Il PSTD ? un fallimento, parola del Censis (10.12.1998)
"La scuola italiana cambia volto. Personal computer,
postazioni multimediali, reti intranet, connessioni telematiche, linee di trasmissione
dati veloci, si diffondono in ogni ordine e grado scolastico, conquistano spazi, creano
nuovi ambienti.
La trasformazione dellambiente scolastico e del modo di fare didattica non appare
però frutto di una programmazione organizzata, quanto piuttosto di un processo spontaneo,
sul cui sviluppo pesa soprattutto un deficit di investimenti sia sul piano delle dotazioni
tecnologiche che su quello della formazione delle risorse umane".
Con queste parole il Censis, nel suo ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese,
"liquida" una dei "fiori dell'occhiello" dell'attuale governo
della scuola. E non è un caso che il capitolo dedicato al problema sia intitolato "Il
volontarismo tecnologico degli insegnanti"
Ma Roberto Maragliano non è per nulla d'accordo. Ecco la sua replica ai
"signorini" del Censis
"Non condivido il giudizio degli
estensori del Rapporto Censis sui modi della diffusione dei computer e dei sistemi
di rete nella scuola italiana.
Mi piacerebbe sapere su che tipo di dati poggiano le loro considerazioni: dove
starebbe infatti il "deficit di investimenti" ? forse che mille
miliardi (con questi chiari di luna) sono troppo pochi? e poi, in quali e quanti
problemi si incapperebbe, se si volesse dare un'impianto di "programmazione
organizzata" a questa fase di allocazione delle risorse nelle scuola? Insomma,
par di capire che i signori (o signorini) del Censis, fino a ieri teorizzatori dei
processi molecolari, e quindi della vitalità dei processi locali, adesso che è
tempo di autonomia e quindi di responsabilizzazione delle singole scuole, ripiegano
drasticamente e si mettono a rimpiangere il centralismo. Valli a capire !
Personalmente, sono contento che il Ministero abbia ridimensionato il suo impegno
sulle grandi sperimentazioni centralistiche, che spesso mettevano in gioco ben altri
problemi che non quelli dell'innovazione didattica e culturale. Del resto i
dati pubblici sull'andamento del Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche
sembrerebbero sfatare i pessimisti.
Se a tutt'oggi metà delle scuole italiane sono collegate in Internet, ciò
significa che la risposta degli insegnanti muove da esigenze ben piu profonde di
quelle etichettabili come "volontarismo tecnologico".
E se anche ci fosse solo questo, che ci sarebbe di male? anzi, perchè non trovare
il modo per sviluppare questo volontarismo anche negli editori, nei fornitori di
servizi, negli allievi, nei docenti? e pure negli autorevoli centri di ricerca?
Roberto Maragliano
"Censis",
"Censimenti", "Censure"
di Marco Guastavigna (15.12.98)
Nemmeno a me piace il drastico e ingeneroso giudizio del Censis sull'inserimento
delle tecnologie di comunicazione nella Scuola italiana. Non solo perché condivido l'osservazione in proposito di Roberto Maragliano
pubblicata sul sito, ma soprattutto perché non mi ha mai convinto l'impostazione che il
Nucleo Operativo del Ministero della Pubblica Istruzione ha dato nei fatti - al di là
cioè degli intendimenti politico-culturali enunciati nei primi documenti - al Programma
di Sviluppo delle Tecnologie didattiche, e quindi l'idea di iniziative "locali"
e "diverse" mi solleva e mi fa sperare che possano essere in atto sviluppi
del progetto diversi da quello preconizzato centralmente.
Il "Rapporto sul monitoraggio dell'anno scolastico 1997/98" - una forma di censimento, di categorizzazione e di valutazione delle risorse acquisite dalla Scuola italiana nel primo periodo di attuazione del PSTD - rivela infatti sia nella puntata di aprile sia in quella di settembre 1998 l'ingenua convinzione che la presenza e la diffusione della tecnologia siano in sé in grado di determinare univoci modelli organizzativi e formativi (nota 1) .
Mi riferisco all'ampio spazio dedicato ai dati meramente quantitativi e alla grande rilevanza attribuita ai dispositivi e alle attrezzature, a cui si affiancano pochi e discutibili elementi qualitativi, a proposito dei percorsi di formazione e dell'impiego didattico degli strumenti.
Commenterò ora qualche stralcio del rapporto.
a) Il "laboratorio tipo medio presente negli istituti a seguito del Programma" è descritto in termini di pura componentistica (quanti PC, quante stampanti, quanti pacchetti di software, e così via), senza alcuna attenzione a quale contesto formativo e relazionale (in) esso (si) costituisca.
b) Viene ripetutamente utilizzato senza definirlo né articolarlo il concetto di "didattica multimediale", che viene ridotta così a "didattica attuata con dispositivi multimediali", senza alcuna declinazione di quali cambiamenti / vantaggi/ problemi essa possa indurre nel rapporto formativo.
c) Le "attività nelle quali gli studenti sono stati impegnati" sono le seguenti:
- Uso word processor
- Redazione e stampa di giornale scolastico
- Costruzioni di ipertesti e ipermedia
- Sostegno e recupero con software specifico
- Uso di software didattico
- Costruzione database e raccolta di dati strutturati
- Ricerca ed elaborazione dati da database
- Simulazioni di laboratorio
- Collegamenti con altre classi o con altri docenti
- Ricerca materiali in Internet o in altre stazioni remote
- Uso della posta elettronica
- Uso di Cd Multimediali
- Gestione della biblio/mediateca
- Manipolazione e gestione suoni
- Manipolazione e gestione immagini.
Si tratta di una griglia di classificazione che mescola riferimenti a
strumenti, privi di qualsivoglia definizione del contesto e dei criteri d'uso, a momenti
di produzione e a altre attività descritte in modo molto generico. E' insomma un elenco
di informazioni poco sistematiche, senza alcun vero significato pedagogico e
formativo.
d) Nel paragrafo successivo alla Tabella da cui ho espunto l'elenco precedente, gli estensori del Rapporto appaiono in qualche modo dapprima dispiaciuti del fatto che "i dati percentuali di alcune attività più tipicamente informatiche, come la costruzione di database e raccolta di dati strutturati, la ricerca ed elaborazione dati da database e le simulazioni di laboratorio, risultano complessivamente bassi perché calcolati su tutti gli ordini di scuola del territorio nazionale" e successivamente rinfrancati dal poter affermare che: "Se disaggreghiamo i valori sui diversi ordini di istruzione, questi risultano più alti negli Istituti Tecnici e Professionali, dove queste attività sono attinenti ai percorsi curricolari e ai profili professionali". Si tratta non solo di un'osservazione abbastanza ovvia e quindi gratuita, ma anche e soprattutto della testimonianza di un "pregiudizio informatico", fortemente riduzittivo delle potenzialità e della trasversalità dell'ingresso delle tecnologie di comunicazione nei processi formativi e nelle relazioni educative.
e) Il modello formativo proposto agli insegnanti (Prima alfabetizzazione,
Aspetti tecnici della multimedialità, Applicazioni multimediali, Uso didattico della
multimedialità) è del tutto conseguente all'impostazione "tecnocentrica" di
insieme e pertanto riduce l'alfabetizzazione tecnologica a tirocinio di gestione e di
manovra, fondato su competenze tecniche "pure", su presunte abilità in
sé fondanti e fondate sulla struttura della macchina.
Per un diverso concetto di alfabetizzazione rimando al mio scritto "Familiarizzazione? Indubbiamente. Ma
quale?", pubblicato a settembre 1998 sul sito di
Pavonerisorse e a "Modelli di competenze nelle
tecnologie di comunicazione" (Insegnare, 10/97).
Per una
psicopedagogia ancora più esigente
di Rodolfo Marchisio (Trofarello
-TO) 18.12.98
E vero che esistono 2 atteggiamenti, 2 antropologie nel
rapporto con le moderne tecnologie: quella giovanile, portata allimmersione,
allesperienza e quella adulta portata allastrazione ed alla riflessione.
Nella formazione devono essere complementari, perché senza immersione e uso non cè
esperienza.
Ma senza astrazione e riflessione non cè consapevolezza e si perde il senso
dellesperienza fatta.
Quindi nella formazione (anche di adulti ed anche a distanza) devono convivere un
atteggiamento bambino ed un atteggiamento adulto. Se il bambino è "naturaliter
multimediale" non è però vero che abbia già capito tutto. Altrimenti basterebbe
attendere l'estinguersi delle generazioni precedenti.
Il
rapporto con le NTC è prima di tutto un rapporto emotivo e questo è più evidente negli
adulti, con le loro ansie, i loro bisogni di controllare la situazione, prima di mettersi
in gioco nellesperienza. De Kerchove parla di psicotecnologie. lei definisce
le TC come uno specchio dell io. P. Levy le considera uninterfaccia
fra un uomo e se stesso.
Ma anche lapprendimento è prima di tutto un fatto emotivo, di accettazione.
Definirei lapprendimento come unesperienza anche emotiva, che avviene in un
rapporto (per noi significativo e soddisfacente) con una persona, un ambiente, un oggetto.
Noi apprendiamo quando esista:
Il ruolo del
docente e del formatore è dunque un ruolo:
Occorre allora convincere e motivare gli apocalittici e far riflettere gli
integrati.
La
formazione è infatti una formazione di rete, poligonale. Se non ha senso proporre di
abolire le scuole, la parte interessante del concetto di iperscuola (Calvani) sta
nella consapevolazza che la formazione sia già decentrata in molti luoghi che
interagiscono e devono collaborare fra loro.
Lintelligenza diventa collettiva (P. Levy, Antropologia del cyberspazio),
lapprendimento e la formazione diventano collaborativi.
La novità della formazione attraverso le moderne tecnologie sta nellamplificare
quello che esisteva già prima: una intelligenza distribuita e cooperativa. La
produzione e la riflessione non stanno solo nella nostra testa, ma anche nelle persone,
negli ambienti, nelle tecnologie intorno a noi, che interagiscono con noi producendo
esperienza e riflessione.
La rete formativa è infatti una rete di tecnologie, ambienti, ma soprattutto persone. La novità della nuova società che si profila non mi sembra stia molto in una società della informazione o in una società della comunicazione. Ma in una nuova società della relazione, in cui i rapporti, anche quelli di collaborazione, lavoro, formazione si moltiplicano diventando asincroni. Se collegare, connettere significa soprattutto dare un senso alle cose (ce l'ha insegnato lo strutturalismo prima di P. Levy), la rete è soprattutto una rete di rapporti significativi fra persone. Ed una rete di rapporti significativi, soddisfacenti, funzionali fra Enti.
In conclusione. E' allora un po' tramontata l'epoca degli entusiasmi, delle facili dicotomie o delle guerre di religione (gli insegnanti del libro e quelli del computer). Si tratta di costruire questa rete partendo sia dall'alto che dal basso. Di scoprire e costruire i rapporti, le somiglianze, le rotture fra vecchie e moderne tecnologie, fra vecchia e nuova cultura (come sostiene in Esseri multimediali). Sapendo che ci sono salti epistemologici, ma anche che oltre la rottura si scopre sempre una continuità. Che le cose sono sempre complesse (la semplicità non esiste se non come prodotto della complessità) e che quindi non bastano i pochi concetti di cui tutti ci siamo innamorati (ipertesto, rete ecc) per comprendere realtà complicate come la scuola (iperscuola), la società (struttura di strutture?), la personalità (io ipertestuale).
In una fase adulta del progetto PSTD è ora di coniugare l'innamoramento con la riflessione e con la costruzione di un rapporto (personale, culturale, sociale) soddisfacente e funzionale con tutte le tecnologie di cui disponiamo.
Non entro nella discussione sullo stato di attuazione del progetto, che considero corretto nell'impostazione, con "buchi" nella rete a livello di attuazione, legati soprattutto a problemi di elaborazione intermedia e di rapporti funzionali fra Enti. Di questo comunque ho scritto in alcuni interventi nel sito
www.srd.it/lynx , in particolare nella rubrica di dialogo formativo "Punta e clicca", che curo, col collega Albertini, su invito di Stefano Penge.Uno dei vantaggi della rete è di non doversi ripetere.
Rodolfo Marchisio