Direzione didattica di Pavone Canavese

Progetto Storia del '900. Libri e articoli

 

Gian Primo Cella, Il Sindacato, ed. Laterza

 

Recensione a cura di Pietro Gelardi, in "Via Po", n.163, Conquiste del lavoro, 10-11 aprile 1999

Muovendo dal passato meno prossimo e gettando lo sguardo su un futuro arduo da decifrare, Cella riassume, in un volumetto agile ed istruttivo, i tratti distintivi del sindacato come appaiono alla luce degli studi sociologici.

Con la sobrietà e la freddezza dell’analista sperimentato, senza abbandoni apologetici e senza tristi vaticismi di declino (se non di dissoluzione), l’autore descrive una parabola storica che è stata gloriosa e annuncia sviluppi che non si presentano infausti. Prodotto della società industriale ed insieme artefice primario della sua tormentata evoluzione, il sindacato può superare senza danni il passaggio verso un terzo millennio segnato dall’esplosione del terziario, del mercato globale, dell’eclisse del lavoratore tipico della produzione di massa. Può svolgere ancora con dignità, efficacia e carica ideale, la funzione di rappresentanza e di difesa dei lavoratori che ne ha segnato l’ascesa.

Dare cittadinanza al lavoro, esprimere i problemi e le attese di quanti dall’offerta della forza lavoro traggono ragioni di reddito e di vita non è già più compito uguale a prima, meno che mai lo sarà per l’avvenire. Ma da qui a pensare che il sindacato sia destinato a perire insieme con la grande fabbrica che lo ha generato ed esaltato; da qui a ritenere che, con la dispersione dei luoghi e dei contenuti del lavoro, si preparino per il sindacato solo tempi grami, ne corre. Proprio l'approccio scientifico alle sue caratteristiche, fa capire come il sindacato abbia la pelle spessa ed elastica, ben allenata a resistere agli assalti dei regimi politici e degli interessi padronali, abbastanza mobile da scrollarsi di dosso le rigidità delle ideologie radicali e i dogmi delle culture rivoluzionarie. La varietà di esperienze nazionali e di tipologie di cui sono ricche le vicende del sindacato testimoniano di una vitalità e di una capacità di adattamento agli eventi non riscontrabili con facilità in altri soggetti organizzati, a cominciare dai partiti. Cosi, malgrado recenti crisi di adesioni e di vocazioni , i sindacati continuano ad associare centinaia di migliaia di iscritti e conservano un patrimonio di militanza senza eguali nel panorama dei movimenti democratici.

Chiedersi come mai tanti lavoratori si iscrivano al sindacato non è peregrino né irriverente. Il sindacato, certo, offre servizi e incentivi selettivi: assicurazioni sociali e sostegno al welfar (prima che si diffondesse quel lo pubblico, e oggi con la crisi di questo), molteplici forme d assistenza, salvaguardia degli interessi dei singoli nel rapporto di lavoro mediante la rappresentanza e la tutela nelle vertenze individuali.

La sua vera forza sembra però risiedere nell'attitudine ,per così dire genetica, a fornire identità collettiva, a dare voce e potere a quanti non sarebbero in grado da soli di reggere il confronto con le dure leggi del mercato, pensiamo per tutti all'operaio comune o semiqualificato delle grandi unità produttive. La più incisiva causa del suo successo è la contrattazione, mediante la quale le figure professionali d un determinato settore produttivo, da quelle più deboli a quelle più elevate, sono difese e promosse nelle loro condizioni di lavoro. Ciò valeva ieri, quando dal sindacato di mestiere sono sorti i sindacati di categoria c confederati, e vale ancora oggi. La caratteristica peculiare del sindacalismo moderno – quella che meglio di altre ne mette in evidenza i comportamenti e la fisionomia - è data dai modi e dalle materie della contrattazione. "Certo i sindacati sono sensibili ai valori, alle culture, alle ideologie che si succedono nella storia dei movimenti operai. Ma essi, nei sistemi moderni di relazioni industriali, sono influenzati soprattutto dal come dal quando, dal dove e dal cosa si contratta".

Il sindacato nasce per reagire all'individualismo della società borghese, non a caso sancito nella Francia rivoluzionaria, con la legge Le Chapelier del 1791 che vietava per tutti i mestieri qualunque forma di organizzazione collettiva. Il lavoro richiama il gruppo, non tanto gli individui: "richiama appartenenze sociali particolari, che si formano nelle diverse realtà professionali, e che risultano intermedie fra l'individuo e lo Stato, le due sole entità considerate nelle democrazie borghesi delle origini"; "fonda una solidarietà non prevista (e non possibile) negli ordinamenti del mercato individuale, dove sono le singole capacità di mercato a segnare le fortune e le sfortune, talvolta drammatiche ,dei destini individuali". In questo senso il sindacato è, al di sopra di tutto, attore sociale e protagonista della modernità, uno dei pilastri fondamentali della società pluralista. Vale a dire della società "che ammette e talvolta valorizza l'apporto dei gruppi organizzati nella rappresentanza degli interessi, nella composizione o risoluzione delle controversie economiche, e nelle decisioni di governo in tema di politiche economiche e "sociali".

Quando, a partire dagli anni Settanta di questo secolo, gli assetti pluralisti subiscono battute d'arresto, si aggravano per il sindacato le difficoltà e si fanno più forti le esigenze di profonda trasformazione.

Si tratta allora di rivedere strutture organizzative, modelli di relazioni industriali, sistemi e piattaforme contrattuali, collegamenti con le forze politiche di riferimento (quelle socialdemocratiche e cristiano-sociali), rapporti con lo Stato. Tutti aspetti a cui Cella dedica ampie e acute considerazioni. Se il sindacato non vuole smettere e rinnegare se stesso, non può fare a meno di essere agente di modernità e democrazia c'è un legame stretto, che la storia conforta con abbondanti prove, fra sviluppo economico, benessere civile, relazioni industriali dinamiche e virtuose, crescita del sindacato.

Buona parte del suo destino si giocherà sul terreno della partecipazione, della presenza sui luoghi di lavoro, della disponibilità a misurarsi coi mutamenti di processi lavorativi in tutte le sue ricadute; della tenuta nei riguardi di controparti private più aggressive e sfuggenti, e di poteri pubblici meno propensi alle politiche di equilibrio redistributivo.

Questi gli argomenti dell’ultimo capitolo. Cambiamenti nella composizione qualitativa e quantitativa della forza lavoro; strategie imprenditoriali rivolte alla ricerca continua della flessibilità e al coinvolgimento dei lavoratori attraverso la partecipazione diretta ; interdipendenza dei sistemi economici a livello internazionale; sono un insieme di eventi ineludibili che configurano sfide decisive per le sorti del sindacato.

Ad essi si potrà reagire, come si sta facendo, con gli accorpamenti , le fusioni, le unificazioni delle strutture organizzative, ricercando forme di confronto e interlocuzione in sede europea o internazionale, aprendo nuove vie alla partecipazione in azienda. Un'azione sindacale orientata verso la partecipazione può, ad esempio , ritrovare insperati terreni di applicazione nelle imprese sensibili alla competitività su fattori di qualità della produzione, dell'organizzazione, del lavoro. Solo il sindacato infatti può garantire ai dipendenti l'utilizzo di quei criteri di equità che impediscono di evadere nella manipolazione aziendale o nell'insorgere di conflitti particolaristici fra gli stessi lavoratori.

Più di ogni altra cosa, occorre però al sindacato la riscoperta della propria anima, della propria ragion d'essere. Una comprensione e un'attenzione positiva verso il futuro che si combina con la forza della memoria, con un richiamo, non nostalgico, ma attivo, alle tante eredità del passato, al suo patrimoni ideale.

Forse sta qui il segreto per vincere la scommessa lanciata dalla post-modernità

 

Recensione a cura Mimmo Carrieri, in "Rassegna sindacale", n.1 del 26 gennaio 1999

Perché consigliare la lettura di questo volumetto di Gian Primo Cella? Il testo, agile e scritto in forma piana, secondo gli standard divulgativi della collana di Laterza in cui esce, ricostruisce una mappa dell’azione sindacale e dei problemi del sindacalismo delle origini fino agli interrogativi sul sindacato "postmoderno", alle prese con i dilemmi sul suo futuro. Ma la ricostruzione –qui è la novità- non segue l’approccio storico prevalente negli studi di questo tipo. E’ immersa invece nel dibattito e nei paradigmi delle scienze sociali contemporanee, a partire dalla sociologia delle relazioni industriali. Un filo più comune in passato nella cultura politica della CISL (e Cella fa parte di quel gruppo di studiosi vicino al revisionismo cislino degli anni settanta e ottanta), che non in quella della CGIL.

La convinzione dell’autore è che il sindacato si muova sull’asse di una preziosa ambiguità, che lo rende indispensabile al funzionamento (ed all’arricchimento) delle democrazie pluraliste. Da un lato esso è tradizionalmente un movimento di protezione dei lavoratori dalle insicurezze, con una buona dose di necessaria "conservazione". Da un altro lato, almeno per tutto il "secolo del lavoro", i sindacati sono stati anche una spinta all’innovazione sul piano dell’equità e delle relazioni sociali, come su quello della modernizzazione tecnica e organizzativa dei sistemi produttivi. Il sindacato è immerso nelle relazioni di mercato così come si presentano (altrimenti è difficile che possa rappresentare il lavoro concreto), ma è costretto a lottare per modificarle (se vuole rappresentare anche il lavoro astratto). L’ispirazione dell’autore, in sintonia con questa positiva ambiguità dell’oggetto, è limpidamente riformista e apparentabile con quella cultura emersa nelle società anglosassoni, e consolidatasi nei paesi nordici, dove il pluralismo delle origini è diventato pluralismo organizzato, perché poggiato sulla rete dei rapporti tra grandi associazioni di rappresentanza e tra queste e il sistema politico-istituzionale. Varrà la pena sottolineare questa lezione che in Italia non è ancora completamente assimilata dalla sinistra con le parole dell’autore: "Il sindacato delle relazioni pluraliste è sempre stato costretto a tener conto del condizionamento dei mercati, anche se nello stesso tempo è entrato in competizione con le loro pretese esaustive di regolazione". Questo ci aiuta a capire perché i sindacati più grandi, per crescere o mantenersi tali, sono stati vaccinati tanto dall’apologia del mercato che dalle tentazioni del suo rifiuto. In genere il mercato è stato accettato, ma accettato per essere regolato in modo più equo. Anche per questo i sindacati occidentali non sono disarmati dal trionfo del mercato del dopo ’89. ovviamente, all’interno di un approccio di questo tipo, il principale strumento d’azione di cui dispongono i sindacati nelle democrazie pluraliste, è la contrattazione collettiva: considerata non solo come uno strumento di avanzamento degli interessi del lavoro dipendente, o di composizione del conflitto, ma come un fattore di regolazione congiunta (tra le parti) dei rapporti di lavoro. Da qui la centralità, per i sindacati, della possibilità di estendere la rappresentanza attraverso la contrattazione, e l’importanza che assume il rapporto, spesso contrastato, tra rappresentanti e rappresentati: un legame secondo Cella –notazione di rilievo- più simile "al mandato imperativo vincolante che al mandato incondizionato tipico della rappresentanza politica" nei sistemi politici contemporanei. In questo schema il conflitto avviene in un certo modo prima: è la risorsa-base che accompagna l’attività negoziale. E la concertazione triangolare viene dopo: è piuttosto un’appendice della contrattazione, costretta a misurarsi con le politiche pubbliche. Lo sviluppo delle pratiche concertative indica nello stesso tempo il completamento delle relazioni pluralistiche e la loro crisi, dovuta nel decennio 80 all’emergere di strategie neoliberiste tese ad allargare l’area esclusiva di regolazione del mercato. , e negli anni 90 a trasformazioni sociali e produttive (tra le quali la globalizzazione dei mercati) che hanno eroso insieme gli spazi e della contrattazione e delle politiche nazionali.

Per chi voglia avvicinarsi alle principali chiavi di lettura del fenomeno sindacale, il testo offre esaurienti classificazioni. Mi limito a riguardo a sottolineare i dilemmi organizzativi sui quali Cella insiste. Quello tra logica di classe e logica di associazione (che ritorna nella esperienza italiana della CGIL e della CISL); quello tra criterio verticale e criterio orizzontale della rappresentanza; quello tra principi gerarchici e principi federativi; infine quello tra dirigenti eletti e funzionari (che dovrebbe evolvere verso una combinazione tra apporti provenienti dai posti di lavoro e intelligente organizzazione burocratica). E’ utile ricordare anche come l’autore individui una delle potenzialità del futuro nello sviluppo dei meccanismi partecipativi: è interesse reciproco delle parti muovere in questa direzione, in quanto il superamento delle asimmetrie informative, giova a entrambe. Un’ultima notazione riguarda la valutazione delle esperienze di sindacalismo incardinato nella contrattazione aziendale. Qui l’autore non fornisce chiavi interpretative, ma negli ultimi vent’anni è andata aumentando la distanza tra i sistemi di pluralismo decentrato e quelli di pluralismo più coordinato a vantaggio di questi ultimi: con una crescente inadeguatezza dei primi e una limitazione del grado di centralizzazione dei secondi. Da questo punto di vista le tradizionali tipologie sul sindacalismo, che Cella riprende e rielabora, probabilmente non sono più sufficienti.

 

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