Direzione didattica di Pavone Canavese

Le Istituzioni scolastiche nel contesto delle autonomie


23.11.2011

Dimensionamento e "prodotto" della Scuola

Pasquale D'Avolio

 

 Uno degli aspetti più “strani” degli attuali parametri per il dimensionamento  della rete scolastica è la pluralità degli stessi.
La novità di quest’anno è che la legge 111 del luglio scorso, oltre a unificare le Scuole elementari e  Medie nei nuovi “Istituti comprensivi” (già esistenti nel 50% dei casi), fissa nuovi parametri numerici “nazionali” rispetto a quelli precedenti. Il fatto strano è che si avranno 3 distinti parametri: uno per i precedenti Comprensivi (da 500 a 900 alunni, salvo la deroga per la montagna), uno per le Scuole superiori (minimo 500, massimo 900, ma solo sulla carta, in quanto si può arrivare e si arriva anche a 2000) e uno per i nuovi Comprensivi (minimo 1000 senza un massimo). Quale sia la logica di tale differenziazione non si capisce. Come se non bastasse con la legge di stabilità 2012, approvata dal Parlamento pochi giorni fa, i parametri per l’assegnazione di Dirigenti e DSGA alle Scuole autonome salgono da 500 a 600 (da 300 a 400 per le scuole di montagna e piccole isole). Una babele di numeri e parametri! Così potremo continuare ad avere scuole sottodimensionate, a cui non verranno più assegnati Dirigenti e DSGA; con il che si rompe il nesso autonomia-dirigenza che era alla base della L. 59/97 e del Regolamento per l’autonomia (DPR 275/99). La “reggenza” non è più quindi un fatto straordinario, in carenza di Dirigenti “di ruolo”, ma una categoria particolare per istituti sottodimensionati, che conservano la loro “autonomia” ma saranno diretti da qualcuno “prestato” alla Scuola. Sfido a trovare la logicità di tale disposizione!

Ma il punto è un altro, come ha messo bene in luce De Anna nel suo intervento “Dimensionamento e organizzazione”: si dovrebbe stabilire quale sia l’ottimale dimensione di un istituto e in base a questa si dovrebbero fissare dei limiti. Ma è possibile individuare tale ottimale dimensionamento in astratto? Direi proprio di no!

Se si guarda dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi amministrativi, occorre riconoscere ad esempio che questi non possono scendere al di sotto di una certa soglia: una segreteria funzionale ha bisogno di almeno 5/6 impiegati (oggi si va da un minimo di 2 fino a 15 nei grandi istituti), avendo tuttavia presente che la complessità di una Scuola non dipende dal numero di alunni, anche se questo incide certamente. Qui il problema potrebbe essere risolto creando delle “reti di servizio” previsti dal Regolamento sul personale ATA, ma che stentano a diffondersi

Dal punto di vista di quella che definirei la “comunità professionale” (vale a dire il numero dei docenti) è evidente che con un numero di insegnanti ridotto al lumicino non c’è scambio, non c’è confronto adeguato e soprattutto non c’è ricerca; ma con comunità professionali troppo ampie (fino a 300 docenti, come ne esistono) si finisce perfino per non conoscersi e i Collegi docenti divengono dei parlamentini, dove possono intervenire poche persone (i “capigruppo”). E allora anche qui occorrerebbe fissare una soglia minima e massima, salvo ricercare nuove modalità organizzative dal punto di vista didattico (dipartimenti, consigli di presidenza), tra l’altro già previste nella normativa in vigore.

Se si guarda dal punto di vista della Dirigenza, occorre definire quali sono le “funzioni da presidiare”: quella amministrativo-gestionale, quella dei rapporti con il territorio o quella educativo-didattica. Non si può escludere nessuna, ma allora la dimensione dell’Istituto va riferita alle concrete possibilità di presidiarle tutte e tre. Qui entrano in gioco non solo i parametri numerici ma anche quelli geografici e soprattutto quelli delle “funzioni sussidiarie” (il famoso “staff” o le figure intermedie)

Dal punto di vista geografico, come dice giustamente Antonio Valentino, altro è avere 1000 alunni nello stesso edificio o con poche “succursali” altro è avere 15/16 plessi: una piccola Scuola non consente un rapporto “forte” con il territorio, ma un megaistituto difficilmente consentirà al Dirigente di occuparsi realmente della qualità dell’offerta formativa, specie in presenza di molti plessi e di un territorio molto vasto (come in montagna). Si veda a tal proposito quanto afferma l’ex Ministro Berlinguer in un suo intervento sul “Il Sussidiario” di qualche giorno fa. [i]

Un ulteriore elemento da considerare è la necessità di investimenti in attrezzature e laboratori, che non possono essere “frammentati” in molti Istituti, per cui diverso è il discorso per le Scuole tecnico-professionali rispetto ai Licei o alle scuole di base.
Ultimo e non meno importante elemento che vale soprattutto per le Scuole di base è il rapporto con il territorio: gli istituti comprensivi ad esempio devono riferirsi a un territorio omogeneo e non vanno costituiti accorpando realtà troppo diversificate.
In sostanza la questione del dimensionamento, a parere del sottoscritto, va riferita alla mission che si vuole dare alla scuola. In sostanza la questione del dimensionamento non solo va sottratta alle esigenze di carattere economico  (la spesa per le Dirigenze e le Segreterie) pur importante, ma va inserita in un discorso più complesso  
Dubito, direi son certo, che tali questioni siano presento agli operatori politici (Comuni, province e Regioni) ai quali spetta in ultima istanza la decisione sul dimensionamento.
Qui mio sento di non condividere il taglio dell’intervento di De Anna. Nonostante l’interesse che De Anna dichiara per “le esercitazioni di riflessione sulla “leadership pedagogica”, il suo discorso si incentra principalmente sugli aspetti organizzativi. Delle tre E del suo discorso (efficacia, efficienza, economicità) a me pare che quella meno considerata è proprio la prima, vale a dire l’efficacia,.

Non commetterò l’errore di considerare De Anna un puro “efficientista” conoscendo il suo background ideale e culturale. Ma a me sembra che alla fine la quadratura del cerchio tra efficienza ed efficacia (lasciando da parte la economicità, da non trascurare tuttavia) stia nel rivedere non solo il profilo di ruolo del Dirigente, ma il compito essenziale della “istituzione scuola” e della “comunità scuola” accanto all’”impresa-scuola”. Sottolineo le due precedenti definizioni, per evitare di scadere nell’aziendalismo.

A me pare fondamentale considerare innanzitutto quello che lui chiama il “prodotto” (vale a dire il “successo formativo” del soggetto in formazione) che risponde, come annota giustamente De Anna, “ad un diritto fondamentale di cittadinanza”. Quali sono le condizioni che permettono di raggiungere un “prodotto” socialmente e individualmente adeguato, se non eccellente?

Superiamo la questione puramente “stupidamente quantitativa” e concentriamo la nostra attenzione sulle condizioni migliori per raggiungere lo scopo. Condivido in parte le considerazioni di Stefanel sulle virtù delle grandi scuole e sui vizi delle microscuole: il nuovo D.S. non può più essere quello a cui eravamo affezionati (quello per il quale chi scrive ha concorso negli anni 80). Tropea in un lucido intervento di qualche tempo fa (“Leadership educativa dei Dirigenti scolastici” in www.scuolaoggi.org ) enunciava quale potrebbe essere il “profilo di ruolo” del nuovo Dirigente indipendentemente dalle dimensioni della Scuola[ii]  Condivido quanto egli afferma, ma quello che mi pare manchi in una scuola con un Dirigente di tal fatta è la questione del coordinamento pedagogico-didattico, che, se non può competere al D.S, dovrà essere affidato a qualcun altro (singolo o gruppo). E allora la riflessione va estesa a quelle che chiamiamo le “figure intermedie”. E’ un dibattito che manca da molti anni. Cerini nel lontano 2003 propose una “road map della professione docente” (vedi www.edscuola.it, link a Riforme) in cui, partendo dall’esperienza delle “funzioni obiettivo” diventate successivamente “strumentali” prevedeva due “filiere” per la carriera docente: quella più impegnata sul versante organizzativo e l’altra più sul versante pedagogico-didattico.

Bene quindi gli istituti di grandi dimensioni, a patto che si riprenda e si “imponga” contemporaneamente una rivisitazione della governance interna alla Scuola, a cui aggiungerei anche quella “esterna”, vale a dire il discorso delle reti di scuole, altro grosso problema non risolto. Finché l’autonomia verrà intesa come “autosufficienza”, finché le reti di servizio saranno volontarie, forse non faremo passi avanti.


[i] Chi scrive ha avuto la ventura di dirigere scuole di modeste dimensioni (al Liceo avevo 600 alunni e 22 classi … in 4 corridoi, un Collegio docenti di circa 60 docenti e 4 impiegati). Una dimensione “umana” che mi consentiva di occuparmi giornalmente di questioni educative e didattiche: Stefanel non me ne vorrà, ma io leggevo e commentavo tutti i documenti di programmazione dei docenti e le relazioni finali, visionavo i registri almeno tre volte l’anno, partecipavo a quasi tutti i Consigli di classe, a tutti gli scrutini, ai Consigli di istituto, entravo spesso nelle classi, presiedevo le commissioni sull’handicap e nel frattempo mi impegnavo nei vari progetti di sperimentazione e di aggiornamento.  Il colloquio con i docenti e gli studenti era pressoché quotidiano. Poi mi toccavano le riunioni con le RSU (non proprio facili), e il disbrigo delle incombenze di bilancio e burocratiche (la dannata 626!)…. finché non ho mollato. Altri tempi, altro “profilo di ruolo” come direbbe De Anna. Mi piaceva essere in sostanza un “Dirigente didattico”, in linea con la definizione che davo allora del Preside “Vir bonus DOCENDI peritus” (parafrasando Catone)

 [ii] TROPEA: “E’ necessaria una figura che in questo ambiente sia in grado di conoscere ed utilizzare gli strumenti necessari per la stipula di negozi  giuridici 

  • conoscere e diffondere il dibattito  italiano ed europeo di politica educativa

  • stimolare la definizione di una identità culturale  e pedagogica della scuola

  • sviluppare relazioni con il territorio e le sue istituzioni, Enti locali e funzionali, Regione

  • costruire  un’organizzazione interna coerente  con gli impegni assunti

  • valorizzare ed indirizzare le risorse professionali

  • individuare e strutturare  le funzioni di coordinamento necessarie 

  • costruire relazioni,  condurre e coordinare funzioni intermedie

  • costruire ambiti di verifica della coerenza tra dichiarato ed agito

 

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