23.01.2008
DA
D’ONOFRIO A FIORONI (quasi un anagramma!)
Quando
l’esperienza non serve
di Pasquale D'Avolio
Nel mentre le Scuole superiori si accingono a partire per la prossima “avventura” (ma la revisione del POF si è conclusa nei tempi?) e qualcuna è già partita, a me fortunato, in questo caso, spettatore e non più “attore” come 13 anni fa, la possibilità di una piccola ricostruzione storica e qualche osservazione (non oso chiamare suggerimenti) per una nuova e migliore “ripartenza”, con un avvertimento che è poi la chiusa di questo intervento: a quando un discorso serio sul “pregresso”, vale a dire sugli anni che precederono la grande “ecatombe” sia di debiti che di bocciature? .
UN PO’ DI STORIA
Correva l’anno 1994 …….
Per chi
non lo ricorda fu l’allora Ministro D’Onofrio del governo Berlusconi ad
emettere nell’estate del 1994 un D.L. sull’abolizione degli esami di
riparazione. Già allora il dibattito fu acceso e la sinistra, spiazzata da
un ministro di centro-destra per un decreto che sul piano almeno del
principio faceva parte del suo programma, dopo averne criticato il carattere
di improvvisazione, cercò di applicarlo una volta tornata al governo con
Lombardi prima e Berlinguer dopo, senza mutarne le caratteristiche di fondo.
All’epoca uscì un libricino, al quale concorse modestamente anche il
sottoscritto (con Barbieri, Rembado ed altri) in cui si mettevano in
evidenza i rischi e le difficoltà alle quali si sarebbe potuti andare
incontro se tutta la questione non fosse stata inquadrata all’interno della
problematica più ampia del rinnovamento della Scuola. Il titolo del
libricino (ora pressoché introvabile) infatti era proprio “La Scuola si
rinnova?” della casa editrice Philos, che sono andato a rileggermi in questi
giorni e che ho trovato di stringente attualità. (vedi allegato)
Sia nel mio che in quasi tutti gli interventi, al di là delle critiche e
delle riserve, concordavamo sul fatto che comunque l’abolizione degli esami
di riparazione, seppure “improvvisata”, fosse una “provocazione” positiva,
in quanto poteva (anzi doveva) costituire un’importante occasione per
discutere in modo approfondito del problema dell’insuccesso scolastico, che
è il problema cruciale della qualità della scuola di massa, quello in cui
falliscono tutti i sistemi scolastici dei paesi avanzati. Nei primi anni il
MPI promosse, come fa sempre, un monitoraggio delle migliori esperienze di
“didattica innovativa” al fine di socializzare le migliori pratiche.
Personalmente mi ero costruito un piccolo “archivio” di cui, dopo anni di
passaggio alla scuola di base, mi sono disfatto proprio in questa primavera.
Ma in qualche luogo al Ministero le avranno conservate? O no?
Poi, come sempre succede, l’argomento fu abbandonato. Le Scuole continuarono
a ricevere i fondi sulla L. 440, i corsi, che prima erano stati combattuti
perché “ingestibili”, si fecero comunque; poi venne il malaugurato accordo
OOSS/MPI di destinare i “risparmi”sui corsi non fatti al Fondo di istituto e
tutti si acconciarono alla situazione..
13 anni dopo: il D.M. 80 di Fioroni:
Superata la fase delle critiche e proteste a seguito della emanazione del D.M. 80 e della successiva O.M. 92 sul “ritorno agli esami di riparazione”, come furono interpretati non del tutto a torto, da parte non solo degli studenti, ma anche di molti docenti, l’attenzione si è spostata principalmente sulle procedure, sugli aspetti organizzativi e sugli aspetti finanziari (se 300 mila Euro circa vi sembran pochi!!!!!) Non che questi ultimi non siano importanti, in particolare quelli “organizzativi” per i riflessi che hanno sulla qualità degli interventi. Pochi si sono posti la questione sulla validità degli stessi. La domanda vera avrebbe dovuto essere: ma servono davvero questi interventi di recupero dei debiti nelle superiori? Vale la pena spendere tanti soldi? E cosa ci ha insegnato l’esperienza precedente? Silenzio.
Una
delle poche voci “fuori dal coro”, a parte l’ex Ministro De Mauro (con una
intervista al Corriere il giorno dopo il D.M. 80) e naturalmente gli
“orfani” della Moratti (Aprea in testa, per la quale il tutto era già
risolto con la L. 53: che danno ci hanno portato quei 20.000 voti in più per
l’Unione! Oggi i risultati PISA-OCSE ci avrebbe sorriso!)), mi è parsa
quella di A. Valentino, il quale in un suo intervento di qualche tempo fa
(“BOCCIATURE E DEBITI NELLE SUPERIORI. FIORONI ALL'ATTACCO in
www.scuolaoggi.org) afferma giustamente che il problema sta più a
monte. Più che soffermarsi a discutere se sono stati ripristinati gli Esami
di riparazione oppure no, la vera questione è soffermarsi sui “debiti” e sul
loro significato, sul perché si originano e quando si originano (soprattutto
su quest’ultimo, come dirò)
E’ sembrato a molti che con D.M 80 sia iniziata una nuova “era”, quella del
rigore e della serietà: c’è voluta una indagine statistica condotta alla
fine degli ultimi Esami di Stato perché si scoprisse quello che era noto da
tempo: la montagna di “debiti non saldati
L’introduzione della verifica prima dell’inizio del nuovo anno con la
possibilità di non passare all’anno successivo è stata vista come la panacea
e ci si è dimenticati di ciò che si è sempre saputo a proposito degli esami
di riparazione, giustamente aboliti. Che non solo costituivano uno scandalo
per gli interessi corposi che ci stavano dietro, ma producevano vere e
proprie sanatorie di cui chi insegna da alcuni anni ha buona memoria.
Qualcuno, come Sugamele (anche lui ex sindacalista CGIL negli anni 80,
successivamente “passato” alla Moratti) ha parlato di ritorno a Gentile,
esagerando indubbiamente per spirito polemico questo che è comunque, checché
se ne dica, un ritorno al passato. Il sottoscritto ricorda molto bene il
titolone dell’Unità nell’estate 1987: “ Mai più esami di riparazione” e la
battaglia della CGIL di allora, Trentin in testa, per eliminare lo sconcio
delle lezioni private estive, quasi mai dichiarate fiscalmente.
A costo di scandalizzare qualcuno dirò che le “sanatorie settembrine” di un tempo nella maggior parte dei casi avevano pur sempre una loro giustificazione e didatticamente parlando si può dire che non solo non fossero poi uno scandalo, ma nella maggior parte dei casi erano logiche e razionali, nonostante alcuni eccessi. Perché, bocciare a settembre per una materia non “riparata”, ma anche per due insufficienze confermate, non aveva alcun senso, se il giudizio complessivo del Consiglio di classe era comunque “positivo”. Così recitava la norma di allora e così ci si comportava, anche se dopo lunghe discussioni; e così giustamente viene ripetuto oggi dopo l’O.M. 92 (vedi faq del Ministero) Non voglio certo difendere un certo lassismo, specie negli ultimi tempi, ma ammettiamolo, almeno noi vecchi docenti “di lungo corso”: quanti sono usciti dal Liceo classico senza una competenza accettabile nella traduzione dal latino o dal greco? E se uno studente dello scientifico aveva nel corso della sua carriera scolastica il “buco” costante in filosofia, forse veniva fermato o indotto a cambiare scuola?
Ma
soprattutto a me sembra fondamentale una domanda, che si fa ad esempio
Sugamele “È verosimile che in una scuola dove l’alunno non sceglie nulla
ma tutto gli è imposto e che si fonda su 12-14 discipline ciascun ragazzo
sia “preparato” su tutto e nei medesimi tempi? Un enciclopedismo che Guido
Calogero riteneva utile per formare “chierici e parrucche”.
In una scuola siffatta, ricordando Salvemini: si può rivendicare il “diritto
all’ignoranza”? Almeno in qualche materia?” O ci siamo dimenticati i
casi di Carducci, bocciato in italiano, e Einstein “insufficiente” in
matematica negli studi liceali?
Sono questi alcuni dei nodi con cui bisognerebbe confrontarsi più che sul ripristino delle verifiche di fine estate e invece si continua a dire che il gap degli studenti italiani dipende ancora e sempre dal 68, a cui di solito si fanno risalire non solo i mali della scuola, ma dell’intera società e a cui evidentemente sono da far risalire anche i “debiti” non saldati di oggi
Chi
scrive ne è convinto fermamente e credo di essere in buona compagnia
(Valentino è tra questi): l’operazione “recuperi” avviata da almeno dieci
anni, dopo l’abolizione degli esami di riparazione, è fallita per una serie
di ragioni e di ostacoli che andrebbero approfonditi. E non varrebbe la
pena riproporli ameno che ……. Non si ripartisse proprio da quello che non si
è voluto fare. E’ MANCATA IN SOSTANZA UNA SERIA RIFLESSIONE CRITICA
SULL’ESPERIENZA ULTRADECENNALE SUI CORSI DI RECUPERO
Il discorso sarebbe lungo e mi si perdonerà se parto da alcune premesse per
arrivare poi alle conclusioni (che, come) si vedrà, conclusioni non sono, ma
una proposta di “ripartenza”
DA DOVE riPARTIRE?
Il discorso a mio parere si dovrebbe muovere su due binari
1) Fare chiarezza sui termini
A) “DEBITI E CREDITI”
Comincerei intanto con l’uso di parole tratte come al solito dalle
esperienze aziendalistiche, come era di moda negli anni 90.
Quando per la prima volta si cominciarono ad usare parole come “crediti” e
“debiti” scolastici, la mia reazione, ma non solo mia, fu di un rifiuto
concettuale (passi per “crediti”, ma cosa vuol dire avere dei “debiti
formativi”? si è in genere “debitori” nei confronti di qualcuno, ma qui non
si capisce chi è il creditore!)
Ma la cosa più importante è che con tale espressione si andava verso una
“contabilizzazione” delle carenze più che verso una “comprensione” (nel
senso di indagarne l’origine e le ragioni che stanno in profondità) delle
stesse. Di quali “carenze” (o debiti) stiamo parlando? Le carenze possono
essere di vario tipo ed è importante saperle individuare al fine di
approntare gli opportuni “interventi didattici ed educativi integrativi”
Quante scuole hanno fatto uno “screening delle cause delle difficoltà
ricorrenti negli studenti per ciascuna disciplina o ambito disciplinare e
quante hanno individuato le metodologie mirate al tipo di difficoltà”, come
propone ad esempio la collega Mezzina (vedi i suoi stimolanti e concreti
interventi su
www.edscuola.it; en passant, si vede che vive nella scuola a differenza
di quanti “parlano” di scuola nelle varie sedi “distaccate”) ? La verità è
che un serio “recupero” disciplinare richiederebbe una analisi approfondita
dei “nuclei fondanti” della disciplina, dei fondamenti epistemologici, delle
abilità specifiche e trasversali, delle mappe concettuali e via di questo
passo. Ne tratterò brevemente dopo
B) SOSTEGNO-RECUPERO
Si
prenda ancora ad esempio la distinzione tra “recupero” e “sostegno”. :
Con un salto logico-concettuale l’Ordinanza fra rientrare il “sostegno”
nelle attività di recupero (?). Finora si era pensato il contrario o
comunque nessuno aveva pensato a una così netta distinzione! Una distinzione
marcata a tal punto che per gli uni e per gli altri si prevedono tempistiche
diverse e obblighi diversi (obbligatori i corsi di recupero, facoltativi
quelli di sostegno). A parte l’aspetto discutibile di voler imporre alle
scuole indicazioni che dovrebbero rientrare nella loro sfera di autonomia,
si è riflettuto abbastanza sul significato dei due termini?.
L’impressione è che obbligando le Scuole a svolgere i corsi di recupero si
sia voluto privilegiare un aspetto solo del problema: il debito disciplinare
o le “insufficienze” che compaiono sul tabellone degli scrutini, sorvolando
sulle carenze “trasversali” o su altri elementi come se queste non
concorressero o addirittura non fossero determinanti per le “carenze”
specifiche anche delle varie discipline, portando alla fine all’insuccesso
scolastico.
La distinzione tra sostegno e recupero compariva in effetti nel primo
decreto dell’agosto 94 ma fu poi sostituito nell’O.M.9.11.94,
n. 313, con una
espressione ben più adeguata, vale a dire “Interventi didattici educativi
integrativi (i famosi IDEI)
A me sembra che la differenza non sia di poco conto. Tornare ai corsi
di recupero distinguendoli dal “sostegno” si vuole proprio porre l’accento
sulle carenze di tipo disciplinare, che normalmente vengono identificate con
carenze di tipo contenutistico. E si riducono nella maggior parte dei casi a
vere e proprie “ripetizioni” per i “ritardatari” o “recuperanti” o i
distratti o gli svogliati, in sostanza coloro “che non hanno voglia di
studiare” (non coloro che “non sanno studiare” che è ben altra cosa su cui
sarebbe semmai da indagare). Ma se le cose stanno così è il “sostegno” a
dover costituire la parte ordinaria e permanente dell’offerta formativa
e non i corsi di recupero, che ne sono solo uno strumento limitato e in
qualche caso inutile, come l’esperienza ha dimostrato “Mai più corsi di
recupero”: sarebbe da dire sempre con Valentino
In effetti il fine principale da raggiungere non è quello di colmare delle
lacune o una insufficiente preparazione in una disciplina (potrebbe essere
anche questo), bensì acquisire le conoscenze, capacità e competenze
caratteristiche di un particolare corso di studi. Come si diceva all’inizio
alcune “discipline” potrebbero essere non dico “ignorate” ma perdere gran
parte della propria importanza se non collegate a un certo tipo di
competenze tipiche di un corso di studi; certo qui si tratterebbe di
rivedere i programmi o meglio i piani di studio, come diceva De Mauro, di
introdurre la distinzione tra insegnamenti obbligatori e altri opzionali,
tra discipline “caratterizzanti” un corso di studi su cui non si può e non
si deve transigere e altre “complementari”(o “opzionali” come si diceva fino
a poco tempo fa), il tutto non lasciato alla libera scelta dello studente o
delle famiglie, come sembrava voler proporre la Moratti con la
“personalizzazione”. Il discorso di Tiriticco sul biennio “orientante” e
sulle “passerelle” mi pare molto appropriato.
Mi si perdonerà l’autocitazione ma quando si discusse della nuova legge
sugli Esami di stato avvertii (“Suggerimenti per il nuovo Esame di Stato in
www.edscuola,it) l’incongruenza del porre come condizione per
l’ammissione agli esami di Stato la “saldatura” di tutti i debiti, il che mi
pareva e mi pare mi pare francamente una condizione capestro, che non potrà
essere rispettata, per cui si arriverà a delle “sanatorie” finali. Mi
permettevo di citare en passant possibili soluzioni future. Ad esempio in
presenza di determinati “debiti” (non nelle materie qualificanti il corso di
studi) si potrebbe consentire l’ammissione all’esame ma negargli l’accesso a
determinate facoltà universitarie, oppure, riportando sul diploma i debiti
non saldati sarebbe l’università a decidere di sottoporre a prove di
ingresso per coloro che hanno dei debiti ritenuti importanti per quel corso
di laurea.
2 La Scuola superiore oggi e il problema dei “debiti”
Se la
questione non sta nel recupero dei contenuti disciplinari bensì nelle
abilità sottese di tipo disciplinare o trasversale. La domanda da porsi è:
ma la Scuola superiore, questa scuola superiore è in grado di rispondere a
tali esigenze? Non è solo una questione di programmi o di piani di studio.
Si tratta di impostare l’insegnamento in maniera affatto diversa e
sottolineare la carenza di una cultura di una “valutazione” vera nella
scuola reale? O vogliamo chiudere gli occhi su come si svolgono gli scrutini
oggi nella maggior parte delle Scuole e come si assegnano i voti sulle
pagelle?
Noi, quelli come me che hanno 30 anni di scuola superiore all spalle,e per
fortuna (absit iniura verbis!) nei Licei, sappiamo come vanno queste cose
nella maggior parte delle Scuole: una commissione, o a volte il Preside,
stende un documento, lo si approva in Collegio e poi i “corsi di recupero”
si svolgono come se niente fosse, per lo più attraverso il “recupero” dei
contenuti disciplinari non appresi la mattina e magari con gli stessi
“criteri metodologici”.
Recuperare pratiche didattiche efficaci, investire in sviluppo professionale Bene, Valentino, ma ….
Leggo il
comma 8 dell’art. 2 dell’O.M. 92: cose interessantissime (dalla
flessibilità, all’utilizzo del 20%, ai piccoli gruppi e via sperimentando),
ma in quante scuole si potranno attuare?
Quanti docenti hanno sentito parlare di “stili di apprendimento” e quanti li
sanno individuare? Quanti nelle superiori si sono emancipati dalla lezione
frontale e dal circolo perverso spiegazione-studio-interrogazione-voto?
Quanta “laboratorialità” si fa nelle classi, anche nelle discipline di tipo
sperimentale? Quanto spazio viene dedicato a quello che oggi si definisce
l’apprendistato cognitivo e che poi è poi l’insegnare ad imparare o
l’imparare ad imparare?
I concetti basilari mi pare che restino sostanzialmente due: la flessibilità
e la laboratorialità.
Il primo non è solo un aspetto organizzativo: esso comprende
l’individualizzazione o personalizzazione dei percorsi, che poi era
richiamato nel patto formativo di cui al DPCM 95 la famosa Carta dei
servizi, DPCM 7 giugno 1995, presto dimenticata.: il Contratto
formativo
In Italia siamo bravissimi a scrivere bei documenti, ma poi nessuno si
preoccupa più di verificare successivamente cosa è avvenuto.
Quanto alla “laboratorialità” o meglio alle “pratiche didattiche
laboratoriali, attive e resposanbilizzanti”come dice Valentino, diciamolo
francamente: essa presuppone una vera e propria “rivoluzione”
nell’insegnamento che chissà quando potrà attuarsi: significa, ripeto ancora
una volta, il superamento della lezione frontale semplicemente trasmissiva,
significa acquisire ed attuare i principi del “costruttivismo”, significa
impegnarsi nel ricercare un efficace “metodo di studio” e tante altre cose
ancora.
E qui
torna la più volte dibattuta questione della “professionalità” degli
insegnanti, della loro preparazione iniziale e della formazione in servizio
Bene ancora, Valentino! Ma come si arriva a questo? Ciò che non mi convince
in fondo nel discorso di Valentino è il richiamo alla autoformazione, che
finora è sempre stata volontaria e che riguarda una piccola parte dei
docenti. (vedi ultimo documento di “Proteo” sulla volontarietà: era ora che
una organizzazione legata a un certo Sindacato progressista e non
corporativo , si spera, dicesse le cose come stanno veramente)
Ora va di moda l’Autonomia, come negli anni 70 c’era la libertà di
insegnamento e…. di recisero!. Peccato che ci si dimentichi che entrambi i
concetti, come affermava giustamente l’Ispettore Portolano in un libricino
di qualche anno fa. vanno riferiti agli studenti (i veri destinatari della
“libertà di insegnamento”) e non ai docenti 8come comunemente si intende o
alla Scuola. Una autonomia non finalizzata al “successo formativo” è un
guscio vuoto, è ancora una volta licenza di fare quello che si vuole. I
“recuperoi” attuati come nella maggior parte dei casi negli anni precedenti
sono, lo dirò brutalmente, una integrazione salariale, dopo l’abolizione (a
parole, perché nei fatti mi risulta che ne esistano eccome) delle lezioni
private. Detto en passant, perché le “lezioni aggiuntive” (quelli delle
medie intendo) costano 35 e i corsi di recupero 50 Euro?
ANDARE ALL’ORIGINE-……..
Mi fermo
qui perché vorrei riprendere in un prossimo intervento quello che poi è il
problema dei problemi sui cui il Decreto sui “debiti” nemmeno sfiora e che
invece appare per la prima volta in una recente Direttiva vale a dire la
questione dell’ORIGINE delle carenze
Non mi stancherò mai di ripeterlo: pensare di intervenire all’inizio della
Scuola secondaria superiore, come si fa da tanti, troppi anni, è nella
maggior parte dei casi illusorio. Ma su questo ormai anche il Ministro ha
cominciato a riflettere, a seguito anche del confronto fra i risultati di
Pearls in IV elementare e quelli OCSE, e ne è venuto fuori la Direttiva 113
sulla scuola media (che sproporzione tra i circa 300 milioni per le
superiori e i 5 della Media!).
Ne riparleremo