Direzione didattica di Pavone Canavese

Il racconto di Hebe

"Le irregolari. Buenos Aires horror tour" di Massimo Carlotto,
Edizioni e/o, Roma, 1998, Capitolo diciannovesimo, pp. 129 - 134

"Sono figlia di un cappellaio e sono nata in una casa di legno, sulla riva di un fiume, dove ancora vive mia madre. Mi sono sposata molto giovane, mio marito era meccanico, io tessitrice; abbiamo avuto tre figli, due maschi e una femminuccia nata quindici anni dopo. La nostra vita era semplice ma molto felice.

Io e mio marito avevamo frequentato poco la scuola, al contrario dei nostri figli, e non li capivamo quando ci parlavano di politica. Io li aiutavo quando mi chiedevano di ospitare qualche compagno e di non dirlo a nessuno, ma lo facevo solo perché ero una mamma molto protettiva.
Sequestrarono mio figlio Jorge l'otto febbraio 1977. Il sei dicembre dello stesso anno toccò a Raùl. Il venticinque maggio del '78 scomparve Marìa Elena, la moglie di Jorge, sua sorella Marta era già sparita da un pezzo.
Entrai a far parte delle Madri dopo la desapariciòn del primo figlio. Da allora la mia vita è cambiata, io stessa sono diventata un'altra persona. Tutto quello che ho imparato, l'ho imparato lottando in piazza, insieme alle altre madri. Abbiamo condiviso la nostra maternità e io adesso mi sento madre di tutti i trentamila desaparecidos. Ho capito le ragioni dei miei figli e oggi sono fiera di essere la madre di due rivoluzionari perché io stessa sono una rivoluzionaria.
Quando hanno portato via i miei figli avevo solo quarantotto anni e mi sono sentita vecchia; oggi ne ho sessantotto ma mi sento vent'anni più giovane perché ho imparato che l'unica lotta che si perde è quella che si abbandona, e perché ho imparato a non patteggiare, a non arrendermi, a non tacere. E tutto questo me l'hanno insegnato i miei figli.
Io non li ricordo né torturati, né uccisi: li ricordo vivi!
Ogni volta che mi metto il fazzoletto sento il loro abbraccio affettuoso. In Plaza de Mayo, nella nostra piazza, ogni giovedì si riproduce il vero e unico miracolo della resurrezione: noi incontriamo i nostri figli.
Noi non vogliamo le loro ossa. I nostri figli sono desaparecidos per sempre perché la desapariciòn forzata è un crimine contro l'umanità che non va mai in prescrizione e noi vogliamo che gli assassini paghino per quello che hanno fatto.
Noi non vogliamo tombe su cui piangere, perché non c'è tomba che possa rinchiudere un rivoluzionario. I nostri figli non sono cadaveri: sono sogni, utopia, speranza … Sono quello che furono, che pensarono, che cantarono, che scrissero, che soffrirono. Non si può seppellire tutto questo!
Noi non vogliamo rivolgerci ai tribunali di questa democrazia per riavere i nipoti rapiti. Furono considerati bottino di guerra e come tale andava ripreso … un tempo. Ora sono diventati uomini e donne e, nel caso scoprano la loro vera identità, sta a loro decidere cosa fare della loro vita.
Noi non vogliamo soldi per la vita dei desaparecidos perché la vita non ha prezzo. I miei figli mi hanno insegnato che la vita vale vita. Solamente vita. E non si può riparare con denaro quello che deve essere riparato con Giustizia. […]
Io ho iniziato a lavorare per i miei figli ma oggi lotto per i desaparecidos di tutto il mondo, per i perseguitati, per chi occupa le terre, per gli operai e gli studenti. Io non voglio passare la vita a raccontare come li ammazzarono perché loro non mi hanno insegnato questo. Jorge e Raùl amavano la vita, il comunismo, l'utopia del hombre nuevo: solidale, comunitario, collettivo.
Le Madri della Linea Fundadora e le Nonne vogliono apporre delle lapidi nelle facoltà universitarie con i nomi dei desaparecidos che le frequentavano. Io ho detto che non si permettano di mettere i nomi dei miei due ragazzi: loro non sono stati sequestrati perché studiavano, ma perché erano dei rivoluzionari.
Noi non vogliamo le liste dei morti, vogliamo le liste degli assassini. Noi non dimentichiamo, né perdoniamo e non ci interessa coltivare la cultura della morte. Accettare la morte dei nostri figli significa accettare l'impunità dei responsabili dei crimini della dittatura. Non solo. Significa anche accettare come è stata riscritta la storia della dittatura dagli scrivani della democrazia, i quali hanno riproposto quella che noi chiamiamo la teoria dei due demoni. Il primo è la guerriglia di sinistra che porta con sé il peccato originale di aver imboccato la via della violenza e aver provocato l'intervento del secondo demonio: le forze armate. In questo modo, colpevolizzando tutti, mettendo sullo stesso piano vittime e assassini, si assolvono questi ultimi. È un'enorme menzogna: la scomparsa forzata di molti fu un progetto ben preciso di annientamento dell'opposizione politica e non una semplice reazione all'esistenza di formazioni armate di sinistra.
Bugie! I governanti non sanno dire che bugie. Io ogni giovedì chiamo immondizia il presidente Menem e lui in tanti anni non è riuscito a dimostrare che non lo è. Chiamo assassino il generale Balza, capo di stato maggiore dell'esercito, e anche lui non è riuscito a dimostrare che non lo è. Noi non trattiamo con nessuno. La nostra linea è chiara. Ci hanno chiamate in tutti i modi: pazze, terroriste, comuniste. Ci odiano perché abbiamo condiviso la nostra maternità, perché viviamo in modo comunitario, perché non siamo le classiche vecchiette piegate dal dolore e dalle disillusioni. E ci odiano soprattutto perché non siamo come le altre: siamo irregolari e chiediamo alla gente di disobbedire perché senza giustizia non può esserci democrazia. […]
Oggi i politici, i militari e i preti predicano la riconciliazione. Parlano di pace, amore e libertà comodamente spaparanzati tra il lusso e l'opulenza. Le loro sono solo parole vuote. Nessuno di loro parlava di pace quando uccidevano i nostri figli. In realtà quello che offrono è la pace silenziosa dei sepolcri.
Le Madri di Plaza de Mayo non accettano di vivere in questo teatrino della democrazia, dove si fa credere al popolo che il suo destino si decida alle elezioni. Le Madri non votano, nemmeno il "meno peggio". Sappiamo che la nostra voce dà fastidio ai potenti perché è la voce dei nostri figli.
Anche quest'anno molte madri sono morte. La loro vita è stata un solco seminato da ideali da cui un giorno germoglierà la speranza. Hanno salutato chi è rimasto agitando il loro fazzoletto bianco.

Mio padre era cappellaio, mia madre casalinga, mio marito meccanico e io tessitrice. La nostra era una vita semplice ma molto felice perché potevamo garantire a nostri figli una vita dignitosa e un'istruzione adeguata. Oggi mi è rimasta solo la figlia; i due maschi, Jorge e Raùl, sono con me e mi riscaldano con il loro amore quando indosso il fazzoletto. Ogni notte mi addormento cullata dai bellissimi ricordi di mamma e ogni mattina mi sveglio piena di odio per gli assassini che me li hanno portati via."

 

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