavoro di un gruppo di autovalutazione della scuola.
Vorrei sottolineare che anche le
informazioni provenienti dall’esterno devono essere sottoposte da puntuale
verifica non solo di correttezza, ma anche di pertinenza.
Per esempio come ho (inutilmente) ripetuto, , i dati ISTAT sull’occupazione,
indicati come significativi per la ricostruzione del Contesto, sono in
realtà rilevati, campionariamente, su base provinciale…
Il livello di significatività per la descrizione del contesto operativo di
una scuola è prossimo allo zero, visto che il riferimento di una scuola, per
grande che sia, rarissimamente (forse solo per alcuni indirizzi tecnici
specialistici della superiore..) configura un contesto provinciale. Per la
stragrande maggioranza delle scuole la descrizione del contesto operativo
dovrà essere fatta da esse stesse.
Chissà cosa dirà di significativo l’ISTAT al Circolo Didattico che opera nel
centro di Milano nelle vie della moda e del consumo di elite… ma che è
frequentato da figli delle colf e dei portieri degli stabili di lusso…
Taccio delle informazioni provenienti dal Ministero dell’Interno su
variabili fondamentali come l’apporto del finanziamento degli Enti Locali.
Si pensi per esempio alle differenze fondamentali delle modalità di
finanziamento alle scuole adottate dalla gestione metropolitana di Roma o di
Milano (già differenti tra loro) filtrata dalle “municipalità” di zona, e il
rapporto tra Dirigenti scolastici e Amministrazione Comunale in Comuni di
10, 20, 30 mila abitanti ( il nostro Paese è fatto così…) che possono
“incontrare il sindaco in Piazza” (è ovviamente una metafora di rapporti
assolutamente diversi).
Davvero pensiamo che la banca dati dell’Interno ci restituisca tali
specificità e differenze? La scuola dovrà verificare, specificare,
integrare… comunque.
Quanto sopra delinea appena la
complessità del compito che attende tutti coloro che si accingono a dare
vita alla fase iniziale del SNV.
Occorre che accompagniamo tale impresa con la partecipazione dovuta e che
facciamo sentire tale partecipazione. E mi rivolgo ai momenti significativi
della “organizzazione della cultura” della scuola, dal Sindacato
all’associazionismo, agli organi e strumenti del dibattito e confronto
culturale.
In prima linea dovrebbe essere la
stessa Amministrazione: la costruzione di un Sistema Nazionale di
Valutazione ha davvero la dimensione dell’impresa storica. E ciò a
prescindere dalla “perfezione” dello strumento e dal dibattito che lo
accompagna.
Anzi: proprio la dimensione storica dell’impresa richiede che la
consapevolezza della “perfettibilità” degli strumenti, sia declinata come la
dimensione adeguata per la costruzione della partecipazione e del consenso
necessari a condurre l’impresa.
Quanto sopra elencato riporta la
complessità del compito, anche solamente prendendo spunto da uno strumento
“tecnicamente semplice” come il Questionario Scuola.
Non voglio riprendere una polemica che anche su queste pagine si è
sviluppata tra chi predicava la dimensione della “fotografia” (noi,
l’amministrazione, vi diamo i dati. Voi, le scuole, fate l’autovalutazione)
e le mie risposte di invito a distinguere tra “fotografia” e “specchio”.
(vedi su queste pagine) Ma certo, alla prova dei fatti, anche solo dall’uso
del Questionario Scuola, si dimostra che, pur attingendo a dati e
informazioni “esterne”, il compito “speculativo” (specchio, speculum…)
mantiene la pienezza del suo significato. Sempre che, lo si ricordi sempre,
l’autovalutazione non si riduca a opportunistico adempimento.
Ma allora la domanda: perchè scegliere, nella comunicazione istituzionale,
il registro della semplificazione? Comunicare alle scuole che “non devono
preoccuparsi” della raccolta di dati “complessi”: “ve li forniamo noi… “
Non è un autogol politico? Invece di invitare ad un impegno rigoroso e
faticoso, darne una versione semplificata e ridotta e contemporaneamente
affermare che non si tratta di “un semplice adempimento”? Invece di
sollecitare impegno e risorse (e provvedere a remunerarle) suggerire
automatismi compilatori?
Mah…
Il pensiero fastidioso non è il precedente… Forse non si tratta di un
“autogol politico”. Forse è l’effetto di un paradigma sotterraneo e costante
che caratterizza il rapporto tra le scuole autonome e il “superiore Ministro
vigilante”. Quest’ultimo (forse) muove da uno strutturale pensiero
svalutativo della capacità delle scuole stesse.
Esse non sono una risorsa per realizzare obiettivi e strategie “storiche”.
Ma interlocutori di ordini, direttive, verifiche, permanentemente sospettati
di non essere all’altezza. E lo “speculum”, si sa, restituirebbe l’immagine
di chi “davvero” non è all’altezza….
Purtroppo è una deriva “fisiologica”. Che immagine delle scuole ha il
“superiore Ministero”, impegnato con il proprio ombelico di carriere e
dirigenti, se non la sola immagina delle scuole che “hanno problemi”
(ricorsi, esposti, contenzioso…)? Le scuole che sanno risolvere da sé i
problemi, sono, per il superiore Ministero, trasparenti. Non esistono.
L’invito che mi sento di fare è di
considerare comunque la complessità del compito assegnato alle scuole a
fronte della esilità significativa delle informazioni ad esse “ restituite”
dalla supposta “potenza” degli strumenti dell’Amministrazione; complessità
che comunque le coinvolge in letture critiche, analitiche, discriminanti dei
dati stessi.
E su tale base di mutare registro: non esaltare le semplificazione degli
impegni attesi, ma sottolineare la loro complessità, risolvibile solo da un
accumulo di esperienze e competenze che solo nelle scuole possiamo trovare.
E delineare prospettive di valorizzazione di queste ultime.
Il Questionario Scuola, come il
modello di RAV, sarà compilati da tutte le scuole pubbliche, statali e
paritarie.
Uno dei suoi valori di fondo è che, essendo strumento unitario, si offre,
anche al di là dei suoi difetti, come fonte di dati omogenea e
“comparabile”.
La “comparabilità” ha diversi valori che operano sia a livello di singola
organizzazione che di sistema.
Al primo livello offre la possibilità di “posizionarsi”, di dare spessore
speculativo alla propria auto valutazione, di individuare quelli che si usa
chiamare benchmark, o semplicemente esperienze “da copiare e imitare”,
esperienze dalle quali ricavare indicazioni di miglioramento e/o obiettivi
da raggiungere.
A livello di sistema una raccolta di dati comparabili consente
(consentirebbe…) di migliorare la “razionalità decisoria” del decisore
politico e amministrativo; ma anche di procedere alla individuazione di
“standard”.
Questi ultimi, come per altro i benchmark, sono cose assai diverse delle
medie e degli scostamenti. Se non altro perché richiedono di parametrare i
dati di prestazione, con i loro costi, e con la qualità dei servizi resi (lo
standard si costruisce in tale rapporto, non sulla media delle
prestazioni…).
Comunque, quali che siano alcuni miglioramenti necessari, il corredo di
strumenti omogenei e comparabili ha questo valore. Da qui si può partire per
la (faticosa) costruzione di un Sistema di Valutazione, purchè rimangano
elevate le soglie della verifica sul campo, della ricerca, del confronto
scientifico e tecnico.
Bene allora che rispetto alla “comparabilità” si riaffermi a chiare lettere
che essa non è destinata alla costruzione di graduatorie o di criteri di
discriminazione punitiva.
Ciò posto, a proposito di “autogol
politico”, perché mai il Questionario Scuola delle scuole paritarie è
diverso da quello delle scuole statali, per alcune domande cui devono
rispondere?
In particolare: capisco che le paritarie non rispondano sul FIS che
appartiene alla contabilità pubblica delle scuole statali.
Non capisco però perché le paritarie non debbano rispondere sulle risorse
spese sui diversi progetti che compongono il POF (anche le paritarie devono
avere il POF, come condizione di riconoscimento di parità)
Capisco che le domande sull’apporto economico delle famiglie abbiano, nelle
paritarie, un significato diverso da quello nelle scuole statali. Ma si
poteva pure distinguere tra apporto legato direttamente alle rette di
iscrizione e apporto finalizzato a singole attività (come per le scuole
statali).
E infine: vi sarà pure uno strumento nel quale anche le paritarie, a
prescindere dal Questionario Scuola, indicheranno l’ammontare delle loro
risorse, la loro provenienza, la loro ripartizione nei diversi usi….
Mi rivolgo direttamente al gruppo di start up che agisce presso il
Ministero e che declina aspetti tecnici-scientifici e aspetti politici del
progetto di costruzione del SNV e nel quale operano colleghi di grande
valore e che stimo.
Che senso ha questa diversificazione? Non giova neppure alle scuole
paritarie che sarebbero interessate ad una “valutazione comparata e
comparabile”. Credo che i miei amici rettori di scuole dei Gesuiti o dei
Salesiani si sentano offesi da tali distinzioni.
E, per favore, non mi si risponda invocando “sistemazioni normative ” differenti. Quali che siano i vincoli e le classificazioni della contabilità pubblica cui non sono tenute le paritarie, è sempre possibile costruire paralleli e analogie per rendere comparabili i dati e le informazioni.
Non si può presentare come “storico”
l’impegno alla costruzione di un Sistema Nazionale di Valutazione (inedito
per il nostro sistema) e contemporaneamente declinare il piccolo cabotaggio
delle convenienze di parte e corporative. Ma non voglio essere cattivo:
diciamo che si tratta di un autogol.
Segnalo solamente che non me ne sarei accorto (anche perché ciascuna scuola
scarica il suo Questionario… e io “non ho scuola”) se non mi avesse mostrato
tali differenze un collega impegnato proprio a delineare “sensate
esperienze” di costruzione di un Sistema Nazionale di Valutazione.
I “responsabili tecnico-politici” sappiano che certi autogol rischiano di compromettere l’impresa complessiva e collettiva e di dare fiato e argomenti a chi di valutazione proprio non ne vuole sapere.