Direzione didattica di Pavone Canavese

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LAVAGNA SULLO SCHERMO
a cura di Paola Tarino

 

ANGELI MONELLI CAMPANELLINI

L'ESTATE DI KIKUJIRO
di Takeshi Kitano

L'estate di Kikujiro

Parlare d'estate può sembrare adesso decisamente fuori stagione, eppure nell'attuale ventaglio di proposte della distribuzione italiana, irrimediabilmente insipiente nel periodo natalizio, il film di Takeshi Kitano, L'estate di Kikujiro (Giappone, 1999), porta una ventata di gelida e divertita originalità all'interno degli scarni e sempre più seriali inviti ad una visione cinematografica di fine anno, nonostante la presenza di figurette stile presepe naïf collocate sui titoli di testa.
Vacanze di natale e sulla neve a parte se ne consiglia la visione al pubblico, non a quello rilassato e pieno di buoni propositi che si accinge a trascinare la famiglia al cinema solo per abbuffarsi con pranzetti basati su un'unica porzione di "pesce innamorato", ma a quello interessato a rimuginare, seppur nell'evasione svagata, ai destini di un'umanità bambina, sempre più disperata nell'affrontare una quotidianità catastrofica, a cui una solidarietà bizzarra può a volte recare conforto alle perdite subite, anche a quelle ineluttabili o perlomeno connaturate alla natura umana, di per sé incostante, volubile, peregrina.


Meravigliosa e tenera la regia di questo film (la soggettiva dell'occhio della libellula che moltiplica l'inquadratura è una chicca da non perdere, come le riprese di spalle dei personaggi rigorosamente ad altezza zen) che porta la sigla di Takeshi Kitano, autore di genere, considerato sinistro e cattivo, noto all'estero per la produzione di B-movies violenti e sanguinari, affreschi surreali dell'universo yakuza nipponico, popolato da spari, botte, bulli e scazzottate. Per un istante, invogliati anche dalle ricorrenze natalizie, si fa in fretta a passare in rassegna le vite meravigliose illustrate da Frank Capra o le magiche atmosfere de Il monello di Chaplin, oppure ricordare le moderne avventure di adulto con bambino, ad esempio Alice nelle città di Wenders, Paper Moon di Bogdanovich, La vita è bella di Benigni (con il quale si coglie un'altra parentela negli sketches, che nel caso nipponico sono meno gravati dal peso della storia, ma altrettanto se non di più commoventi) o Central do Brasil di Salles, eppure il piacere della visione, al di là dei debiti omaggi tributati alla storia del cinema, trova linfa in una presentazione tragicomica del tradizionale teatro kabuki giapponese, qui rivisitato in chiave ironica e giocosa, sgravato dalla noia della ripetizione erudita, forse per renderlo appetibile ai palati occidentali che ne potranno apprezzare i guizzi delle gag, degne delle migliori comiche dell'epoca del muto.

In effetti il silenzio e la desolazione delle strade di Tokyo, svuotate dalla calura, sembrano sovrastare l'estate di Masao (Yusuke Sekiguchi), un timido ragazzino di dieci anni, che abita con la nonna alla periferia di Tokyo. La scuola chiude i battenti, gli amici se ne partono per le vacanze, la squadra di calcio sospende l'attività e lui si trova da solo a fare i conti con la propria storia di orfano, biografia sempre più comune e diffusa. Abbandonato da un padre, forse "morto in un incidente" o probabilmente fuggito per deresponsabilizzarsi da future scelte, e da una ragazza, che scopriremo essersi rifatta una vita con famiglia regolare a carico, il ragazzino, stanco di consumare i pasti predisposti dalla nonna su un desco lindo e solitario (sembrano essere le copie di se stessi tanto sono perfetti, come è usanza esibire nelle vetrine dei ristoranti giapponesi), decide di mettersi in viaggio, munito di un solo zainetto azzurro corredato di alucce bianche, nel disperato tentativo di ritrovare la madre. Strada facendo, si unirà a lui Kikujiro (lo stesso regista Takeshi "Beat" Kitano, il cui viso da mafioso un po' suonato e ebete appare segnato da autentiche cicatrici riportate a seguito di un incidente), marito di un'amica stravagante della nonna, un angelo custode particolare, che abbandonerà ben presto il compito prefissatogli, per cercare non tanto di vegliare sulle azioni del bambino, ma di portare una ventata di allegria e vitalità in quella triste estate che si va consumando, dimostrando così una propensione alla regressione all'infanzia che non alla comune ed asfittica ambizione adulta di aiutare a crescere dando l'esempio, in positivo o in negativo.

Sulla scia di una musica dolce e forse un po' sdolcinata s'inizia la parte più interessante e divertente del film, giocata sulle corde del sentimentalismo, senza mai cadere nella melensaggine, e su siparietti onirici degni della migliore visionarietà surreale, generati dall'inconscio infantile o alimentati dalla comicità demenziale di un adulto eccentrico. Il lungo road-movie alla ricerca delle proprie radici bambine si snoda pertanto tra stupide scommesse alle corse ciclistiche, giochi spensierati improvvisati in un campeggio con l'aiuto di compagni incontrati lungo il cammino, altri outsider dall'apparenza cattiva e malintenzionata, i trucidi motociclisti "Hell's Angels", che in realtà dimostreranno di possedere un animo infantile e giocherellone (il ciccione e il pelato fanno parte della compagnia teatrale "Takeshi Guntan" con cui il regista lavora nei suoi spettacoli televisivi), sogni alimentati da tatuaggi che sembrano prendere vita su schiene umane o da reminiscenze di spettacoli del teatro giapponese.

La compagnia del Takeshi Guntan

E nel silenzio c'è il tempo per ridere, intenerirsi, farsi venire i lacrimoni agli occhi, ascoltare i campanellini di angeli azzurri portafortuna, che non hanno il potere di restituire le madri, ma solo quelli di permettere a solitudini appartenenti a generazioni diverse di incontrarsi, darsi la mano, proseguire lungo la strada del sogno, camminando facendo il verso a Charlot, un po' bighelloni, monelli e disincantati.
"Un signore ed un bambino" si presero per mano e andarono insieme incontro alla sera …
L'estate avventurosa consentirà ai due protagonisti di sentirsi accomunati nell'atteggiamento mostrato nei confronti delle perdite subite: Masao riuscirà ad intravedere la madre, intenta ad accudire amorevolmente il fratellino nato da un'unione regolare, ma preferirà scappare via, non incontrarla e fingere di credere si tratti di un'altra donna; Kikujiro avrà il tempo di concedersi una visita alla madre arteriosclerotica, ricoverata presso una casa di cura, ma anch'egli preferirà restare ad osservarla sulla soglia, senza farsi notare. Sarà questa ragione o forse una semplice stravaganza del destino, che riesce a placarsi non a caso nelle fantasie fiabesche, a fare del loro sodalizio un'avventura piacevole, magica, di certo indimenticabile in questo clima di film natalizi.
Nessuna morale della favola. Non si tratta stavolta di un viaggio iniziatico o di un racconto di formazione: ognuno resta al suo posto, il piccolo rimane piccolo, il signore un po' ebete saluta bonario, mantenendo la stessa posizione ed il medesimo atteggiamento stralunato e un po' gradasso di prima della partenza.

"Grazie, signore! Signore, ma tu come ti chiami?".
"Kikujiro, scemo!".


Buona visione

Beat Kitano con il piccolo Masao