Forse il direttore Palermo è stato ingeneroso, quando, come sembra,
si dimostra
'deluso' dal fatto che le famiglie, di fronte al
"sabotaggio Gelmini" (finiamola di chiamarla riforma) abbiano
scelto la strada più facile: quella della fuga verso le scuole
paritarie. Bisogna capirle, queste famiglie. Proteste di piazza? Ci sono
state, ancora ce ne sono, altre ce ne saranno. Ma tutte hanno urtato ed
urteranno contro una filosofia di governo arrogante e proterva quale mai
si era vista in Italia dal dopoguerra, una politica che viscidamente
invita al dialogo ed alla collaborazione ma in realtà ha come sua unica
ispirazione il più volgare "Qui comando io: se volete è così, se non
volete è così lo stesso". Cosa avrebbero dovuto fare queste
famiglie, evidentemente non certo indifferenti - punto 2 - bensì
angosciate di fronte al futuro dei loro figli, se non cercare una
soluzione purchessia, del resto l'unica che rimanesse loro? Rimangono
fuori da questa via di fuga - si dirà - quelli che le paritarie non se
le possono permettere: certo, ma questo non è casuale, e tale
considerazione ci porta al punto tre, ed alla considerazione finale del
direttore, questa volta forse troppo 'ingenua'.
Questo non è avvenuto per "calcolo delle probabilità", ma per
'geometrico' (come si diceva una volta) calcolo politico. Lo avevamo già
scritto qualche settimana fa proprio qui. Lo scopo del "sabotaggio
Gelmini" è appunto questo: distruggere la scuola di tutti per favorire
quella di pochi. Il tornaconto? Ce ne sono di vari livelli. In terzo
luogo, il brutale guadagno: quanti piccoli 'imprenditori
dell'istruzione' staranno in questi mesi accendendo ceri al Governo? In
secondo luogo, una dequalificazione generalizzata dell'istituto scuola.
E' chiaro infatti che nessuno pagherà per vedersi poi bocciare il
figlio: e dunque la scuola paritaria sarà ancor più quel che è sempre
stata, un diplomificio on demand, con tutto quel che ne consegue in
termini di considerazione e rispetto dello studio e del sapere da parte,
in primis, degli stessi studenti.
Ma, in primo luogo, è ovvio che gli standard
educazionali, la 'filosofia pedagogica' delle scuole paritarie non potrà
essere, "per la contraddizion che nol consente", la stessa della scuola
pubblica, di Stato, 'democratica'. Saranno ben altre, anche se
sottilmente ed artatamente, la cultura e la visione del mondo che
verranno trasmesse, e il cerchio si chiuderà, avendo conseguito gli
obiettivi prefissati.
Rimane da vedere cosa faremo noi operatori della scuola.
Anche per noi, almeno per quelli di noi che hanno una certa età, è
possibile fuggire, con la pensione.
'Vili', ci dirà qualcuno, ma provate a capire anche noi:
cosa possiamo fare, quando ci tolgono tutto: anche i colleghi con cui
fraternamente abbiamo condiviso anni di lavoro e di intelligenza, anche
i bambini dai banchi, anche il tempo per insegnare? Possiamo comunque
provare a 'resistere', se ne avremo la forza. C'è un proverbio siciliano
che ho sempre amato molto, e che in decenni di scuola - durante i quali
ho pensato spesso che doveva essere una maledizione biblica a portarci
quasi sempre un Ministro della P.I. peggiore del precedente - è stato la
mia divisa professionale. Dice, traducendo da quel musicale dialetto:
"Chinati canna ché passa il vento". Ad esso ho sempre cercato di
attenermi, formalmente sempre ligio agli adempimenti burocratici, ma
nella sostanza fedele all'unico imperativo che mi abbia mai guidato
nella mia professione: il rispetto profondo per i bambini e l'amore
altrettanto profondo per il sapere. Ci riusciremo anche adesso? Il vento
è bufera, questa volta, e dovremo chinarla di parecchio, la schiena. Per
valerne la pena, vale, ma bisogna vedere se ne avremo la forza, o se ci
spezzeranno. Auguri a tutti noi.