Direzione didattica di Pavone Canavese

Counselling


(21.03.2001)

IL SOTTILE CONFINE
FRA CONSIGLIO E PARERE PROFESSIONALE
di Milly Seira

 

In uno dei precedenti articoli ho proposto alcune riflessioni sui motivi per cui, in ambito professionale, può essere opportuno difendersi dalla richiesta di consigli. Vorrei ora riprendere l'argomento perché spesso gli insegnanti sono sollecitati a rispondere a questioni sollevate dai genitori dei loro allievi. Rispondere implica però chiarire con se stessi e con gli altri cosa si può offrire concretamente.

Domande, risposte, suggerimenti

Dal punto di vista comunicativo possiamo esaminare lo scambio di consigli usando come chiave di lettura uno degli assiomi base della teoria della comunicazione, ovverosia: in ogni sequenza comunicativa esistono sia aspetti di contenuto sia quelli di relazione. Quando un genitore chiede un consiglio sarebbe auspicabile accogliere sempre la domanda perché ignorarla significherebbe inviare un messaggio di disconferma dell'altro con possibili conseguenze relazionali negative. Ma buttarsi a capofitto a fornire suggerimenti è rischioso. Prima di rispondere è utile chiarire a se stessi l'obiettivo della propria comunicazione; chiedersi, cioè, cosa vogliamo ottenere attraverso quello che stiamo per dire.

L’efficacia di ogni consiglio si gioca sulla relazione tra chi domanda e chi risponde ed è per questo che ci muoviamo su un terreno delicato. E questo consapevolezza costituisce il primo passaggio dal fornire suggerimenti dati in maniera spontanea al fare interventi di comunicazione consapevole. Tutto questo riconduce ad una riflessione sulla propria professione.

Tracciare il confine

Quando comunichiamo con un genitore può essere utile segnalare che stiamo parlando sulla base della nostra esperienza professionale e sulla base della nostra conoscenza del problema. Insomma si tratta di precisare che stiamo parlando come professionisti.

Ecco qualche domanda tipo che le madri rivolgono all'insegnante:
Lei ritiene che possa servire a mio figlio andare a ripetizione di matematica?
Lei cosa ne pensa se mandassi mio figlio all’oratorio dove fanno il doposcuola?

In questi esempi il genitore che formula la domanda è una persona con la quale il docente ha una relazione professionale chiaramente definita entro una cornice istituzionale inequivocabile. Ma sta a lui chiarirla al suo interlocutore…

Dal mio punto di vista, come insegnante….
In base alla mia esperienza professionale penso che….

E' importante differenziare quello che si dice in riferimento alla propria competenza e quello che costituisce il proprio pensiero. I due aspetti non stanno sullo stesso piano. Nei rapporti professionali abbiamo una responsabilità: mettiamo la nostra competenza, costruita con lo studio e con l’esperienza lavorativa, al servizio dell’altro. E tutto questo lo agiamo con la consapevolezza che entrano in gioco quegli aspetti relazionali di cui ho parlato. Questa precisazione è importante per non confondere i ruoli e i compiti: a scuola i genitori possono trovare uno spazio in cui gli insegnanti accolgono il singolo problema ed esprimono dei pareri professionali. Questo atteggiamento può contribuire a mutare l'idea piuttosto secondo cui la scuola crea problemi anziché risolverli…

Restituire all’altro la capacità di scelta

Il nostro intervento sarà professionale se, trattenendoci dal rispondere che cosa pensiamo che l’altro debba fare, compiamo un'azione comunicativa che rovescia i termini della questione: non ti dico cosa fare ma ti fornisco strumenti che potrai usare per decidere in maniera consapevole.

Tenendo salde le redini della comunicazione, apriamo uno spazio di ricerca comune delle risposte realisticamente applicabili dal nostro interlocutore. Non creiamo soluzioni che sono certamente valide ma forniamo informazioni affinché l'altro possa prendere, nei tempi necessari, una decisione valida per il suo problema.

Non dobbiamo dimenticare che quando forniamo informazioni o esprimiamo pareri, quello che diciamo si inserisce in uno spazio informativo che è differente dal nostro. Di questo spazio noi non conosciamo nulla o solo una piccola parte. Inserire subito come risposta quello noi che pensiamo che vada bene per l’altro, ci fa incorrere nel rischio che essa sia rifiutata in quanto troppo dissonante con quello che l’altro ha in mente.

Per fare in modo che quello che diciamo sia accolto è importante partire da un'esplorazione di ciò che l’altro ha in mente. Concretamente significa entrare cautamente nel suo spazio informativo senza dimenticare che spesso l’altro ha già pensato o discusso altre persone le possibili soluzioni. E che in tutto questo può aver già fatto i conti con gli ostacoli, le paure, le incertezze.

A volte poi la decisione è già stata presa e all’altro serve un percorso logico entro cui motivare la propria scelta.

Aprire il campo

Attraverso la formulazione di domande aperte, si può esplorare lo spazio informativo del genitore. In concreto si tratta di capire che cosa egli sa di ciò che mi chiede e che cosa ha già pensato. In un intervento di comunicazione gestito con le abilità di counselling si accoglie tutto quello che l’altro dice, si selezionano mentalmente le informazioni utili e ci si affianca nella esplorazione delle soluzioni possibili

In tal modo le difficoltà dell'altro sono esplorate con l’altro e, senza pensare di risolvergliele, possiamo restituirgliele rilette da un altro punto di vista.

Questa azione gli consentirà di aprire il proprio campo cognitivo su aspetti che prima non aveva considerato ed ottenere così gli elementi necessari per fare una scelta. Ma possiamo anche fare altro, come ad esempio: dare tempo a noi stessi per rispondere e all'altro per pensare e decidere; dare la disponibilità di verificare insieme se ciò che l'altro sceglie può funzionare; comunicare che un possibile insuccesso sarà accolto e che costituirà la base di partenza per un'eventuale nuova ricerca di soluzioni.

Tutto questo affinché sia comprensibile, deve essere espresso in termini di azioni concrete e non di obiettivi generici. Si tratta cioè, con la nostra regia comunicativa, di rendere colui che chiede il protagonista di un processo di ricerca.

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