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(10.12.2006)
Da Direttori a Dirigenti: ma le competenze dove stanno?
Riallacciandomi al precedente articolo sulla precarizzazione della funzione dirigente, vorrei fare alcune riflessioni sulla modifica del ruolo dei capi di Istituto a partire dall'articolo 21 della legge 59/97 (legge sull'Autonomia Scolastica) e dal D.Lvo n° 59/98 che ha istituito il ruolo unico dirigenziale abolendo la figura del Direttore didattico unitamente a quella del Preside. Si pensò che questo provvedimento fosse doveroso e opportuno poiché alle scuole venivano delegate una serie di competenze autonome sul piano didattico e organizzativo, tali da richiedere uno stile manageriale e gestionale "diverso", improntato ai criteri dell'efficienza e della funzionalità.
La stagione dell'Autonomia avrebbe poi dovuto trovare il naturale approdo in un impianto riformatore organico, tale da consentire alle scuole di rispondere alle sfide della globalizzazione e della società complessa in maniera adeguata, facendo propri gli standard di Lisbona.
Constato invece che, a distanza di quasi due lustri, le cose stanno "apertis verbis" in questo modo:
1. l'Autonomia scolastica è un simulacro vuoto, priva com'è di finanziamenti economici mentre sul versante organizzativo-didattico vi è un'impossibilità reale di fare scelte che incidono sulla qualità del processo di insegnamento-apprendimento, stante una serie di lacci e vincoli i quali soffocano ogni velleità innovativa (rigidità delle cattedre e degli orari, regolamento assurdo sul conferimento delle supplenze, contratti di Istituto centrati esclusivamente sui diritti dei lavoratori, eccetera);
2. gli ambiziosi progetti di Riforma strutturale del sistema formativo italiano (Berlinguer prima e Moratti poi) sono desolatamente affogati in un mare di proteste, contraddizioni, giustapposizioni e contrasti, lasciando le scuole in mezzo al guado e, fuor di metafora, in un clima persistente di incertezza e di confusione.
Sul piano ordinamentale, di fatto, i cambiamenti non hanno modificato la situazione della scuola di base (tranne l'istituzione dei cosiddetti Istituti comprensivi, peraltro nati per una serie di motivi di tipo pratico, organizzativo e numerico in relazione ai parametri dell'Autonomia, ma non certamente per ragioni pedagogiche), anzi l'hanno aggravata con una serie di incombenze "improprie", dalla sicurezza alla privacy.
In questa prospettiva, aver trasformato gli ex Direttori didattici e gli ex Presidi tutti in Dirigenti scolastici della scuola di base, ha prodotto effetti devastanti collegati al contemporaneo blocco dei concorsi e alla proliferazione degli Incarichi di presidenza indifferenziati. In tal modo sono stati chiamati a dirigere circoli didattici docenti laureati in Lettere classiche, in Architettura o all'ISEF e dietro la definizione "Dirigenti scolastici" sono state celate confusioni, approssimazioni e soprattutto mancanza di conoscenze tecniche e organizzative.
La dimensione qualitativa dell'ex Direttore didattico e in qualche modo dell'ex Preside - ossia la sinergia tra l'esperienza professionale sul campo e la preparazione tecnica – sono state in questi anni semplicemente dimenticate.
In nome di una norma ancora poco incidente come quella dell'Autonomia e di Riforme mai concretamente attuate, si è snaturato il ruolo peculiare del Capo di Istituto della scuola elementare e materna non considerando a sufficienza che chi è chiamato a svolgere questa delicata funzione deve avere, oltre alle conoscenze specifiche, quella "memoria storica" tale da interpretare i nuovi bisogni educativi alla luce della grande stagione innovativa che ha investito la scuola primaria e la scuola dell'infanzia negli anni novanta.