03.02.2007
Fuori dalla palude
di Raffaele Iosa
Cimitero di Casarsa della Delizia, profondo Friuli. Ai
miei piedi una targa grande come un foglio A4 con solo il nome: Pier Paolo
Pasolini. Vicino al muretto slabbrato una stentata pianta d’alloro, quella
dei poeti. Ci vengo quando posso qui, in questo natale Friuli delle mie
radici proletarie. Davanti un raro spicchio di campagna miracolosamente
intatta, con quell’indaco e verde pallido che solo il Friuli ha ancora un
po’. Ma prima di arrivare qui la stupida babele della surmodernità: ho
percorso l’antica Pontebbana stracarica di capannoni, centri commerciali,
Suv, negozi con scritte in inglese, casette stile messicano con il patio e
le veneri nude che sgorgano acqua. Camion di tutti i tipi e nazioni. Fast
food al posto delle frasche. Dove troverò ancora il formaj con un tajiut di
clinton? Neppure il Monte Cavallo, qui davanti, ha più neve. Guardo, penso,
dolorosamente sento vicine le profezie del poeta.
Sono tre i cimiteri della mia vita, dopo quello dei miei genitori, e tutti
fuori mano. Questo del poeta, quello di Barbiana del prete, e quello di
Castelnuovo del Friuli, dove riposa su un colle il mio direttore Spartaco
Favit. Un uomo di poche ma pesantissime parole, un socialista dallo sguardo
educativo lunghissimo, con il quale ho condiviso i miei giovani anni di
maestro in un quartiere sottoproletario di Marghera. Ci andrò finito qui e
dopo aver cercato l’ultima frasca, se la troverò.
C’entra tutto questo con l’attuale fase-ponte della scuola? E’ possibile
pensare cosa serve al futuro dei nostri ragazzi dimenticando il pazzo
presente e le stupidità che pervadono la nostra cronaca?
Ho saltato tutte le prime pagine dei quotidiani, stamattina, perché dà
nausea la bagattella tra una moglie piena di diamanti e un marito un po’
sporcaccione, passata per "questione femminile o politica". Scoppiata, pensa
un po’, ai telegatti!
Penso alle lucciole pasoliniane e con rabbiosa nostalgia al declino
valoriale, civile, di senso e speranza che pervade gli italiani. Di cosa ci
occuperemo domani, forse degli ultimi occhiali inventati da Lapo Elkan?
Ancora una volta del bullismo, dei video cellulari, del gossip a scuola,
cose di cui non si guarda mai sotto dalle radici, ma si borbotta e sospira
sul nulla delle foglie? Basta fare la Pontebbana di oggi per capire che la
malattia è adulta, di stili di vita, di esistenza nel vuoto.
Io preferisco operare per i miei orfani bielorussi, per le loro dolenti
vite, la mia bambina e la sua adolescenza che degrada in un internato. Penso
qui alle migliaia di bambini che non ce la fanno, a quei disabili per i
quali lavoro, agli sfigati della terra senza diamanti ma con tanta merda.
Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori, insegnava De
Andrè.
Come sopravvivere al ridicolo? Quale scarto tra questa stupida surmodernità
e la vita, il faticoso amare quotidiano, il pane e companatico, la
depressione per vuoto di senso, le gioie e dolori del crescere. Della finta
allegria e dei clonati riti delle banalità. Del vivere e del morire in pace.
Non è quindi un caso questo cimitero. Pasolini e Don Milani sono uniti non
solo dall’inquietudine comunista (non nascondiamo le parole) sui temi grandi
dell’eguaglianza, ma sono anche uniti dalla loro radicale critica alla
modernità, profeti entrambi della deriva che il consumismo e la fine della
comunità fisica avrebbero provocato in queste società pseudomoderne sempre
più rintronate di spot.
Tutto questo serve eccome oggi per chi si appassiona all’educazione! Sono le
nostre radici sane!
E intanto l’anno ponte va. Ondeggia un po’ ma va. Dopo un periodo di
imbarazzato silenzio, da alcuni interpretato come crisi politica della
maggioranza sulla scuola, le ultime settimane segnano alcune novità che
tornano a far sperare che il ponte finisca e arrivi una sponda che rimetta
in ordine alcune cose. Per esempio che il nome "Moratti" torni ad essere una
questione sportiva milanese anche senza Ronaldo, per esempio che sulla
scuola si investa di più e che venga data autonomia, responsabilità, valore,
rispetto al difficile lavoro dell’insegnare e dell’apprendere.
La finanziaria ci consegna il biennio obbligatorio, unitario per
fortuna, anche se vedremo come. La lenzuolata Bersani ci consegna un patto
tra istruzione tecnica e professionale nazionali, grande amore di Romano
Prodi, con un loro possibile rilancio. Speriamo con maggiore attenzione al
rapporto tra scuola e mercato del lavoro, pensando che la scuola risponde al
dopodomani, non solo al mero presente del domani mattina del sistema
produttivo. Che tra homo sapiens e homo faber c’è molta più comunanza del
gentiliano licealismo. Temi seri, non bagattelle, tutte ora da costruire, ma
le fondamenta ci sono.
La lenzuolata Bersani ci porta anche questa
strana cosa delle fondazioni, che fa fibrillare i cosiddetti radicali che
temono l’invasione di sponsor. A me basterebbe finissero le lotterie che le
scuole si inventano per pagarsi i pennarelli, e l’abolizione dell’Iva nei
loro acquisti. Naturalmente, pensando che queste chissà quali entrate non
sostituiscano i doveri della Repubblica.
E’ di poche ore fa la lettera del Ministro Fioroni e il suo impegno a darci
finalmente le nuove indicazioni curricolari per la scuola materna,
elementare e media. Si conferma felicemente il valore dell’autonomia
professionale delle scuole e degli insegnanti, è buona la fine della
Pedagogia di Stato, buona la bacchettata preventiva ai piccoli Bertagna di
sinistra che già armeggiano tra disciplinismo e competenzismo. Mi auguro che
sia tutto leggero, semplice, serio. Come seria deve essere la nostra scuola
di base, che ricordo è prima di tutto popolare e per tutti e che ha come
scopo principale l’eguaglianza delle opportunità educative. Oltre che la
gioia di crescere.
Forse un po’ da chiarire è questa esaltazione della "persona" che fa
temere a qualcuno il ritorno di un certo bertagnismo. Persona è una parola
bella, civettuolmente qui ricordo che non è una parola cattolica né di
destra. Essa nasce dall’illuminismo laico, dalla scoperta
dell’individualità. E’ oggi per fortuna valore universale. Ed è banale
aggiungere che le persone non esistono mai da sole ma in quanto "soggetti di
una comunità". Nulla a che vedere con la cosiddetta "personalizzazione"
bertagnesca, un’antinomia per i cattolici stessi più avveduti. Facendo la
civetta a Maritain, la personalizzazione idolatrava chissà quali
palingenesi. Ma si può personalizzare un cinturino di un orologio o una
sciarpa, non la persona che non si può per assioma mai… personalizzare.
Ecco perché, pur amando la parola, qui suggerisco che venga concretamente
declinata con aggettivi legati all’eguaglianza delle opportunità, ai diritti
individuali, al rispetto delle diversità, alla civiltà del dialogo, al
valore della comunità dei viventi come comune barca del nostro umano
traghettare.
Bisogna stare attenti alle parole, oggi più che mai. Altrimenti solo
retorico fumo o nitroglicerina.
Insomma, c’è un po’ di speranza per la scuola, e insieme di attenzione,
augurandomi che aumenti un dibattito che ho sentito in questi mesi
raffreddarsi in una strana abulia da disincanto.
Certo c’è una finanziaria così così. Ci sono solo 100 euro per il prossimo
contratto e che volete farci: battaglie alla Ichino per pagare solo i più
"bravi"? Qualcosa si può fare, ma nella prospettiva riconosciamo che la
scuola (non solo gli insegnanti) ha bisogno di ben altri investimenti delle
donazioni alle fondazioni o dei contratti usa e getta anti-inflazione. Ci
vorranno anche premi e castighi, ma se si alzerà il valore del tutto.
Però Pasolini, che sta qui sotto, massacrato dalla sua storia meravigliosa e
orrenda, mi inquieta a riflettere su altro e su oltre. Di lavorare in quest’epoca
che sembra un po’ migliore del nero precedente non solo per ridare serenità
ed equilibrio alle nostre scuole, ma per evitare di farci prendere dal
pragmatismo rabberciato, per tornare invece a praticare pensieri forti anche
se aspri, senza i quali il nostro futuro non sarà passare il ponte, ma
un’eterna palude dove tutto è infangato.
Penso ci voglia un costume sociale (in senso leopardiano) più rigoroso per
tutti, non solo leggi.
Non basta l’apologia dell’autonomia scolastica e la fine della Pedagogia di
Stato, per quanto importanti. Serve tra noi una discussione più rigorosa
sull’attuale condizione dei nostri giovani, della nostra società, delle
spinte culturali e politiche verso cui calibrare il peso dell’istruzione nei
processi di cambiamento. Altrimenti la "crisi del riformismo" sia di destra
che di sinistra nasconderebbe ben altro: la crisi della crisi, insomma il
vivacchiare alla giornata.
L’aria frizzante di questo antico Friuli stamattina mi consegnano tre
pensieri, nati da appassionanti letture di quest’epoca di attesa della
fine del ponte.
Roberto Volpi, mio amato statistico, nel suo ultimo libro "La fine
della famiglia" (Mondadori 2007) descrive molto più rigorosamente delle
attuali chiacchiere sui pacs il profondo cambiamento della genitorialità di
questi 30 anni. La gente non si sposa più, se si sposa lo fa sempre più
tardi, fa sempre meno figli. Dietro c’è una crisi di speranza del futuro che
dobbiamo tutti prenderci in carico, sapendo che il tema dell’educazione non
riguarda le famiglie e gli insegnanti, ma l’intera società. Una politica
integrata ci vuole quanto meno per chi rischia povertà, discriminazione,
disagio, per i quali non è il ghetto-scuola la sede unica di terapia, ma la
comunità aperta della vita e delle generazioni con un diverso sguardo dalle
paure del presente. Oggi siamo nell’epoca della post-famiglia, a prescindere
dai papi o dai pacs. Una società senza desiderio di educare e attenzione ai
bambini è già morta. Per questo trovo strana la retorica sui pacs. Fosse per
me viva Zapatero. Roberto Volpi ci descrive cosa è accaduto dopo il 75,
referendum del divorzio: non tanto aumento delle separazioni ma aumento...del
celibato/nubilato! La coppia meno interessante. E ora, che invece finisce
l’epoca dell’amore libero e dell’edonismo si cincischia su cos’è la
famiglia, quando l’aria sembra dirci il bello della coppia, della monogamia,
qualsiasi sia il sesso e la condizione!
Ubi caritas et amor, Deus ibi est: lo ricordassero gli eminem senza mogli.
Fa bene ai bambini e al futuro un desiderio di coppia. Come farebbero bene
ai bambini meno spot e meno sport, più ozio e bambinità. Come era
meravigliosa la proposta della Bindi di garantire assi ereditari ai figli
naturali e adottati uguali ai legittimi. Piccole cose di una riscoperta dei
bambini come tesoro che l’incerta modernità ha paura di affrontare e che
incide sul valore dell’educare.
Gabriele Ballarino e Daniele Checchi in "Sistema scolastico e
diseguaglianze sociali" (Mulino 2007) ci danno una grande lezione di
umiltà e di prospettiva. Un economista ed un sociologo (finalmente non un
pedagogo) ci segnalano numeri alla mano come la stratificazione sociale non
è affatto mutata negli ultimi 30 anni. Le condizioni socio economiche della
famiglia di origine contano molto di più della scuola negli esiti scolastici
e nelle carriere individuali. Siamo un paese familista (i figli dei notai
fanno i notai) e ancora classista. Fallimento della scuola dell’eguaglianza
delle opportunità? Oppure fallimento di quel macchinone chiamato istruzione
bravo a parlare e a scrivere leggi ma molto meno bravo a metterlo in
pratica? Esiste altra questione dirimente di un paese democratico che non
siano i diritti all’eguaglianza sociale? Ma non vediamo, ad esempio, come
ormai la precaria situazione dei disabili nella scuola normale sia tante
parole e mai soluzioni?
Qualsiasi sia il curricolo delle nuove indicazioni, che sia largo o alto,
giallino o verde pisello, importa l’anima politica e culturale della scuola
verso le "persone reali", che in carne ed ossa chiedono, quando sono
piccole, di essere trattate da grandi, qualsiasi sia la loro mamma e la loro
condizione. Non siamo ancora riusciti non solo a garantire l’art. 3 della
Repubblica (rimuovere le discriminazioni), ma neppure il 33 (aiutare chi è
privo di mezzi). Ciò significa desiderare una scuola non indifferente,
chiara sui valori. Non basta dire come una litania "Non uno di meno",
bisogna farlo. Perché la scuola che perde ancora Gianni non ha diritto di
chiamarsi scuola. Farlo anche se per non perdere Gianni si dovesse
dispiacere a qualche garantismo sindacale.
E infine un pensiero più pasoliniano che mi viene da Neil Postmann e
il suo "Come sopravvivere al futuro" (Orme editore 2003). Il grande
pedagogista della "morte dell’infanzia" ha lasciato la terra con un
capolavoro che ha avuto, com’è ovvio, poca attenzione nel nostro paese. Lo
suggerirei agli apologeti della società della conoscenza tutta contenuti e
competenze. Lo suggerirei a chi avrà l’onore di scrivere i nuovi curricoli,
ma soprattutto alle migliaia di insegnanti che ogni giorno trafficano con
schede, files, contenuti e sentono che scappa loro il sapere fondamentale
che fa di una persona una vera persona. Di fronte alle sfide sempre più
inquietanti del futuro, non basta la conoscenza per sopravvivere: ci vuole
coscienza. Più elegantemente ci vuole ermeneutica, non solo epistemologia.
Ci vuole profondità, lentezza, ricerca per non farci ingannare e clonare dal
mito di una tecnologia senza limiti e senso. Postman ci suggerisce di
tornare alle origini della nostra cultura, di recuperare un passato che può
migliorare il nostro futuro, ripartendo da quel razionale illuminismo che è
alla base della nostra civiltà e delle nostre idee di progresso, democrazia,
libertà.
E’ nota la mia passione per la slow school e per un ritorno della bambinità
ai bambini. E’ nota la mia idea di scuola come disintossicazione dalla
surmodernità e sguardo critico e aperto al futuro senza idoli ma con
coscienza critica. Queste cose non le deve scrivere un ministro, ma è nella
coscienza civile di un paese e dei suoi educatori riconoscere che
eguaglianza, fraternità, libertà sono il nostro futuro possibile se fin da
piccolo ogni bambino è messo accanto alla sua libertà, alla sua eguaglianza
alla sua fraternità. Altrimenti sono solo obesità cognitive senza anima
fatte per i centri commerciali delle tante tangenziali italiane. Perché
questa è la vera palude, pedagogica e sociale, entro cui rischiamo di
affogare i nostri bambini e il nostro sistema educativo. Non parliamo solo
di una o un’altra legge, ma battiamoci per cambiare una scuola altrimenti
priva di senso, brutta come quei pollai lager dove si ingrassano le oche per
il patè.
Oggi è il momento di una più forte discussione culturale, non solo
legislativa. Sappiamo che tutto questo non dipende dal pur attivo ministro
Fioroni, ma dall’intero paese, a partire da chi con i bambini e ragazzi
lavora ogni giorno.