06.04.2008
NON
C’E’ INNOVAZIONE SENZA FORMAZIONE (obbligatoria !)
di
Pasquale D'Avolio
Sta tornando prepotentemente alla ribalta negli ultimi tempi la questione
dell’aggiornamento in servizio dei docenti, che molti sostengono
costituisca un diritto-dovere, ma che pochi si azzardano a definire come un
vero e proprio “obbligo”. Nella risposta a un lettore che chiedeva lumi sul
diritto-dovere all’aggiornamento, su ITALIAOGGI del 18 marzo, l’esperto Di
Gironimo sostiene che il docente non è tenuto a partecipare alle iniziative
di aggiornamento deliberate dal Collegio docenti, qualora non abbia votato a
favore. A tal proposito richiama l’art. 24 del DPR 3/57. Ora a parte il
fatto che l’art. 24 parla di tutt’altro, vale a dire della responsabilità
“per violazione del diritto” del componente di “collegi amministrativi
deliberanti” .. e non si vede cosa c’entri con una delibera del Collegio
Docenti, è del tutto evidente che una delibera del Collegio Docenti,
seppure presa a maggioranza, vincoli tutti i componenti alla sua esecuzione.
Sarebbe davvero singolare che siano tenuti a partecipare solo coloro che
hanno votato a favore, a meno che la stessa delibera non lo preveda
espressamente. Qualora invece il Collegio deliberi che quella tale
iniziativa è fondamentale e che ad essa debba partecipare l’intero Collegio,
nessuno potrà sottrarsi. Lo stabilisce persino una recente Sentenza del
Consiglio di Stato, così come riferisce l’Ispettore Cerini in un articolo
apparso su “Notizie della Scuola” dedicato all’argomento
Una settimana fa nel corso del Seminario nazionale svoltosi a Bari
nell’ambito delle iniziative del MPI sul tema “Indicazioni per
l’integrazione”, il gruppo coordinato dall’ispettore Iosa, al quale ho
partecipato, ha approvato un documento in cui si sollecita il Ministero a
introdurre l’obbligatorietà come elemento decisivo per avviare davvero una
nuova stagione nella scuola italiana.
Infine ho sottomano l’ultimo Documento dell’ANDIS Piemonte sulla formazione
dei docenti riguardo alle Indicazioni nazionali (“Perché i nostri alunni
risultano i più somari d’Europa?” sul sito
www.andispiemonte.it) che mi pare estremamente puntuale e chiaro
nell’indicazione di un obbligo da introdurre se non per via contrattuale
(vista la contrarietà delle OOSS) attraverso una precisa norma ad hoc. A
dire il vero tale norma esiste già, per le innovazioni di carattere
ordinamentale a livello nazionale, ma il Ministero non ha inteso applicarla
finora. Si rischia di perdere così una grande occasione per introdurre
nella Scuola italiana quelle innovazioni di carattere metodologico-didattico,
che sono le sole in grado di immettere elementi di qualità nel sistema.
Non servono infatti né i bei documenti né i buoni propositi che accompagnano
di solito le recenti stagioni “riformistiche”, da Berlinguer a Fioroni.
Sappiamo tutti come si siano arenate le riforme precedenti, sotto il fuoco
incrociato di sindacati e forze restie a qualsiasi cambiamento. Il nodo
fondamentale, è inutile nasconderselo, sta nella convinzione e nella
partecipazione del corpo docente ai processi di cambiamento reale, quelli
che investono la pratica didattica quotidiana.
Al di là delle frustrazioni e delle continue “giravolte” a cui abbiamo
assistito negli ultimi anni, che hanno potuto ingenerare atteggiamenti di
sfiducia e immobilismo anche nei più motivati, credo non si vada lontani dal
vero affermando che la gran parte della categoria (docenti e dirigenti) non
abbia poi tanto desiderio di cambiare. E perché dovrebbero cambiare? Tutto
sommato a star fermi non si fa danno e soprattutto non si è costretti a
impegnarsi più di tanto. Se facessimo una indagine seria tra i docenti dei
Licei, ad esempio, forse scopriremmo che l’impianto tradizionale dei
programmi risalenti in gran parte a Gentile, nonché le modalità didattiche
di trasmissione del sapere (la classica “lezione-compiti a
casa-interrogazione-voto” ) vengono considerati tutto sommato validi ancora
nel 2008! E allora l’affossamento della riforma Berlinguer come quella
della Moratti non hanno scomposto più di tanto le schiere dei docenti, a
parte qualche drappello di “contestatori” dell’uno e dell’altra
schieramento. Il gran movimento nell’ordine tecnico e professionale si
spiega con l’interesse a parare i danni di una licealizzazione spinta, che
ha messo in crisi questi istituti negli ultimi anni.
Tornando alle “Indicazioni” e al sostanziale immobilismo che si riscontra
alla base (ora che poi è caduto il Governo e si attendono nuovi inquilini a
palazzo Trastevere è ancora più giustificata l’”attesa”) è indubbio che
molte colpe stiano nei vertici nazionali e regionali. Delle famose misure di
accompagnamento previste nella Direttiva del 3 Agosto 2007 e dei 36 milioni
previsti per la formazione, si sa che sono stati assegnati a novembre i
fondi alle Direzioni regionali, che queste hanno costituito gruppi di lavoro
e che, al di là di riunioni ristrette dei “prescelti” (dove sono avvenute,
perché ad esempio in Friuli neanche questo è stato fatto) nulla è pervenuto
alle scuole, anche nel “Rapporto di attività” del Ministero nel mese di
gennaio si parla di seminari regionali, costituzione di reti, di “sondaggi
telefonici” (sic!) alle scuole e via dicendo. Nel frattempo si sa solo che
sono stati organizzati dei megaconvegni nazionali i cui esiti non sono
ancora noti, ma si sa che sono costati fior di migliaia di euro. Le scuole,
quelle più attente e motivate, hanno dovuto “arrangiarsi” da sole o chiamare
esperti delle associazioni a proprie spese.
Detto questo occorre tuttavia che le associazioni professionali e
disciplinari facciano sentire forte la loro voce affinché le innovazioni
questa volta, qualunque sia l’esito elettorale, qualunque sia la sorte delle
Indicazioni, non passino sulla testa dei docenti e che, se si vuole davvero
cambiare questa scuola, l’investimento maggiore dovrà essere rivolto nella
formazione e nell’aggiornamento dei docenti, di TUTTI I DOCENTI e non dei
soliti volenterosi che poi si trovano a dover combattere una battaglia
improba nei Collegi per spingere i colleghi a partecipare alla formazione.
Non si può non concordare con l’ANDIS piemontese che “problema centrale per
la riqualificazione della nostra scuola (è) la formazione degli
insegnanti non come dato volontaristico e occasionale, bensì come dimensione
irrinunciabile e costitutiva della professionalità docente, unitamente alla
ridefinizione di un “tempo certo” di servizio”. Giustamente nel documento si
fa notare come una gran parte dei docenti sia all’oscuro delle innovazioni
sul piano della didattica provenienti dal cognitivismo e dal costruttivismo.
Io direi che a una gran parte dei docenti della secondaria siano ignoti
persino Dewey, Piaget e Bruner. Altro che Gardner e Feuerstein o Goleman!
Nelle "Nuove Indicazioni" la questione metodologico-didattica è trattata in
un paragrafo alquanto contenuto, laddove si parla di “ambienti di
apprendimento”. Ma è lì il vero cuore del problema e se non si parte da lì i
nuovi curricoli o gli obiettivi di apprendimento non hanno alcun senso.
Resta la vecchia didattica del libro di testo, della spiegazione in classe
con connessi rifiuto o “noia” da parte dei discenti per arrivare quindi
all’abbandono.
Certo la didattica non è tutto, lo sappiamo, ma, se si eccettua la scuola
elementare, quanti corsi di formazione trattano tali argomenti? Si parla di
laboratorialità, di “saper fare”, di contestualizzazione degli
apprendimenti; ma quanti sono nelle condizioni di attuare un vero
insegnamento laboratoriale?
Qui non si tratta di imporre una nuova didattica di Stato (come poteva
apparire in fondo quella della scorsa legislatura), ma anche le "unità di
apprendimento" potevano costituire un terreno fertile di confronto e di
avanzamento per la classe insegnante. Quando nella primavera del 2003 fu
proposto un Piano nazionale di formazione con un timido tentativo di
renderlo obbligatorio (nota del 10 aprile 2003 contenente le Linee guida), i
docenti, appoggiati dalle OOSS, insorsero e il Ministro dovette fare marcia
indietro (Comunicazione di servizio del 5 giugno succcesivo).
Sappiamo come si è riusciti a smontare la proposta di un Codice deontologico
e di un nuovo stato giuridico, per paura che introducesse doveri non
“contrattabili”; sappiamo come da almeno tre Contratti si parla di superare
l’appiattimento della funzione docente e .. poi non c’è mai il modo di
realizzare una carriera docente!.
Almeno su questo punto dell’aggiornamento obbligatorio nei modi da definire,
il nuovo Ministro dovrà impegnarsi. Purtroppo non c’è traccia di questo
impegno nei documenti apparsi in questi giorni da parte del gruppo del
“Buonsenso” o di quello che insiste sul “merito nella Scuola”