Direzione didattica di Pavone Canavese

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28.10.2002

La sperimentazione su istruzione e formazione professionale:
il caso del Piemonte
di Domenico Sugamiele

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L'intervento di Domenico Sugamiele, consigliere del Ministro Moratti, che qui pubblichiamo sta suscitato nel mondo della scuola piemontese più di una reazione.
In altre pagine pubblichiamo interventi e documenti che ci sono pervenuti a tutt'oggi.

Intervento di Giulio Cesare Rattazzi, preside dell'Itis Avogadro di Torino, Presidente dell'Asapi (30.10.2002)

Riflessioni di Giovanni LaRosa, dirigente scolastico (31.10.2002)

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Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS) e la Regione Piemonte hanno siglato un protocollo d’intesa per la sperimentazione di iniziative nel campo dell’istruzione e formazione professionale. Analogo protocollo è già stato siglato con altre sei Regioni, nei mesi scorsi. Si tratta di esplorare percorsi formativi che si collocano in un settore di confine tra scuola e mondo del lavoro e che tendono a dare risposte adeguate a quella parte di giovani che esprime bisogni ed esigenze formative molteplici e non riconducibili agli attuali itinerari scolastici.

La sperimentazione interesserà, principalmente, la realizzazione di percorsi triennali di qualifica nella prospettiva organica di sviluppo nella formazione professionale superiore.

Perché la sperimentazione e perché un accordo tripartito, MIUR, MLPS e Regioni?

Alla fine della scorsa Legislatura è stata varata una legge di modifica della seconda parte della Costituzione, il Titolo V. La legge, definitivamente approvata con referendum confermativo il 7 ottobre 2001 (legge n. 3 del 18 ottobre 2001), modifica, in particolare, gli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione.

L’articolo 114 ridefinisce i soggetti istituzionali che costituiscono la Repubblica. Lo Stato è uno dei soggetti alla pari con gli altri: Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni. Questa ridefinizione della Repubblica incide sulla lettura dell’intera Carta Costituzionale, laddove essa parla di "Repubblica".

L’articolo 117 sancisce che "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni". Tale potestà può essere esercitata in modo esclusivo da parte di uno dei due soggetti oppure in modo concorrente da entrambi, a seconda della materia.

Per quanto riguarda il sistema educativo, lo Stato ha legislazione esclusiva nella seguenti materie – art.117, secondo comma, lettere m) e n)-:

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;

mentre, "sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: ……; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale".

L’istruzione professionale è, quindi, competenza esclusiva delle Regioni (la formazione professionale lo era già).

Il disegno di legge delega 1306 di riforma del sistema educativo, attualmente in discussione al Senato, in coerenza con tale quadro Costituzionale non poteva, quindi, che occuparsi di "delega in materia di norme generali sull’istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale". Delega che dovrà, peraltro, nella maggior parte delle materie, essere esercitata d’intesa con le regioni.

In questa fase di passaggio e di trasferimento di funzioni, la sperimentazione ha lo scopo di intervenire su due aspetti determinanti ai fini della costruzione di un sistema educativo capace di rispondere efficacemente ai bisogni dei giovani senza fratture e vuoti istituzionali.

Il primo riguarda la possibilità di garantire un effettivo diritto allo studio ai ragazzi per dodici anni, il secondo è riferito alla definizione di standard di qualifica professionale riconoscibili su tutto il territorio nazionale e in ambito europeo.

Questi due aspetti sono sanciti in modo sintetico ed efficace nell’articolo 2 comma c) della legge delega di riforma: "è assicurato a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l'attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e di istruzione e formazione, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione".

L’accordo tripartito, MIUR, MLPS e Regione risponde alla necessità di disciplinare interventi di alto valore formativo e di vasta portata nella prospettiva di lifelong learning e di definizione di standard di qualifica nazionali ed europei.

La sperimentazione riguarda, in definitiva, materie di competenza esclusiva delle regioni e per le quali lo Stato ha il solo compito di definire i livelli minimi. La scelta di collaborazione istituzionale ha lo scopo di favorire, nel territorio, un fattivo coinvolgimento scientifico delle istituzioni scolastiche e delle altre agenzie formative, nella valutazione e nella verifica dei percorsi didattici innovativi, al fine di contribuire alla definizione dei profili professionali delle qualifiche e, quindi, degli standard.

Il progetto presentato dalla regione Piemonte prevede, per ogni corso di formazione, la costituzione di uno specifico Comitato tecnico scientifico, paritetico tra scuola e centro di formazioneche sovrintenderà a tutto il percorso formativo, lasciando alla scuola la responsabilità della certificazione dell’obbligo scolastico.

Sarebbe miope che la scuola torinese si lasciasse sfuggire questa occasione, atteso altresì che si tratta di iniziative sperimentali di alto valore innovativo che potranno offrire una nuova e importante opportunità a circa 140-150 (50 in provincia di Torino) ragazzi fra quattordicenni e quindicenni.

Non si comprende la posizione di quei Collegi dei docenti che, contro le scelte delle famiglie, pare abbiano rifiutato ad alcuni ragazzi di quattordici anni iscritti presso la loro scuola di partecipare alla sperimentazione. Varrebbe la pena, forse, sentire anche i Consigli di istituto. Può un Collegio docenti limitare la scelta dei ragazzi e, quindi, un loro diritto, atteso che i percorsi scelti sono istituzionali? Se una scuola, legittimamente, non volesse partecipare alla sperimentazione dovrà consentire ai ragazzi che lo chiedono di iscriversi ad un’altra scuola affinché possano esercitare questo preciso diritto. Un Collegio dei docenti non può avere una concezione "proprietaria" degli alunni e non può obbligare le famiglie e i ragazzi a scelte non coerenti con le loro aspettative, nell’ambito di percorsi istituzionali. Tra il diritto (quale?) del Collegio dei docenti e quello dei ragazzi dovrebbe prevalere quello dei ragazzi. Sempre. Un corpo professionale che vede la sua funzione tutelata dalla Costituzione, la libertà di insegnamento, a garanzia del diritto all’apprendimento dei giovani non può anteporre altri interessi a quelli dei giovani. Anche gli interessi legittimi legati ai problemi occupazionali dovranno soggiacere all’interesse primario della formazione dei giovani. Oltretutto, il progetto di sperimentazione allarga la base occupazionale. Infatti, l’obiettivo di estendere a tutti il diritto all’istruzione per dodici anni o almeno fino al conseguimento di una qualifica triennale amplia la base degli utenti del servizio in modo consistente. Sono, infatti, circa il 33% i giovani in età di obbligo formativo (fascia 15-18 anni) che non terminano alcun percorso di istruzione e di formazione.

Sono convinto che i Collegi docenti che hanno espresso contrarietà non hanno valutato le opportunità che la sperimentazione offre ai giovani e alle stesse scuole con piena completezza di informazione. Un’informazione che a Torino pare sia stata, peraltro, artatamente gestita contro la sperimentazione per motivi che appaiono, con evidenza, diversi da quelli pedagogici e didattici e di interesse dei giovani e delle loro famiglie.

In particolare, si è segnalata una associazione, pare di dirigenti scolastici, che, avanzando una presunta "rappresentanza politica" della scuola piemontese – una sorta di ANCI delle scuole-, ha utilizzato il tema della sperimentazione per rivendicare un proprio ruolo politico senza farsi carico, però, dei problemi di quelle migliaia di ragazzi che a quindici anni sono espulsi dal sistema formativo. Sulla rappresentanza delle scuole andrebbe condotta una riflessione più approfondita. Qui preme ricordare brevemente che, nell’attuale ordinamento, i dirigenti scolastici sono funzionari dello Stato, nominati dallo Stato a dirigere una scuola dello Stato per garantire lo Stato che investe in quella scuola risorse umane e finanziarie. La rappresentanza politica della singola scuola, se si vuole, è del Consiglio di istituto e del suo Presidente che sono eletti con voto di tutte le componenti. I dirigenti sono gli unici non eletti. Come può, in un sistema democratico, una comunità essere "rappresentata politicamente" da un funzionario imposto e non eletto, ovvero non nominato dalla base elettorale o dal Consiglio di Amministrazione, come, invece, avviene in altri modelli di autonomia delle scuole?

Ma torniamo alla sperimentazione. Il problema degli abbandoni, della selezione, del diritto allo studio e al successo non pare sia al centro del dibattito sulla sperimentazione. Non si parla mai di diritto al successo scolastico e formativo e quando lo si fa lo si riporta esclusivamente all’obbligo di frequenza. Come se bastasse frequentare e come se quei quindicenni fossero "proprietà" delle scuole.

Secondo questa concezione "l’obbligo scolastico non è contenuto pedagogico-didattico, non è sapere, non è formazione, è soltanto frequenza di una scuola di Stato. Soltanto di Stato. Ed, inoltre, senza la partecipazione della scuola non ci sarà innalzamento dei livelli culturali dei giovani". Non si dice cosa offre effettivamente la scuola di Stato a quei ragazzi e quali sono i risultati. Il tema dirimente pare, infatti, sia quello del "diritto delle scuole" di tenersi i ragazzi in obbligo scolastico a qualsiasi prezzo.

E allora vediamolo questo prezzo.

L’innalzamento dell’obbligo scolastico all’interno del sistema di istruzione introdotto con la legge 9 del 1999 non ha comportato cambiamenti significativi rispetto alla scelta dopo il quindicesimo anno e, in molti casi, ha aumentato il disagio e il disorientamento di famiglie e giovani.

Una recente indagine OCSE/PISA ha evidenziato come i nostri quindicenni (proprio quelli che hanno appena assolto l’obbligo scolastico) sono, in rapporto a quelli degli altri Paesi OCSE, in grave ritardo in comprensione del testo (italiano) e in matematica. Il nostro Paese si colloca intorno al 32° posto.

Circa il 16,5% (dato 2000/2001) dei giovani abbandona nel corso dell’ultimo anno di obbligo o al termine dell’obbligo non si iscrive in alcun percorso di istruzione e di formazione. Si potrebbe disquisire se sono "assolti" o "prosciolti" dall’obbligo scolastico ma restano "evasori" dell’obbligo formativo e, soprattutto, la bocciatura costituisce un trauma che li allontanerà per sempre da qualsiasi luogo di formazione.

È interessante analizzare i dati di un’indagine campionaria dell’ufficio statistico del MIUR che viene svolta da tre anni, della quale si allegano i dati nazionali e quelli riferiti al NORD. Nel primo anno degli istituti professionali circa il 27% non è ammesso all’anno successivo. Nel secondo anno degli stessi istituti i non ammessi al terzo anno raggiungono il 20% e in quarta classe, nonostante un’area specifica di professionalizzazione, pari a circa 300 ore, i non ammessi al quinto anno sono quasi il 14%. Il tasso di ritardo della scolarità secondaria – ragazzi che hanno ripetuto almeno un anno nella loro carriera scolastica- è di oltre il 20% con punte del 29% in quarta classe. Nel Nord, i promossi con debito formativo in almeno due materie sono il 43,6% in prima e il 44,1% in seconda, con punte, rispettivamente, del 55% e del 56,3% negli istituti professionali. Anche dove si sono attivati corsi di recupero la percentuale degli insuccessi è allarmante.

Questi dati sono il segno tangibile del fallimento del processo di "licealizzazione" della secondaria superiore e dell’istruzione professionale e tecnica, in particolare. Essi sono, altresì, la riprova che l’uniformità dell’offerta non regge alla prova dei bisogni diffusi di formazione.

I risultati non sono migliori per gli altri indirizzi di studio. Basta vedere le tabelle allegate.

In definitiva, il percorso scolastico cui sono obbligati molti giovani non è in grado di consentire a tutti il successo scolastico e formativo. Per questo non si può far credere che oltre la scuola di Stato c’è "il male", la serie B o C della formazione e che il "bene", la serie A, l’Eden dell’educazione risieda soltanto nella scuola di Stato che dimostra, nei primi due anni della secondaria superiore, a circa il 50% di ragazzi bocciati quanto sono ignoranti. Questa è, purtroppo, piaccia o no, la verità.

La speranza è che, almeno coloro che nei mesi scorsi sono andati in pellegrinaggio a Barbiana comprendano queste preoccupazioni. Ma come si sa, i pellegrinaggi servono (anche) ad altro.

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