18.04.2008
DALLE “INDICAZIONI” AI CURRICOLI.
Da
dove partire.
Una proposta operativa per i docenti
di Pasquale D'Avolio
PREMESSA
L’articolo è stato scritto tra la fine di marzo e le ultime elezioni. Non ritengo sia da considerare “sorpassato”, visto che chiunque prenderà il posto di Fioroni, non potrà sconvolgere quanto avviato in questi ….. 7 anni! Continuo a pensare che tutto sommato il rinnovamento iniziato con Berlinguer/De Mauro e proseguito da Moratti/Fioroni abbia più elementi di “continuità” che di “discontinuità”. Ottimista? Non tanto, realista forse!
1)
CURRICOLO E CURRICOLI
Di curricolo in Italia si sa si parla da almeno 30 anni e forse più. Ho fra le mani un prezioso volumetto pubblicato nel 1970 a cura di C. Scurati” Un nuovo curricolo nella Scuola elementare” (La Scuola-Brescia), dove si cercava di introdurre nella scuola italiana, almeno nelle elementari, l’insegnamento curricolare.
Di acqua ne è passata sotto i ponti e di esempi di didattica curricolare ne abbiamo avute in questi anni sia a livello teorico che pratico. Sempre nelle scuole elementari e successivamente nelle medie (nelle superiori il termine è ancora oggi semisconosciuto) migliaia di docenti hanno cercato e a volte ci sono riusciti a costruire dei curricoli disciplinari o interdisciplinari di discreto valore. Ma in genere, quando non si sono indicati elenchi di obiettivi di apprendimento “statici”, organizzati in maniera trasversale e/o verticale, si è trattato di esempi di “moduli didattici” isolati rispetto a un “percorso curricolare” che abbracciasse almeno un segmento della scuola di base o almeno di un intero anno
Ma, ahimé ancora oggi, a distanza di alcuni mesi dalla emanazione dei due documenti ministeriali dell’aprile 2007, ci si chiede in fondo quale è il significato che si intende attribuire a tale termine, visto l’uso plurimo che di esso se ne fa: ad esempio si parla di “curricolo di scuola”, di “curricolo di classe” e infine di curricolo disciplinare o pluridisciplinare. Non è da meravigliarsi se tra i temi indicati dai gruppi regionali come nodi “problematici” sia spesso citato proprio il significato di “curricolo” (Rapporto di attività a cura della Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici del gennaio scorso)
Primo aspetto da considerare: se il curricolo sostituisce i Programmi, di emanazione ministeriale e quindi con valore nazionale, ha senso parlare di “curricolo nazionale”? Si direbbe di no. Eppure l’espressione ritorna in tanti documenti e saggi anche recenti. Evidentemente qui per curricolo si intende il “piano di studio” (vale a dire in sostanza il quadro-orario) che almeno nella quota nazionale deve essere uguale su tutto il territorio in rapporto ai vari gradi e ordini di scuola. Ma non è certamente questo il significato che le Nuove Indicazioni vogliono attribuire al curricolo. Il testo delle Indicazioni è abbastanza chiaro in proposito.
“La scuola predispone il Curricolo, all'interno del Piano dell'offerta formativa, nel rispetto delle finalità, dei traguardi di competenza e degli obiettivi di apprendimento posti dalle Indicazioni”.
Spetterebbe alle Scuole quindi predisporre un proprio “curricolo”.
Ma cos’è un “curricolo di scuola”? Ancora una volta ritorna il problema: si tratta di un “piano di studi” a livello di singola istituzione, dove ogni scuola decide come utilizzare la quota locale o altro? A parere del sottoscritto il “curricolo di scuola”, oltre a indicare appunto il suo “piano di studi” si identificherebbe con quello che una volta si chiamava il Progetto di istituto o PEI, da distinguere dal POF, anche se tra i due documenti non può che esserci consonanza, ma non può essere inteso ancora come curricolo nell’accezione delle Indicazioni. Il POF dovrebbe contenere in sé, oltre ad altri elementi che non sto qui ad elencare, il PEI. Il curricolo di scuola è dunque qualcosa che attiene alla sfera pedagogico-didattica: finalità e obiettivi di carattere educativo, comprendendo in ciò le mete che ci propone di indicare agli alunni in un contesto specifico, le modalità, gli strumenti e quant’altro la scuola riesce a mettere in campo per formare un soggetto responsabile a attivo sul piano intellettuale ed emotivo.
Ma anche parlare di “curricolo di scuola” comporta come conseguenza che esso dovrà essere uguale per tutti coloro che insegnano in quella scuola, a meno che non lo si voglia declinare tra le varie sedi (negli istituti su più sedi) o tra i vari indirizzi (in una Scuola superiore). Tuttavia il curricolo di scuola dovrà essere qualcosa di omogeneo, diverso certo da scuola a scuola, ma uguale per tutti i docenti di quella scuola. E se c’è qualcosa che contrasta con il concetto di “curricolo” è proprio l’omogeneità.
Le cose diventano meno difficili quando si passa al curricolo di classe. Si può immaginare un curricolo di classe senza tener conto delle specificità dei singoli alunni, con i quali si deve stipulare un vero e proprio “contratto formativo” come recita il DPCM del 95, la famosa “Carta dei servizi”? Si arriverà così al curricolo individuale o personalizzato? Ritorniamo ai Piani di studio personalizzati di Bertagna, giudicati una delle due grandi novità positive (insieme ai laboratori) che qualche anno fa il prof. Frabboni (sì proprio il Franco Frabboni della Commissione Ceruti e di quasi tutte le Commissioni precedenti) indicava tra le “stelle” del progetto morattiano? (v. “Scuola e didattica” ottobre 2004). In parte sì e in parte no, come dirò successivamente
2)
LA PROGETTAZIONE DISCIPLINARE TRA UA E
CURRICOLO
Credo comunque che quando si pensa al curricolo il pensiero vada innanzitutto al curricolo disciplinare o interdisciplinare, pluridisciplinare o transdisciplinare e in special modo al curricolo “verticale” che è comunque sempre riferito alle discipline più che agli alunni..
La domanda che in genere si pongono gli insegnanti è proprio questa: tocca a me costruire il curricolo per la mia disciplina, per la mia classe e possibilmente per i singoli alunni? Con quali strumenti, visto che nessuno mi ha spiegato cosa è un curricolo?
Credo che occorre cominciare con il dissipare le paure e le preoccupazioni affermando una cosa forse provocatoria ma vera: i curricoli non “esistono” come qualcosa di “reale”, in quanto la loro caratteristica è proprio quella di non essere “cose”, “sostanze”, visibili o trascrivibili, ma “modi” o “relazioni” per riprendere la nota terminologia “lockiana” (mi si perdonino questi riferimenti filosofici). Infatti se accettiamo quello che tutta la letteratura ci dice sul curricolo, ci troviamo sempre di fronte a dei NON: non sono le Indicazioni, non sono gli obiettivi, non sono le finalità, non sono i contenuti. E allora “cosa” sono? Al massimo possiamo dire che sono dei “percorsi”, ma se sono dei percorsi, significa che all’inizio sono dei “modi” (sempre in senso lockiano) di organizzare l’insegnamento in vista degli gli obiettivi di apprendimento relativi a determinate “competenze”; questi sì reali, e verificabili. Ma il “percorso” è una via, una situazione di apprendimento, vale a dire un insieme di “tecniche” di “strumenti” e anche di contenuti, che possono valere in una situazione e non in un’altra. Certo i “percorsi” possono essere descritti, ma poiché sono riferiti tipici di un certo “territorio” essi valgono per quel territorio e non per altri.
Si può dire allora che progettare curricoli significhi tutto sommato progettare “ambienti di apprendimento”? Sì, a patto che in tali “ambienti” ci siano dei “contenuti culturali”, vale a dire delle conoscenze o delle attività legate a un particolare ambito di saperi. E questo vale soprattutto per i livelli di scolarità più elevati, laddove la scelta dei contenuti o delle attività non può essere arbitraria, ma deve corrispondere a determinati obiettivi.
Si dovrebbe approfondire il discorso riguardante il rapporto tra curricoli disciplinari, che hanno a che fare con abilità e competenze senza vincoli contenutistici, e altri per i quali certi contenuti sono se così si può dire vincolanti. .Tralascio per il momento tale questione, che diventa estremamente complessa per discipline come ad esempio la storia o le altre discipline che hanno avuto sempre nella nostra scuola un impianto di tipo storicistico (letteratura, filosofia, ma io aggiungerei le stesse discipline scientifiche a cui non dovrebbe mancare anche la dimensione storico-sociale)
Tornando alla metafora del “percorso” e dei “mezzi di trasporto” è evidente che questi ultimi possono essere adattati anche a percorsi diversi, si possono in sostanza dare esemplificazioni che servono in contesti simili o anche diversi, purché adattabili. Ecco che si possono esemplificare varie tipologie di percorsi, di strumenti o attività e sta al docente o ai docenti (nel caso di percorsi interdisciplinari) scegliere quello che si adatta meglio al proprio “territorio”
Le definizioni che si danno di curricolo nel famoso libretto a cura di Scurati ritorna sempre questa idea di “complesso integrato dell’esperienza scolastica” oppure della “organizzazione delle possibilità offerte dalla situazione scolastica” o di “modalità intenzionali di condurre e predisporre dei processi di trattamento formativo”
Ma se è così il curricolo lo ci costruisce man mano ed è quindi sempre in fieri. Lo si può progettare così come si progetta un viaggio, indicando il mezzo di trasporto, l’occorrente da portarsi dietro, sapendo quale è la meta, che si dovrà trovare in un “territorio” prestabilito dal curricolo di scuola o di classe. E’ qualcosa di diverso dalla programmazione classica, in quanto questa non si limitava a indicare semplicemente gli obiettivi da raggiungere ma poi si preoccupava di dare ai docenti gli strumenti, le metodologie e le modalità di verifica già prestabiliti. A differenza dei programmi, la programmazione attribuiva agli insegnanti il compito di ricercare sì i contenuti adatti agli obiettivi, ma indicava anche quali attività/contenuti potevano essere più indicate e quindi da attuare in classe. Penso al testo dei “curricoli di base” elaborati dalla Commissione De Mauro: per ogni disciplina subito dopo aver definito gli obiettivi di apprendimento ci si preoccupava di indicare “contenuti e/o attività”.
Le nuove Indicazioni vanno oltre: non solo non propongono contenuti o conoscenze (ma non sempre ciò accade; basti vedere il ricorso al verbo “conoscere” nelle Indicazioni ad esempio di storia) ma quanto agli strumenti si limitano a proporre un elenco di indicazioni metodologiche che vengono definite “ambiente di apprendimento”, mentre sulla verifica e la valutazione si può dire che … tacciano.
Il punto è proprio questo. Una volta indicati i traguardi di competenze, definiti gli obiettivi di apprendimento “relativi” a quelle competenze (seppure in maniera provvisoria per il momento!) cosa resta da fare per costruire i curricoli? Resta la progettazione dell’insegnante, quella particolare arte/scienza di cui i docenti dovrebbero disporre per poter progettare appunto i “percorsi”, le situazioni di apprendimento, le “attività” dei curricoli del 2001 una volta esplicitati e ora assenti.
In questo senso un curricolo di storia da progettare e quindi attuare in una zona cittadina o in campagna o in montagna, al nord o al Sud non può che rifarsi alle “occasioni” alle “situazioni” che quella data realtà possiede. E questo vale per tutte le discipline. L’importante alla fine è che il percorso sia adeguato alla situazione della classe o degli alunni, nonché al contesto, possibilmente in confronto con altri e soprattutto verificato nel corso degli anni per vedere se ha consentito di raggiungere quegli obiettivi di apprendimento previsti nelle Indicazioni. E’ un lavoro a cui i docenti sono preparati? Ne dubito; di qui nascono le ansie e le preoccupazioni dei docenti. Fino a un anno fa ai docenti era chiesto di costruire le “Unità di apprendimento”, mai utilizzate prima, indicando una particolare procedura, elaborata da un gruppo ben individuato e appartenenti a una unica Scuola di pensiero. Pochi in effetti l’hanno messa in pratica; la stragrande maggioranza l’ha rifiutata e in molti casi senza cercare di cogliere quanto era in continuità e quanto se ne discostava (il “peccato” originale di Bertagna era quello di voler superare il curricolo!)
Ora in nome della autonomia e della libertà dell’insegnamento, si lasciano i docenti “liberi” ma sostanzialmente privi di indicazioni operative.
3)
UNA IPOSTESI DI ”FORMAZIONE IN SERVIZO”
A parere del sottoscritto li si può aiutare in tanti modi. A parte la lettura e l’approfondimento dei testi proposti, credo sarebbe più utile proporre un inventario o un archivio di “percorsi” o esperienze realizzate, di buone pratiche, di “progetti” promossi in particolari situazioni. L’editoria scolastica dovrebbe proprio impegnarsi in questo senso, invece di proporre i soliti manuali.
I corsi di formazione previsti dalla Direttiva del 3 agosto, che dovranno ancora iniziare a livello delle scuole, si potrebbero svolgersi in due modi, fermo restando la necessità di “formare” preliminarmente dei formatori ai quali spetterebbe:
a) proporre modelli già sperimentati al fine di mettere i docenti nelle condizioni di costruirsi dei “curricoli” locali, basati appunto sulle situazioni presenti nel territorio, sulle particolarità delle singole classi e delle caratteristiche degli alunni. Attività quindi, contenuti, conoscenze che consentano di raggiungere attraverso gli OSA (sì si chiamano proprio così dal DPR 275/99, e non li ha inventati Bertagna) quelle competenze che le Indicazioni ci propongono. Senza dimenticare le “finalità educative” o, sempre tornando al Bertagna, gli “obiettivi formativi”, che non sono staccate, come avveniva nelle vecchie Indicazioni e confinate nelle cosiddette educazioni, ma interne alle varie discipline.
b) Una via ancora più proficua sarebbe quella di non cominciare con la “progettazione” dei curricoli, ma di esaminare a posteriori i “curricoli” attuati nel corso dell’anno appena trascorso o degli anni precedenti. Sì, perché la maggior parte degli insegnanti, anche quando si sono affidati agli strumenti tradizionali (libri di testo, schede) non hanno potuto rilevare volta per volta a posteriori quanto tali percorsi didattici siano stati fruttuosi (i cosiddetti curricoli “impliciti” che si tratterebbe di rendere “espliciti” senza timori o false modestie) .
In sostanza la mia proposta si potrebbe avvicinare (solo nominalmente però!) alla post-programmazione alla Boselli. Il “post” in questo caso è inteso nel senso letterale e cioè temporalmente successivo allo “svolgimento del programma”.
Di solito si propone agli insegnanti di presentare una relazione finale classica, nella quale sono indicati genericamente gli obiettivi raggiunti, che molto spesso coincide con il “programma svolto” Liberarsi della logica dei programmi non è facile: nella maggior parte dei casi non c’è corrispondenza tra il piano di lavoro iniziale, costruito sulle solite voci (obiettivi, strumenti, criteri di valutazione) e la relazione finale, che non è svolta in fretta prima degli scrutini da consegnare al preside o al Presidente di commissione. Difficilmente, salvo in qualche scuola elementare, ci si sofferma sul “lavoro” svolto durante l’anno , sugli obiettivi raggiunti e soprattutto sulle attività svolte, gli “strumenti” utilizzati. Molto tempo, giustamente viene dedicato alla valutazione degli alunni più che al proprio lavoro.
E allora ecco la proposta: alla fine di quest’anno (esami di III media permettendo) o all’inizio del prossimo anno si dedichino due/tre riunioni a livello disciplinare per confrontarsi e per confrontare se il “programma” svolto o meglio se le attività messe in atto nell’anno precedente hanno avuto o meno un riscontro rispetto agli obiettivi delle Indicazioni e se queste sono davvero realistici