09.11.2008
Dopo il 30 ottobre, che fare ?
di Michele Corsi
L'assemblea delle scuole del milanese e
contemporaneamente il coordinamento di Roma e provincia "non rubateci il
futuro" hanno deliberato una manifestazione nelle rispettive città per il 29
novembre, un sabato pomeriggio. Altre città hanno già realizzato tra
settembre e inizio di ottobre le loro manifestazioni cittadine autonome
(Genova, Bologna, Venezia, Torino, Firenze, ecc.) che hanno visto la
partecipazione di massa di docenti e genitori. Roma e Milano non l'hanno
sino ad ora organizzata perché impegnate nella gestione e nella
partecipazione alle enormi manifestazioni del 17 e del 30 che le hanno
attraversate e che erano a prevalente composizione docente-studentesca
(ovviamente, visto che si svolgevano di mattina). Quindi per queste due
città si tratta di una "novità" ed anche di una scommessa: in occasione di
movimenti grandi come quello antimoratti, Milano e Roma se ne erano andate
un po' per conto proprio, ora fanno una cosa insieme. Questa, già di per sé,
è un fatto importante, che dovrebbe preoccupare la controparte. Come Milano
e Roma, chiediamo anche alle altre città di fare un "bis" per trasformare
questa giornata in un appuntamento nazionale, seppur gestito localmente.
Spero che anche i sindacati (tutti) vi aderiscano e la sostengano: sarebbe
un segnale molto importante. Cerchiamo di vedere le ragioni e le scommesse
implicite di questo appuntamento.
Le ultime mosse del governo, quello del "decretino" sull'università e quello
sulla "razionalizzazione" della rete scolastica, che in pratica rimandano,
limitatamente a questi ambiti, i tagli di un anno, sono evidentemente parte
di un disegno teso a dividere ed ammorbidire il movimento. Ammansendo un po'
l'università, rassicurando un po' i piccoli comuni, il governo spera di
scongiurare una congiunzione dei movimenti di protesta che a tratti s'è
vista in alcune piazze, ma che ancora non è, purtroppo, coordinata in un
piano di resistenza preciso, condiviso, esteso. Però. Quelle stesse mosse
dimostrano chiaramente l'inquietudine che regna in campo avversario. Il
disegno governativo era di andare avanti "a prescindere", come rulli
compressori, stordendoci con la rapidità dei loro provvedimenti, prima che
potessimo organizzarci. Ma la reazione è stata per forza e velocità, pari
alla violenza del colpo che intendevano assestarci. E' merito di un popolo
della scuola e dell'università non organizzato ma diffuso, radicale nei suoi
obiettivi, determinato. Il campo avversario è rimasto sorpreso da questa
reazione, cominciano a serpeggiare al suo interno i primi dubbi
sull'opportunità di tale attacco, sui suoi tempi e i suoi modi. Sono segnali
che devono spingerci ad essere coscienti della nostra forza. Non siamo di
fronte a un muro invalicabile: possono cedere e, se continuiamo così,
cederanno. Perché siamo milioni e solo la sfiducia nellle nostre possibilità
può farci perdere.
Dopo l'approvazione del decreto 137, ora legge 169, nel movimento non
serpeggiano disillusione e scoramento, ma domande. Come si va avanti? Le
nostre parole d'ordine sono quelle giuste? Come si fa a vincere? E così
cominciano le prime divaricazioni, non drammatiche, non paralizzanti, anche
sane e opportune poiché nessuno ha la verità in tasca. Ma che, nel caso si
cristallizzino, rischiano di dividere e rallentare.
Vi è ad esempio chi dice che forse occorrerebbe "ora che il decreto è
passato", ridimensionare gli obiettivi per renderli più "realistici",
ottenendo ad esempio una sorta di tregua o un decretino anche per la scuola.
E' una illusione, credo. Il campo avversario non è spinto al compromesso dal
vederci più "ragionevoli". Non possiamo trasformarci da movimento in una
sorta di sindacato che contratta sul salario e alla fine "chiude" su una via
di mezzo. Non possiamo permettercelo, perché ad ogni nostra proposta di
compromesso sui tagli corriponde l'autoamputazione di una fetta di
movimento. Il compromesso infatti non potrebbe che reggersi sul "sacrificio"
di un pezzo di scuola (le elementari? le superiori? accettiamo l'aumento del
numero di allievi per classe in cambio del permanere dello stesso tempo
scuola?). Un secondo dopo saremmo divisi e arrabbiati tra noi ancor prima
che contro il governo. Naturalmente nel corso di questa lotta otterremo dei
risultati parziali, ed ognuno di questi risultati dovrà essere valorizzato e
rivendicato come frutto dell'impegno e della mobilitazione, ma ciò in nessun
modo dovrà spingerci a fermarci. Dobbiamo fermarci solo quando ogni taglio
sarà scongiurato.
Vi è qualcun altro che dice: non riusciremo a fare più nulla se non
coinvolgeremo l'insieme dei lavoratori. E' una posizione abbastanza
disarmante per il movimento. Metterebbe tutte le migliaia di attivisti dei
comitati, docenti e genitori, in una posizione di attesa salvifica nei
confronti delle direzioni sindacali. Tutti in attesa della proclamazione
dello sciopero generale. E cesserebbe di colpo tutto quell'attivismo di base
che sino ad ora ci ha caratterizzato e che ha grandemente preoccupato
l'avversario. Certo, se le direzioni sindacali maggioritarie avessero un
minimo di senso pratico di sopravvivenza avrebbero già da tempo "usato" la
scuola come leva per fermare il governo in generale, come accadde a suo
tempo con l'art.18. Se imboccheranno questa strada: ottimo. Spingiamo pure
perché accada. Ma, realisticamente, se anche uno sciopero generale ci sarà,
la scuola sarà solo uno dei suoi temi. Il che va già benissimo, ma davvero
mi è difficile pensare che questa inclusione tematica possa essere
risolutiva per gli obiettivi che vogliamo raggiungere. Non è un governo in
grado di impensierirsi troppo per uno sciopero generale di chi immagina che
comunque gli è già contro. A meno che non sia una tappa di un processo più
largo. Se ci sarà uno sciopero generale "vero" sarà importantissimo
attraversare quell'appuntamento coi colori e le rivendicazioni della scuola,
come abbiamo già fatto e come sappiamo fare. Ma vorrei anche che coloro che
tra noi parlano di "classe lavoratrice" come se fosse cosa separata dal
movimento della scuola, si rendessero conto che quando diciamo "genitori",
stiamo parlando, grosso modo, della stessa cosa. Quello che sta sfuggendo a
molti è che il terreno della scuola sta divenendo il terreno di
ricomposizione di settori sociali che anni di frammentazioni,
ristrutturazioni e precariato hanno devastato. E dire "formiamo comitati
genitori" forse non corrisponde precisamente a slogan tipo "uniamo la classe
lavoratrice", ma tanto distanti non si va, perché di genitori impegnati nei
comitati e che per mestiere fanno i banchieri o gli industriali non ne ho
conosciuti molti.
Vi è chi riserva molta fiducia nel "risveglio" dell'opposizione politica. Io
non ne ho tanta, anche se capisco che è importante mantenere anche i partiti
sotto pressione. Quel po' che i partiti d'"opposizione" hanno espresso, lo
hanno fatto solo sull'onda delle nostre manifestazioni. Appena ce ne stiamo
un po' fermi, tornano come prima. Mi sembra sintomatico quel che è accaduto
con Camilleri. Questo grande scrittore, uno dei pochi artisti a sfuggire
alla tradizione italica di viltà degli intellettuali, ha espresso sulla
Gelmini un pensiero che ha attraversato la mente di tanti: lei, la Gelmini,
è umana? Chi di noi non ha nutrito seri e silenziosi dubbi a tal proposito?
Potrebbe essere un cyborg, con un registratore al posto della gola, raggi
laser al posto degli occhi e un bancomat al posto del cervello. Nello stesso
identico giorno Cossiga è uscito con un'altra intervista in cui chiedeva a
gran voce alla polizia un morto per mettere fine al movimento della scuola.
Affermazioni di una gravità esorbitante. Eppure chi hanno condannato,
indignatissimi, i nostri capi delle opposizioni parlamentari e non? Cossiga
e la sua arroganza? Ma nooo: Camilleri! Sono terrorizzati (ancora!) di
essere additati dai media del Cavaliere (quelli!), ansiosi di essere
considerati (da lui!) moderati ed affidabili. Poveretti, verrebbe da dire,
se col loro comportamento non rendessero poveretti anche noi.
Vi è qualcun altro che dice. I tagli colpiscono in realtà anche gli enti
locali, spingiamoli a prendere posizione, che facciano ricorso, che
blocchino l'attuazione della legge. Ma, anche qui: regioni e comuni hanno
limiti istituzionali oltre i quali ben difficilmente possono andare, ammesso
e non concesso che abbiano tale determinazione. E' un terreno
importantissimo, e sarebbe davvero poco saggio se il movimento non
esercitasse ogni genere di pressione sugli enti locali. Ma, di nuovo, questi
enti non faranno un solo passo avanti in più se verificheranno che il
movimento nelle sue autonome espressioni è sparito di torno. Dobbiamo avere
chiaro che le mosse che le regioni stanno operando, e che sono estremamente
utili alla nostra resistenza, sono state fatte non tanto per ragioni
economiche, quanto per la resistenza diffusissima contro i tagli e di cui
gli enti locali, più vicini al territorio di quanto lo sia il parlamento,
hanno pieno sentore. Se non continuiamo a muoverci autonomamente, anche gli
enti locali si fermeranno.
Vi è qualcun altro che dice. Beh, le grandi manifestazioni le abbiamo fatte,
ora facciamo la resistenza scuola per scuola, approfittando delle
preiscrizioni, ecc. Si tratta di forme importanti di lotta in grado di
vedere i comitati protagonisti di azioni importanti, che sommate tra loro e
coordinate possono in effetti esercitare una pressione molto forte e
diffusa. E' anche importante che nei collegi non ci siano atteggiamenti di
resa del tipo: ora che la legge è passata... Non vi è nulla che obbliga, per
ora, i collegi ad anticipare la riforma o a "ragionare" su come "gestire" i
tagli. E' bene fare campagna su questo prima che prenda piede un malinteso
realismo. Ma. Per ogni cavillo che possiamo trovare, il governo sarà in
grado di trovarvi rimedio, perché gli strumenti legislativi e regolamentari
ce li hanno in mano loro. Possiamo fare quelle cose solo se non le viviamo
come "furbate" che possono "fregare" l'avversario, ma come momenti pubblici
di lotta e resistenza. Ma perché questo sia chiaro al governo, occorre che
quei momenti siano accompagnati da altri più visibili che continuino a
mantenere il movimento sul palcoscenico della scena pubblica.
Per riassumere, il movimento dovrebbe essere in grado di tenere tutti questi
piani insieme. Non ve n'è uno più importante o decisivo dell'altro. Dobbiamo
esercitare pressione sui sindacati, sui partiti, sugli enti locali, su ogni
istituzione scolastica... Ma il filo che li lega e li rende utili è
l'esistenza di un movimento autonomo che accresce il suo radicamento e la
sua estensione. Occorre che medie e superiori, docenti e ata, entrino in
campo, che il Meridione entri in campo, occorre che si colga l'occasione
della preparazione del 29 per consolidare quel che già c'è a livello di
radicamento dei comitati migliorando il nostro sistema di comunicazione e di
organizzazione. Occorre fare un salto qualitativo nel coordinamento delle
nostre azioni. Non possiamo più permetterci ad esempio di disperdere le
energie in una miriade di iniziative locali: è stata la nostra ricchezza,
ora che la pressione deve aumentare perché l'avversario traballa, può
costituire un limite. Il 29 può essere la data che segna l'avvio, non in una
qualche assemblea, ma nella piazza, di un'azione coordinata a livello
nazionale del nostro movimento. Il che non esclude le iniziative locali,
che, a quel punto, potrebbero essere costruite in vista di quello sbocco. Se
quel giorno tutte le città d'Italia ognuna col suo striscione dimostrasse
che il popolo della scuola non si ferma, daremmo impulso anche a tutti
quegli ambiti (sindacali, politici, istituzionali...) che sono attivi solo
se noi continuiamo ad essere attivi. Il che è fondamentale nel momento in
cui la finanziaria coi tagli alla scuola s'avvicina e i regolamenti
attuativi stanno per uscire.
Il decreto è passato: vero. Ma da qui alla sua applicazione ce ne corre. Per
quanto riguarda la 169, non è certo la prima volta che una legge che
stabilisce tagli (o investimenti) viene disattesa perché non escono i
regolamenti attuativi, e addirittura anche dopo l'uscita di questi ultimi
non mancano i casi in cui si è lasciato correre per opportunità politica. E
in questo senso, dopo l'approvazione della legge, non cambia molto. Perché
vinceremo solo se sul territorio riusciremo a sviluppare una tale resistenza
da rendere politicamente troppo oneroso, per il governo, continuare a
sostenere i tagli alla scuola pubblica.