(24.02.2015)
Per una scuola che attui la Costituzione
di Franco De AnnaNel precedente articolo “Vivo altrove” mi permettevo qualche ironia sul tono e la risolutezza di tanti appassionati difensori della nostra Costituzione che, giustamente considerandola la “più bella”, pensano sia sufficiente il ricorso ad essa per affrontare e risolvere “nel giusto modo” tutti i problemi politici, istituzionali, economici ecc… in primis quelli del sistema di istruzione.
Quell’assoluto rifarsi ad essa sembra sostituire proprio quell’invocatio dei che quasi tutti i Paesi occidentali, molto più laici o pluriconfessionali del nostro, hanno pure posto come premessa alle proprie Costituzioni (vedi per tutte, quella degli USA..), e che invece i nostri padri costituenti (tra i quali tanti cattolici..) giustamente non posero nella nostra.A tale appassionata schiera sembra appartenere Corrado Mauceri (spero si ricordi anch’egli di un lungo lavoro insieme..) che interviene su prese di posizione contrarie alla Legge di Iniziativa Popolare sulla scuola, con argomentazioni che puntigliosamente richiamano la Costituzione. Non credo che Mauceri voglia intendere che altre intenzioni o disegni politico-istituzionali che cercano diversi assetti del sistema di istruzione siano “contro” la Costituzione, ma certo un argomentare “assiomatico” del tipo “la Costituzione dice…. dunque la LIP ha ragione” o anche ” la Costituzione dice… dunque quanto fatto finora (dalla Dirigenza scolastica alla autonomia.) è ai limiti, se non contro la Costituzione…” lascia francamente perplessi.
Cercavo in quell’articolo, di ricordare quanto di non costituzionale vi sia nell’ordinamento scolastico (i gradi e ordini di scuola non sono di derivazione Costituzionale, per esempio, ma incrostazioni e stratificazioni precedenti) e anzi di quanto nella politica scolastica si debba ancora fare per dare davvero corpo ai dettato costituzionale (per esempio le politiche per rendere effettivamente fruibile il “diritto allo studio” in chiave universale) muovendosi in qualche caso in moto contrario a quanto alcuni “invocanti” costituzionalisti sembrerebbero volere (per esempio la fruizione universale del diritto allo studio non è affatto garantita, anzi, dalla pura e semplice gratuità).
Così non c’è da stupirsi eccessivamente se le proposte concrete che riguardano l’assetto del sistema di istruzione, fatto salvo il richiamo ribadito alla Costituzione, si rivelino in sostanza di tipo “conservativo”.
Torniamo ai programmi del 1979 nelle scuola media, a quelli dell’’85 nella elementare, superiamo la dirigenza scolastica (che è connessa alla autonomia..) ecc.. Queste le “invocazioni” che accompagnano quelle alla Costituzione, sostitutive di quelle a dio che nella Costituzione non ci sono (e per fortuna nostra e merito dei padri) da parte degli amici della LIP.Comprensibile tentazione: sono, quelli citati, tutti episodi di politica scolastica di contenuto apprezzabile (seppure erano in ritardo nel momento stesso in cui apparivano innovatori: per quasi trent’anni i programmai della media del 1979 sono stati indicati come “nuovi programmi” e pure si realizzavano ben 15 anni dopo avere istituito la Media - perdono: la secondaria di primo grado - alla quale essi avrebbero voluto essere “funzionali”. E il linguaggio testimonierà pure qualche cosa, in termini di orientamento conservativo, se il nuovo ha tale durata); e in oltre, e questo è decisivo, all’epoca eravamo …più giovani (ricordi Corrado?).
Il problema consiste nel fatto che, come argomentavo in quell’articolo, il sistema di istruzione è profondamente cambiato, sia nella composizione della domanda sociale, sia nella sua funzione di riproduzione delle enciclopedie e dei valori, sia delle generazioni professionali impegnate, sia del suo rapporto con lo sviluppo economico.
Rispondere alla conclamata inadeguatezza del sistema di istruzione rispetto ai suoi plurimi significati sociali (per esempio nella funzione di contributo alla attenuazione della disuguaglianza…E’ questo uno dei fallimenti più clamorosi delle scommesse effettuate quarant’anni fa..) semplicemente valorizzando il “come eravamo” è (purtroppo) una “scelta politica”; assolutamente legittima sotto il profilo costituzionale, ma non si può farla invocando “assiomaticamente” la Costituzione.
E questa scelta politica ha una inequivocabile impronta conservativa. Di conservazione degli assetti, degli interessi professionali, delle prerogative di ceto, della riproduzione degli apparati, della classificazione del lavoro, finanche delle enciclopedie e dei significati e gerarchie di valori culturali (si veda il tormentone del “primato” del Liceo Classico che sarebbe ridicolo se non investisse gran parte della intellighentia nazionale…..)…
Ma non voglio riprendere argomentazioni già abbondantemente elaborate. Corrado Mauceri è esperto giurista. Vorrei fargli un paio di domande rispetto a quanto sostiene in rapporto alla Costituzione.Prima osservazione /domanda: l’art 33 Cost. recita, come ricorda Corrado, che “…la Repubblica istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Orbene l’art 114 recita “.. la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato…” Cioè lo Stato è una parte della Repubblica.
La congruenza tra art.34 e art 117 è evidentemente difettosa. Possiamo sostenere che i “riformatori” del titolo V qualche cantonata l’abbiano presa, o non si siano preoccupati di armonizzare tra loro almeno il dettato di alcuni articoli…. Ma, a parte i riformatori difettosi, il “popolo si è espresso…” (referendum confermativo) e mi sarebbe difficile prescinderne.
Ancora di più per chi sente legittimate le sue posizioni da centomila firme…(una quisquilia rispetto al pronunciamento di un referendum sul Titolo V e alla strutturale possibilità diversa dal passato, di raccoglierle firme oggi, ai tempi della rete.). Qui non c’è invocatio dei che tenga…
Occorrerebbe cambiare il dettato costituzionale, o per fare manutenzione alle incongruenze, o per riscrivere le competenze dei diversi soggetti. Certo non si può dire …”..in base all’art. 33 il modo per dare risposta al diritto all’istruzione è la scuola statale…, e perciò….(con quanto segue nelle argomentazioni di Mauceri)” L’inferenza è in realtà deprivata dal sostegno costituito dall’invocazione alla Costituzione.Sto, come si vede, sul piano della “assiomatica giuridica” sulla quale Mauceri è più esperto e colto di me…La contraddizione interna richiede cambiamento del dettato costituzionale, anche per sostenere le tesi degli amici della LIP. Ma in che direzione procedere è materia politica...
E perciò faccio una seconda domanda.
All’art. 117 la Carta ripartisce le competenze (assegnando anche potere legislativo e non solo gestionale) tra lo Stato e le Regioni. Al primo la normazione di carattere generale sul sistema di istruzione e la definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione.
Due incombenze assai misteriose. La seconda perché non ha mai avuto attuazione (ma ho scritto fino a noia sulla problematica essenziale dei LEP e non mi ripeto qui). La prima costituisce un problema giuridico: che cosa si intende per “norma generale” sull’istruzione? La stessa Corte Costituzionale ha dato risposta ambigua (anche se riferita a un quesito sorto circa il sistema sanitario).
Da “profano” mi sentirei di dire che l’ultima “norma di carattere generale” (cioè che investe l’assetto complessivo del sistema di istruzione) è la Legge 53 (“Moratti”), che, non a caso, nella sua premessa richiama sia la problematica dei LEP che quella delle competenze assegnate alle Regioni, (verificate per favore.. è proprio così)
Possiamo considerare quel Ministro un avversario politico… ma la sua Legge è l’unica, in questo decennio, che abbia il carattere di “norma generale” (dunque rispetta l’indicazione costituzionale).Possiamo (e dovremmo) lavorare per mutarla e/o rivederla, ma con il medesimo respiro di “norma generale”. Invece… si pensi a un non rimpianto Ministro del centrosinistra che coniò la metafora del “cacciavite”… altro che norme di carattere generale.
L’estensione dell’obbligo attraverso una Legge Finanziaria, sarebbe ligio alla Costituzione? E una legge che annullando quella “Moratti” e reintegrando la normativa precedente (sia pure transitoriamente… ma quanto durano le transizioni nel nostro sistema) come vorrebbe la la LIP avrebbe i crismi di costituzionalità prevista nell’ art.117?Il legislatore (sbandamento della ragione?? Ma “il popolo si è espresso” attraverso referendum..) ha ripartito le competenze relative all’istruzione tra Stato e Regione, “fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”.
Cioè ha costituzionalizzato l’autonomia con una affermazione che è ovviamente diversa da quelle già contenute in altra parte, (art.33 e 34) circa la libertà di insegnamento, quella della scienza e della cultura ecc.., e così pure le affermazioni del ruolo della famiglia nella educazione dei figli (art.30 e 31).Tutte “precisazioni” di contorno tese a sagomare le prerogative dello Stato già esistenti nel testo del ’48, ben prima della riforma del Titolo V.
Evidentemente in quest’ultimo c’è qualche cosa più che non una autonomia pensata come ambito della libertà di insegnamento o come ambito della “partecipazione” della collettività coinvolta e rappresentata (corporativamente, come parte della comunità professionale o famigliare, ma non come cittadinanza) nei diversi “consigli” della gestione collegiale.
Non possiamo ignorare la sagomatura “corporativa” (i “genitori” e i “docenti” non “i cittadini”) di quel modello di partecipazione (non ha caso ha funzionato in termini di democrazia reale, fino a che la dinamica sociale era affluente… si è ripiegata corporativamente quando quest’ultima si è afflosciata) né sottovalutare l’ambiguità del predicato “libertà di insegnamento”, quando lo si parametri sulle ”convenienze” del singolo docente e non sulla “impresa collettiva del fare scuola”..
L’autonomia del titolo V, (ma anche quella derivata dalla Bassanini..) è cosa assai diversa da quella descritta da Mauceri come “costituzionale” con il solo riferimento agli artt.33 e 34.
Ed è in gran parte da costruire, altro che “contenere”.
Ma qui siamo nuovamente sul terreno politico….
Rimaniamo invece su quello giuridico…Applicando quella normativa sulla autonomia (dalla “Bassanini” al Titolo V), la scuola autonoma, ogni scuola, è diventata un Ente Pubblico.
Anche in tale caso la scelta di conformazione giuridica poteva essere diversa….Molti soggetti pubblici furono riconfigurati in quella stagione di riforma della PA, attraverso modelli diversi, come le fondazioni, (per esempio sostituirono gli Enti lirici) o Aziende Pubbliche, o Agenzie…Configurazioni diverse entro le classificazione del diritto e dello stesso diritto Amministrativo. Ciascuna disegna anche dimensioni e caratteri della autonomia reale nella operatività di tali soggetti.
Ma comunque: si fece la scelta della configurazione delle scuole come Enti Pubblici (intanto mentre si perseguiva l’obiettivo storico dello sfoltimento degli Enti, se ne creavano quasi diecimila nuovi… salvo poi dover procedere al “dimensionamento”, più o meno appropriato. Schizofrenia congiunta della politica e del “pensiero giuridico” ). Inutile rimembrare, è dannoso per i ricordi stessi.Nell’assetto classico del Diritto amministrativo, gli Enti Pubblici sono classificati come ausiliari o come strumentali.
Domanda: le scuole autonome sono enti strumentali o enti ausiliari?
Risposta difficile… Si inventò la classificazione di “Enti funzionali”, che, se si capisce cosa significhi sotto il profilo operativo (si fanno carico, sono investiti, assumono una responsabilità di esercitare una funzione pubblica…) lascia però inalterata la problematicità della domanda: Strumentali o ausiliari?.
La faccio a Mauceri, che è esperto di diritto, e tramite lui a tutti gli estensori della LIP, esperti costituzionalisti….
Ente pubblico Strumentale è ente che ha le medesime finalità, e solo quelle, del soggetto emanatore.
Ente pubblico Ausiliario è ente che ha le medesime finalità del soggetto emanatore, ma ne esercita anche di proprie, definite attraverso opportuni assetti di direzione e governo, di partecipazione e democrazia decisionale.Ripeto: quegli Enti Pubblici che sono le scuole autonome, sono strumentali o ausiliari?
So che è una domanda inevasa, ma so anche che la risposta (da realizzare…) rappresenta un crinale di scelta politica, e un modo di intendere lo Stato, il suo rapporti con la società civile, i modelli organizzativi dei servizi che danno corpo all’esercizio dei diritti sociali dei cittadini.Insomma fa giustizia del mascheramento offerto da un lato dagli arzigogoli del diritto amministrativo; dall’altro del paravento dell’invocazione alla Costituzione.
Si dica come si vuole che sia l’autonomia delle istituzioni scolastiche e se ne maturino le conseguenze politiche e amministrative ( per esempio si ridimensioni il ruolo del MIUR..). Questo è un confronto “tutto politico” e che impedisce che la Costituzione sia usata come “alibi” delle proprie scelte.Provo a dirlo in altri termini: le istituzioni scolastiche autonome sono “filiali” territoriali del Ministero (versione Ente strumentale..), o sono interpreti della “sussidiarietà” pubblica in merito all’istruzione, e dunque sono “imprese sociali” che operano offrendo il prodotto finale (istruzione) ai cittadini portatori di diritto (versione Enti ausiliari: hanno le medesime finalità della loro “ragione sociale” ma ne elaborano e declinano anche di proprie, rispetto al contesto operativo…)?
Aggiungo solo che la “sussidiarietà” è valore costituzionale, non una invenzione della cultura cattolica.
Ne (ri)propongo la definizione che ne diede Delors: la sussidiarietà consiste nel fatto che un “ente sovraordinato” rinuncia ad intervenire su una collettività, una comunità locale, che sappia risolvere da sé (autonomia) i propri problemi; ma consiste anche nel fatto che quell’ente sovra ordinato si impegni a porre tutte le comunità locali ad essere in grado di risolvere da sé i propri problemi e operi favorendo tale capacità.Come si vede una definizione a-ideologica, del tutto operativa di sussidiarietà. L’autonomia (la capacità di affrontare e risolvere da sé i propri problemi) è commisurata alla scala di tali problemi. Se devo assicurare l’intervento su piccole ferite e fratture costruirò un ambulatorio comunale o di Zona… ma se devo offrire servizi di diagnostica evoluta e di grande rilevanza tecnologica non potrò farlo costruendo un ospedale in ogni Comune…Il Diritto alla salute è il medesimo e costituzionale: i servizi da produrre in soddisfazione di tale diritto sono altra cosa della pura affermazione del diritto.
Trasferite il paragone in campo di istruzione: la definizione generale delle prestazioni fondamentali riferite ad un Diritto costituzionale come quello all’istruzione non può che avere una dimensione che supera quella della comunità locale (e della singola scuola). E così pure l’intera ”significazione sociale” e “funzionalità sociale” che ha il sistema di istruzione come sottosistema istituzionale.
Ma il carattere dei servizi offerti all’esercizio di quel diritto, la sagomatura del prodotto reale offerto a quella comunità di cittadini, l’integrazione tra il “valore” incorporato e distribuito dalla scuola e quello messo a disposizione e investito dalla collettività locale, appartengono alla dimensione della sussidiarietà e della autonomia intesa in chiave “ausiliaria” cioè di declinazione anche delle finalità perseguite da una organizzazione autonoma sia pure costituita in forma di “Ente pubblico”.
Dunque con un articolazione della flessibilità gestionale, della responsabilità, del valore della valutazione del prodotto e dell’impiego delle risorse innanzi tutto rispetto ai cittadini.
Dunque sottostanti a talune prese di posizione, vi sono dislocazioni di opinioni radicali,
Nella versione Ente strumentale la scuola autonoma continua ad essere il terminale di una catena di comando che trasferisce dal centro alla periferia circolari, ordinanze, e un “che fare” segmentato entro l’algoritmo amministrativo tradizionale. Semmai modernizzato dalle tecnologie informatiche.
Se ci si schiera per quel modello algoritmico (l’interpretazione “strumentale” dell’autonomia) lo si dica apertamente: si comprenderà meglio in termini di coerenza la posizione contraria alla Dirigenza Scolastica, che entro quell’algoritmo è evidentemente impropria.
Vorrei solo che fosse chiaro, in chi sostiene tali posizioni, che esse sono del tutto coerenti con la strategia usata dalla amministrazione in tutti questi anni (che si vorrebbe nemica..), per riguadagnare lentamente ma pervicacemente il terreno che l’introduzione dell’autonomia minacciava di corrodere.Una legittima posizione politica. Basta saperlo. Gli “innovatori” sono in realtà i grandi alleati dei “restauratori”.
Ciò che mi inquieta non è ovviamente la diversità di opzioni e visioni politiche (ci sono abituato: una vita trascorsa lavorando nella e per la scuola, mai d’accordo con chi governava la politica scolastica, ma cercando comunque di salvaguardare i valori “costituenti”…) ma la rinuncia ad esercitare la responsabilità di “intellettuali” (se Gramsci ci è maestro..) nei processi di “costruzione di senso” e di significati da parte di chi, per cultura, ruoli interpretati, esperienze, privilegi (si, avere studiato, in questo Paese, è un privilegio…) ne porta responsabilità.
Una rinuncia “comoda” che privilegia non l’analisi e la capacità di comprensione,. Ma “la propria opinione” a fronte di una “disintermediazione politica” (favorita dalla rete) che invece di invitare alla riflessione, alla faticosa composizione degli interessi e delle loro diverse rappresentazioni si riduce al “mipiacenonmipiacismo” sempre declinabile in chiave “difesa della costituzione”.Da questa deriva, forse, l’uso non di discutere le diverse posizioni, ma di liquidarle per esempio con categorie come la “privatizzazzione”, la subalternità ad interessi economici sacrificando diritti, l’incostituzionalità di qualunque cambiamento..
L’interrogativo di fondo è ancora più tosto e meno riducibile alla polemica LIP/non LIP.E’ del tutto evidente che la faglia che segna la separazione di posizioni come quelle descritte sulla autonomia scolastica sia in realtà più profonda: è la concezione dello Stato e del suo ruolo, del suo rapporto con i cittadini e con la società civile.
Per alcuni lo Stato è il “compimento” della cittadinanza che rappresenta il percorso che va dal soggetto, l’individuo e, appunto, lo Stato che è coronamento e traguardo dell’espressione di cittadinanza.
E’ una vecchia questione di confronto tra le due anime della sinistra storica: quella “consiliare” (dai soviet alla democrazia di massa di Ingrao, ai consigli di fabbrica degli anni ’70) e quella dello “Stato Programma” della pianificazione, del controllo totale sulla economia e sulla società, della “transizione” necessaria del “socialismo pianificato”Avendo vissuto personalmente in passato tale dialettica, mi sconforta vederla riproposta oggi: il declino dello stato nazionale come “territorio delle regole”, il declino della dimensione statuale come ambito dell’esercizio dei diritti, ma anche come ambito della espressione degli interessi economici… la de-territorializzazione del contesto delle decisioni, e dunque dell’ambito di efficace espressione della democrazia e della partecipazione dei cittadini, sono tutti elementi che vediamo operare nella nostra vita quotidiana… e che rappresentano gran parte dell’origine delle incertezze e delle schizofrenie dei modelli di rappresentanza.
Ma davvero oggi, a fronte di tale passaggio storico, qualcuno pensa che abbia futuro una rappresentazione dello Stato come “sinonimo” esaustivo di “valore pubblico”, di garanzia di universalità dei diritti e delle condizioni di loro fruizione? O non bisogna forse misurarsi con l’azzardo e l’incertezza di un altro “territorio dei diritti”, della espressione della cittadinanza, della distribuzione delle responsabilità tra istituzioni e società civile?
Lo Stato non come “compimento e coronamento” della cittadinanza ma come “intelaiatura”, “cornice” entro la quale si esprime la dinamica regolata della società civile, capace di risagomare la cornice stessa e il suo perimetro per dare ospitalità e “correzione e regole” a quella stessa dinamica, e ad altre espressioni della cittadinanza (da quella europea transnazionale, alle forme di partecipazione volontaria che fa crescere significativamente il terzo settore, la cittadinanza “societaria”..)A partire dalla considerazione che è tale dinamica a costituire, nella fase storica che attraversiamo, la condizione del superamento delle contraddizioni più laceranti di questo passaggio. Prima tra tutte quella del crescere progressivo della disuguaglianza, non tra gli Stati (anzi il processo è inverso) ma proprio “entro” lo Stato di tradizione novecentesca, invocato a garanzia dei diritti..
Posso invitare tanti “intellettuali” che hanno il privilegio di avere strumenti culturali per interpretare tale passaggio e per darne senso anche a chi da tali strumenti è stato storicamente escluso, di misurarsi con la complessità di tali questioni, rinunciando al facile successo di vedere le proprie opinioni confortate dal plauso del “mi piace”?
Anche perché, se fossi il “renziano” che non sono, non avrei dubbi: sceglierei di dare fiato a quel modo di discutere senza argomentare. Aumenterebbero senza dubbio le mie possibilità di vincere.