(02.02.2015)
Alle
radici del razzismo e del terrorismo: la violenza etnica e religiosa
di
Rodolfo Marchisio
Devo all’amico Riccardo Marchis con cui collaboro all’Istoreto, la segnalazione di un libro da lui curato per l’Istituto, dal titolo Le parole dell’esclusione, Laissez passer, SEB 27, 2005.
Il libro è dedicato a uno studio sul
caso istriano e sugli esodanti e rifugiati nell’Europa del secondo dopoguerra,
ma i tre saggi (di R. Marchis, M. Buttino, U. Fabietti) che lo introducono
offrono con chiarezza ed efficacia il meccanismo di identificazione,
attraverso la costruzione dell’altro, del diverso, come tale pericoloso, da
odiare e da combattere.
Abbiamo già utilizzato questo meccanismo nel
lavoro e nelle discussioni con 200 ragazzi delle 3° medie di Ivrea riguardo
sia alle dinamiche della I guerra mondiale (le etnie, i popoli
irredenti), che alle guerre ed agli avvenimenti seguenti (II guerra
mondiale, Shoah, guerra della ex Jugoslavia, sino alle guerre attuali ed al
recente problema del terrorismo).
Partendo dalla I° guerra mondiale, gli anni successivi, ormai 100, dimostrano che stiamo parlando della guerra totale, che coinvolge sempre più i civili sino a diventare dalla II guerra in poi la “guerra ai civili” (R. Marchis). Come noto la I° guerra mondiale si risolse con trattati duri e vendicativi contro i perdenti (tedeschi soprattutto) che prepareranno il desiderio di rivincita e quindi la II° guerra mondiale. Anche la proposta del Presidente USA Wilson, partita dal principio di autodeterminazione dei popoli e quindi basata sul principio: un popolo (etnia e spesso religione) + un territorio + uno Stato = una nazione troverà molti ostacoli, a partire dal fatto che tirare una riga fra popoli (i polacchi divisi sotto 3 domini) o deportare le cosiddette minoranze non sono soluzioni possibili e durature. Vedi disfacimento della ex Jugoslavia e atomizzazione dell’URRS ancora in corso.
Occorre riflettere su concetti come “etnia”, “appartenenza”, “identità”, “confini”, “cultura”.
Identificazione attraverso la separazione
Questa dinamica è peraltro curiosamente
simile a quella descritta in psicoanalisi dalla
Mahler "processo di separazione-individuazione" per la costruzione
della consapevolezza di una personalità individuale nel bambino, attraverso
l’allontanamento (dai 4 mesi ai tre anni) all’inizio gattonando, dalla mamma;
poi ripresa in età adolescenziale nella conquista dell’autonomia attraverso
l’allontanamento, spesso inizialmente polemico/conflittuale, dalla famiglia.
Da qui ci affidiamo a M. Buttino. Op cit. in La violenza etnica come
costruzione politica, pag 17 – 30.
Ricordate i barbari che per i romani erano tutti quelli che non erano romani e
quindi parlavano una lingua per loro incomprensibile?
Per un popolo la domanda potrebbe essere qual è il nostro gruppo etnico?
L’attribuzione di un’identità etnica (io sono un… tu sei un…) è più forte in
tempo di guerra e in tempo di gravi crisi (vedi la crisi del ‘29, le guerre
mondiali, la crisi attuale).
Il confine tra noi e gli altri diventa il
confine tra amico e nemico, diversamente identificato.
Le etichette etniche (confuse, ma rigide) stabiliscono confini tra noi e gli
altri e servono a togliere agli altri diritti, come si diceva, specie in
momenti di crisi.
La Shoah, paradigma della costruzione del “diverso” =
nemico, è la negazione di tutti i diritti, compreso quello di
esistere. Ricordiamo il titolo di P. Levi Se questo è un uomo e la scena
della spogliazione nelle docce di tutti gli elementi d’identità e quindi di
tutti i diritti.
Se non sono noi, sono diversi “quindi” pericolosi/nemici, ci tolgono qualcosa,
“vadano a casa loro”. E quelli che una terra non ce l’hanno – dagli ebrei, ai
palestinesi, dagli armeni ai profughi?
Questi fattori, osserva Buttino, sono più forti in caso di povertà,
mancanza di lavoro, cibo, crisi economica, guerra, perché separano chi ha
diritto di mangiare/lavorare e chi no.
L’etnia è un’invenzione nostra
(Buttino)
Come le razze. La scienza – ma anche la storia- ci insegnano che le
razze/etnie non esistono. Ho provato a chiedere ai ragazzi di tutte le
classi chi di loro avesse tutti e 4 i nonni nati a Ivrea. Nessuno nemmeno i
docenti. In teoria l’aula avrebbe dovuto svuotarsi (jus sanguinis vs Jus soli).
Io ero indeciso se rimanere a causa di un nonno dell’Italia centrale.
Ma noi come ci identifichiamo? Come
ci presenteremmo? Cosa vuol dire essere italiani?
In realtà essere una mescolanza dinamica, tuttora in corso, di popoli,
culture…
Le guerre di religione
La paura del diverso si ritrova
anche nei conflitti religiosi (religione= identificazione).
Le guerre sante: dalle Crociate, alla
Jihad a “Dio è con noi” – non solo di Hitler - all’ex Jugoslavia (diversi
popoli di tre religioni), al terrorismo, ai “martiri” islamici. Insieme alla
violenza forse peggiore.
Ricordiamo la crociata contro gli albigesi. Al rifiuto degli abitanti di Beziers
di cacciare i Catari,
si dice che il legato pontificio, alla domanda come si potesse distinguere i
Catari dai Cattolici, rispondesse: “uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”.
Per non parlare dell’Inquisizione e del suo lavoro di punizione/soppressione dei
“diversi”.
Più recentemente nell’ex-Jugoslavia abbiamo rivisto pulizia etnica,
violenze di massa (per estinguere un’etnia), spostamenti forzati, campi
di concentramento, stermini di massa.
Ogni spostamento di un popolo crea nuovi conflitti: dalla nascita
di Israele con la cacciata dei palestinesi, all’arrivo a Torino - citta
d’immigrazione da decenni – di un gruppo di Rom Bosniaci trasformati in zingari,
non senza conflitti e forzature.
Un discorso che si potrebbe riassumere in identificazione = separazione
etnica = conflitto vs condivisione di diritti e risorse, risolto con la
violenza.
Alla fine Buttino propone di eliminare dal nostro vocabolario la parola
“etnia” e diffidare anche delle parole “origini” e “identità”.
Confini identità violenza
(U.Fabietti op cit. pag 31 – 47)
Fabietti si domanda: L’identità cos’è? È una credenza non un fatto
reale…Non è sempre uguale, ha a che fare con la cultura media e con
l’etnia, cambia in continuazione.
Allora nazione = individui nati in un territorio, jus sanguinis vs ius soli?
Ma la gente viaggia, si sposa, fa esperienze e la sua identità cambia
continuamente. Come la sua cultura.
L’elenco delle etichette è un fatto di volontà politica, non un dato della
realtà sociale.
Il nome di un popolo è quello che gli
danno gli altri
Spesso il nome di un popolo è quello che gli danno gli altri e certi
popoli si definiscono solo “uomini”.
Ad es. gli Slavi (da sclavus latino perché i romani facevano razzie in quelle
terre). Anche l’origine del termine i “Gallesi” per gli Inglesi che deriva da
“ricchezza”, perché li facevano schiavi. I Tuareg sono “coloro che
camminano”: chi gli messo questo nome? Gli arabi sedentari. I Beduini,
se uno straniero glielo chiede si definiscono ana badu = io sono beduino, ma tra
loro si chiamano Ana Arab (sono un arabo).
Confine
Nazione = etnie/popoli che hanno un territorio e un governo. Ma
non sempre va così.
Identità/etnia hanno a che fare coi confini. Gli altri sono
chi non crede alle stesse cose, agli stessi dei, non parla la stessa lingua, non
mangia le stesse cose, non ha le stesse abitudini.
E’ diverso da noi.
Il modo di portare il velo può essere un confine,
perché lo si può fare, dalle nostre nonne, alle donne islamiche, al burqa in
modi diversi. Mi copro i capelli o tutto il viso? E perché? E l’identificazione
legata alla sicurezza?
Ma la gente viaggia cambia abitudini, lingua, passa i confini: se c’è un popolo che non ha origini sul territorio – a parte i pochi pellerossa rimasti e arrivati chissà da dove – sono gli USA, fatti tutti di emigranti: dai padri pellegrini, agli italiani - etichettati come “mafiosi” - agli ispano-americani, ai discendenti degli schiavi, gli afro-americani. E gli Italiani…meticci per storia millenaria?
La violenza contro gli altri:
taglio delle dita che sparano, di una mano alle donne che lavorano, delle gambe
(gli Hutu ai Tutsi, ritenuti più alti), negazione di diritti, violenza di massa
alle donne in ex-Jugoslavia, privazione della libertà, sterminio…
Queste violenze hanno sempre un motivo anche se a noi appaiono assurde,
gratuite. Come le violenze di massa, umiliazione e messaggio al nemico, “la tua
stirpe deve finire”.
Violenza e religione
Si parla dei terroristi “martiri” (si autodefiniscono shaid, mentre sono
loro che uccidono). La violenza è alla base di molte religioni
cristiani, ebrei, musulmani per primi (dal sacrificio del figlio chiesto ad
Abramo, all’”agnello di Dio” si parla sempre di antichi sacrifici umani).
Dominio e vendetta come missione divina: le vittime sono un sacrificio a dio, i
martiri, quelli che uccidono civili spesso innocenti andranno in paradiso.
Il martirio si salda con la vendetta e le vittime sono sacrificate a dio.
Ma cosa dicevano “i libri”, dal Vangelo (porgi l’altra guancia, ama il tuo
nemico…) al
Corano?
Alcune osservazioni per riflettere
· Etnia = identità = confine = violenza
· Viviamo in un mondo globalizzato e in movimento. Continua mescolanza. Il contrario della purezza della etnia e dei confini.
· Che senso ha questa divisione in un mondo globalizzato e in movimento continuo (dalla fuga dei cervelli ai barconi)?
· Di che etnia saremmo noi? Dove dovremmo andare?
· E il problema politico sempre più attuale (ma oggi accantonato, perché farebbe perdere voti): Jus sanguinis o jus soli? Da dove derivano i diritti? Ma qui dovremmo tornare a Bobbio. Vedi Incontro con Bobbio nella rubrica Ed. alla cittadinanza.
NB Tutte le frasi in corsivo indicano espressioni e concetti citati e sono da attribuire agli autori e reperibili nel volume da cui siamo partiti.
Chi fosse interessato al volume può chiedere a Istoreto.