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Torna all' intervento di Domenico Sugamiele

31.10.2002

La sperimentazione su istruzione e formazione professionale:
Non esiste un "caso Piemonte": riflessioni sulla lettera di  D. Sugamiele
di Giovanni La Rosa

(*) in neretto il testo della lettera di D. Sugamiele.

 

"Sarebbe miope che la scuola torinese si lasciasse sfuggire questa occasione, atteso altresì che si tratta di iniziative sperimentali di alto valore innovativo che potranno offrire una nuova e importante opportunità a circa 140-150 (50 in provincia di Torino) ragazzi fra quattordicenni e quindicenni."

Sarebbe utile ricordare che la sperimentazione sull'istruzione e formazione professionale ha come riferimento un disegno di legge delega che è, tuttora, giacente in Parlamento, quindi soggetto a modifiche. Non è, pertanto, scontato che la struttura e i contenuti della sperimentazione trovino conferma attuale e futura nel disegno di legge delega.
Ciò vuol dire che i percorsi prefigurati oggi dalla sperimentazione potrebbero essere non riconosciuti, quindi gli esiti non convalidati, nel caso il disegno di legge delega dovesse subire modificazioni. Allora che cosa avrebbero i ragazzi tra le mani?
Se di sperimentazione si tratta, e così viene chiamata, si dovrebbe parlare effettivamente di "esperimento", cioè di un qualcosa i cui risultati sono attesi ma non sono dati. Parrebbe che la qualità della sperimentazione sia certa nella sua ottimale riuscita senza essere neppure stata avviata.

"Non si comprende la posizione di quei Collegi dei docenti che, contro le scelte delle famiglie, pare abbiano rifiutato ad alcuni ragazzi di quattordici anni iscritti presso la loro scuola di partecipare alla sperimentazione. Varrebbe la pena, forse, sentire anche i Consigli di istituto. Può un Collegio docenti limitare la scelta dei ragazzi e, quindi, un loro diritto, atteso che i percorsi scelti sono istituzionali? Se una scuola, legittimamente, non volesse partecipare alla sperimentazione dovrà consentire ai ragazzi che lo chiedono di iscriversi ad un'altra scuola affinché possano esercitare questo preciso diritto. Un Collegio dei docenti non può avere una concezione "proprietaria" degli alunni e non può obbligare le famiglie e i ragazzi a scelte non coerenti con le loro aspettative, nell'ambito di percorsi istituzionali. Tra il diritto (quale?) del Collegio dei docenti e quello dei ragazzi dovrebbe prevalere quello dei ragazzi. Sempre. Un corpo professionale che vede la sua funzione tutelata dalla Costituzione, la libertà di insegnamento, a garanzia del diritto all'apprendimento dei giovani non può anteporre altri interessi a quelli dei giovani. Anche gli interessi legittimi legati ai problemi occupazionali dovranno soggiacere all'interesse primario della formazione dei giovani. Oltretutto, il progetto di sperimentazione allarga la base occupazionale. Infatti, l'obiettivo di estendere a tutti il diritto all'istruzione per dodici anni o almeno fino al conseguimento di una qualifica triennale amplia la base degli utenti del servizio in modo consistente. Sono, infatti, circa il 33% i giovani in età di obbligo formativo (fascia 15-18 anni) che non terminano alcun percorso di istruzione e di formazione."

Da ciò che riporta il quotidiano La Stampa di Torino del 30 ottobre, la totalità delle scuole di Torino e provincia e la quasi totalità delle scuole del Piemonte (pare solo una di una provincia del nord Piemonte abbia espresso parere favorevole), attraverso i propri collegi dei docenti non hanno approvato la sperimentazione oggetto della riflessione del prof. Sugamiele.
Non è ben chiaro allora dove i ragazzi potrebbero andare a iscriversi.
Occorre precisare, comunque, che cosa si voglia fare di organi collegiali come il Collegio dei Docenti e il Consiglio d'Istituto. Di certo non si può e non si deve operare per creare contrapposizione tra organi della scuola sulla base di un sospetto che un organo operi per interessi di parte e di corporazione. Mi pare sbagliato sostenere implicitamente che un consiglio d'istituto potrebbe valutare l'opportunità di aderire alla sperimentazione in termini diversi dalla valutazione espressa dal collegio dei docenti e che, perciò, la sperimentazione si deve fare perchè così si risponde positivamente alle richieste delle famiglie e degli alunni.
Non si tiene conto che il collegio dei docenti è l'organo tecnico e professionale che valuta la qualità della sperimentazione e che, in questa funzione, il collegio non è sostituibile da nessun altro organo.
Considerando, poi, che nel consiglio d'istituto sono presenti tutte le componenti della scuola, ci sono buone ragioni per pensare che esista un rapporto fiduciario tra famiglie e scuola che garantisce l'efficace esercizio dell'autonomia scolastica da ogni forma di condizionamento interno ed esterno nella direzione di operare le scelte migliori per i nostri allievi. In questo senso andrebbero ripensate quelle posizioni che veicolano l'idea che i docenti valutino l'impianto culturale e pedagogico-didattico di una sperimentazione contro gli interessi dei ragazzi perchè questa idea è devastante per la scuola e per chi vi opera come studente e come docente.
Andrebbe, invece, riconsiderata un'ipotesi di sperimentazione che una larga e maggioritaria parte del mondo della scuola non accetta perchè, forse, vuole dire che quella sperimentazione è sbagliata. Che cosa dire di un organo quale il C.N.P.I. che ha espresso più di una volta pareri negativi e dubbi di legittimità sull'impianto della sperimentazione? Premesso che la scuola ha responsabilità istituzionali precise e specifiche, non c'è nessuno che considera uno "proprietà" dell'altro. La scuola dice soltanto che quella sperimentazione non va bene.

"Sono convinto che i Collegi docenti che hanno espresso contrarietà non hanno valutato le opportunità che la sperimentazione offre ai giovani e alle stesse scuole con piena completezza di informazione. Un'informazione che a Torino pare sia stata, peraltro, artatamente gestita contro la sperimentazione per motivi che appaiono, con evidenza, diversi da quelli pedagogici e didattici e di interesse dei giovani e delle loro famiglie."

Torino è sempre stata una città che, a partire dalle realtà istituzionali quali il Comune fino alle istituzioni scolastiche, ha posto al centro della propria cultura la scuola, con estrema serietà, profondità di analisi e onestà intellettuale. Ciò è dimostrato dalla storia della scuola torinese e piemontese.
Forse qualcuno ha informato e informa male il prof. Sugamiele sulla realtà torinese fornendo una chiave di lettura viziata, questa sì, da collocazioni di ordine politico che nulla hanno a che vedere con la scuola e che stanno portando un'associazione a indurre i propri dirigenti associati (non le scuole) a mettere in discussione l'adesione dei propri istituti all'Associazione delle scuole autonome del Piemonte.

"In particolare, si è segnalata una associazione, pare di dirigenti scolastici, che, avanzando una presunta "rappresentanza politica" della scuola piemontese – una sorta di ANCI delle scuole-, ha utilizzato il tema della sperimentazione per rivendicare un proprio ruolo politico senza farsi carico, però, dei problemi di quelle migliaia di ragazzi che a quindici anni sono espulsi dal sistema formativo. Sulla rappresentanza delle scuole andrebbe condotta una riflessione più approfondita. Qui preme ricordare brevemente che, nell'attuale ordinamento, i dirigenti scolastici sono funzionari dello Stato, nominati dallo Stato a dirigere una scuola dello Stato per garantire lo Stato che investe in quella scuola risorse umane e finanziarie. La rappresentanza politica della singola scuola, se si vuole, è del Consiglio di istituto e del suo Presidente che sono eletti con voto di tutte le componenti. I dirigenti sono gli unici non eletti. Come può, in un sistema democratico, una comunità essere "rappresentata politicamente" da un funzionario imposto e non eletto, ovvero non nominato dalla base elettorale o dal Consiglio di Amministrazione, come, invece, avviene in altri modelli di autonomia delle scuole?"

Sarebbe opportuno completare il processo di riforma degli organi collegiali. Se il pensiero è quello di separare la rappresentanza politica da quella legale, come se la rappresentanza politica non debba e non possa essere svolta dal dirigente scolastico, lo si faccia con le connesse assunzioni di responsabilità.
Resta da comprendere se dobbiamo ipotizzare uno scenario di polverizzazione della politica scolastica di uno Stato in diecimila politiche scolastiche rappresentante da diecimila presidenti di consigli di amministrazione da cui il rappresentante legale, cioè lo Stato tramite il suo funzionario dirigente, deve dipendere. Il sistema democratico mi pare che si poggi benissimo sulla figura legittima di un dirigente dello Stato che ha rilevanza esterna e responsabilità pubblica e che opera nella cornice democratica che lo Stato disegna, libero da condizionamenti e in modo imparziale, cioè diretto al bene dell'istituzione.
Sulla natura dell'Associazione A.S.A.P.I. bene scrive il prof. G. C. Rattazzi e ciò mi porta a dire che, per quanto di competenza del dirigente scolastico quale sono, porterò al Consiglio di Istituto della scuola che dirigo la proposta di adesione all'associazione che ottimi frutti ha già raccolto nella collaborazione con il Comune di Torino e con la Regione Piemonte, a tutela e per lo sviluppo delle scuole e non dei dirigenti di quelle scuole.

"Ma torniamo alla sperimentazione. Il problema degli abbandoni, della selezione, del diritto allo studio e al successo non pare sia al centro del dibattito sulla sperimentazione. Non si parla mai di diritto al successo scolastico e formativo e quando lo si fa lo si riporta esclusivamente all'obbligo di frequenza. Come se bastasse frequentare e come se quei quindicenni fossero "proprietà" delle scuole."

Le istituzioni scolastiche autonome hanno da tempo messo al centro dei propri piani dell'offerta formativa la "garanzia del successo formativo" come recita il DPR 275/99.
Ciò è dimostrato dal fatto che, a fronte dell'esclusione operata in sede di protocollo tra Regione e le Agenzie di formazione professionale, le scuole hanno rifiutato di agire come semplici enti "certificatori" di percorsi e di processi pensati e svolti da altri soggetti esterni al mondo della scuola. Lo spirito della legge delega parrebbe essere altro e non la svalutazione delle scuole come, invece, emerge dalle parole del prof. Sugamiele che afferma e sostiene il "diritto a tenersi i ragazzi" essere l'unico interesse delle scuole, oltre naturalmente e ritualmente a deprezzare l'offerta della scuola di Stato.
Personalmente ho fatto e rifarei il "pellegrinaggio" a Barbiana. Bisogna ricordare che quel prete andava a raccogliere i ragazzi per chilometri nelle campagne per portarli e tenerli a scuola, così come oggi le scuole agiscono per un corretto discorso di mantenimento dell'obbligo scolastico aumentando i termini di età dei ragazzi ritenuti in obbligo scolastico piuttosto che pensare a una loro diminuizione.

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