07.06.2007
Per un
Gianni che sappia fare e sappia essere
di Maurizio Tiriticco
Ranocchietti wrote
Gentile Ispettore, è un po’ di tempo che non La interpello per non seccarLa, però… ci sono tre questioni che Le vorrei sottoporre. Una è quella relativa a Dante Alighieri: non ho capito dalla sua risposta alla collega Gemma Donati se, come e perché il suo studio ci azzecchi o no con la competenza linguistica. La seconda riguarda l’insegnamento della religione cattolica: non mi sembra così peregrino che un insegnante di IRC esprima come gli altri colleghi il suo giudizio sulla sua disciplina. Dove sarebbe lo scandalo? Gli studenti che si avvalgono di altri insegnamenti saranno "accreditati" per quelli seguiti. Quelli che non si avvalgono di nulla di che cosa dovrebbero lamentarsi? In genere i grandi rifiuti si pagano! Celestino insegna! Nessuno li ha obbligati a… non scegliere! La terza riguarda la sicurezza con cui Lei afferma che con il nuovo obbligo non ci saranno più né Gianni né Pierini! Ma ne è proprio sicuro? A me sembra un’utopia. E infine un piccolo appunto: il 27 dicembre p. v. sarà il sessantesimo anniversario della nostra Costituzione, non il cinquantesimo… non è da Lei un simile abbaglio!
Con la stima di sempre, suo Prosdocimo Ranocchietti.
E Tiriticco risponde
Gentilissimo! In primis l’abbaglio! In genere i vecchi hanno una forte memoria a lungo termine ed una debole a breve termine! L’abbaglio è per me un brutto segnale: mi sta fallendo anche la memoria a lungo termine! Speriamo bene. Ma veniamo alle tre questioni.
1. Non è solo Lei che mi interpella su Dante o su tutta quella tipologia di studi che "non servono", o meglio che non sono direttamente finalizzati ai saper fare delle competenze. Sono in molti a chiedersi, ed a chiedermi, se le competenze non rischieranno di far fuori l’educazione alla sensibilità, al controllo e allo sviluppo di quella emozionalità (l’emotività è un’altra cosa) che ha tanta parte nell’equilibrio di ciascun vivente e che costituisce anche un potente background per le sue competenze. E siamo in molti a pensare che, se la scuola non insegna a "godere" di Dante o di Mozart o di un Mondrian o di un Kandinsky, si corre il grosso rischio che il consumismo più bieco ed incontrollato prenda il loro posto ed "insegni" a "godere" solo dell’effimero, se non addirittura del pericoloso! Dalle spose perfette alle pasticche di ecstasy. Sembra che gli spinelli entrino con eccessiva facilità nei gabinetti delle nostre scuole, mentre nelle aule stenta ad entrare il piacere del bello. Vengo al dunque: le competenze riguardano il saper fare e vanno certificate, perché sono queste che interessano il sociale, il mondo del lavoro e degli studi ulteriori, nonché ovviamente la persona in quanto cittadino autonomo e responsabile. Il "godere di Mozart" interessa in primo luogo il saper essere e di questo la scuola si deve far carico. Anche se non è misurabile, comunque è fondamentale per la formazione della coscienza etica e civile di una persona, qualunque professione eserciti. Detta in soldoni, la scuola di un tempo era per pochi "eletti" e poteva farsi carico più del saper essere che del saper fare; la scuola di oggi è per tutti e deve farsi carico dei tanti saper fare, ovviamente senza mai rinunciare ai saper essere che di fatto costituiscono la substantia del "buon cittadino". Da quanto detto derivano per la scuola di oggi – o meglio per il sistema educativo di istruzione e formazione – compiti ben più impegnativi e gravosi rispetto a quelli perseguiti dalla scuola del passato… che poi non è neanche tanto lontano! E va anche detto che tutto ciò che di artificiale noi fruiamo in termini di sensibilità e di emozione estetica (nel suo etimo di aistànomai, in greco antico, avverto, percepisco, sento, godo/soffro) è sempre un prodotto dell’uomo, dal Colosseo alla Gioconda. Insomma, quando Mozart produce Madamina, il catalogo è questo, è la sua competenza di compositore che si esprime, ma quando Maurizio ne gode, è il suo saper essere che entra in gioco. Ne consegue che è un conservatorio che si fa carico del saper fare, mentre un altro grado di studi – fondamentalmente quello dell’obbligo – si fa carico del saper essere. Anche se si tratta di due valenze tra cui è assai difficile trovare il confine.
2. Per quanto riguarda l’IRC, la mia opinione è questa: in una società sempre più multietnica e multiculturale, la domanda di educazione, istruzione e formazione (l’articolo 1 del Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche ci impegna a tutte tre le variabili, e non è cosa da poco!) si sta facendo sempre più complessa, ed il regime concordatario sempre meno rifletterà queste complesse nuove realtà sociali e culturali. Le trascrivo ciò che in materia suggerisce l’amico Luciano Corradini: "Si continua a soffrire per un'impostazione dell'insegnamento della religione che non ha trovato finora un equilibrio costituzionalmente accettabile. Io ho sostenuto che si doveva "prima" deliberare la ordinarietà di un'ora di cultura religiosa o comunque di cultura relativa ai principi fondamentali della convivenza civile; poi si dovessero concordare con diverse comunità religiose e laiche i contenuti ritenuti idonei a tradurre in riflessione etico religiosa quei principi. Così non è stato. L'aver firmato prima il Concordato ha reso ingestibile l'alternativa. La Corte Costituzionale non ha potuto far altro che affermare la non obbligatorietà di "qualcosa" che a posteriori si volesse rifilare ai non avvalentisi. Per questo mi sento amareggiato anch'io, ma non così convinto che l'alternativa alla questione sia quella del Tar. Io metterei una seconda ora di "cultura costituzionale" al posto dell’IRC per i non avvalentisi. Ma bisognerebbe che fossero tutti d'accordo: il che mi sembra difficile". Secondo altri, la religione è cosa troppo seria per essere materia di insegnamento: in effetti è materia… di fede e il nostro sistema di istruzione dovrebbe limitarsi a fare interiorizzare e praticare ai suoi alunni/cittadini quei valori della Costituzione nostra ed europea che ci accomuna tutti, qualunque sia la fede e l’etnia di origine: non dico razza perché tutti gli umani sono della medesima razza!
3. Indubbiamente la mia tirata che l’obbligo di istruzione a 16 anni riesca a fare dei nostri piccoli cittadini tutti Pierini è assolutamente utopico nei tempi brevi. I condizionamenti socioeconomici e culturali esercitano pressioni molto forti nei confronti del sistema educativo di istruzione. La Repubblica e le sue diverse istituzioni dovrebbero operare scelte coraggiose e, a mio vedere, ineludibili, in termini di investimenti di risorse ed energie nel sistema educativo ben più consistenti di quelli che conosciamo. Tutti i politici sono pronti a riconoscere – e i sociologi, gli economisti e tutti i documenti, anche internazionali, lo sottoscrivono – che l’educazione è una priorità assoluta, e per tutta la vita! E ciò non solo perché la società complessa esige saperi di alto livello da parte di tutti, ma anche perché occorre contrastare con forza tutte le suggestioni di cui è prodiga una società apparentemente affluente ma di fatto profondamente iniqua. Come Lei sa, nella misura in cui aumenta il divario tra il Nord e il Sud del mondo, aumenta anche l’ignoranza nelle società del cosiddetto benessere. Se poi ci aggiungiamo tutti i pericoli dei prossimi capovolgimenti climatici, non c’è da stare allegri. Ma il fatto che Lei e tanti come Lei si adoperino perché crescano sempre meno Gianni è già positivo. Ovviamente non basta! E dobbiamo premere, e con forza sui nostri governi! E occorrerebbe che i dicasteri dell’istruzione non fossero considerati uffici residuali o trampolini di lancio per il cursus honorum verso incarichi che si ritengono più prestigiosi! Ma questo è un altro discorso… o è il vero discorso?!
La ringrazio per gli spunti di riflessione che mi offre e Le invio distinti saluti.