12.02.2012
Innovare e
conservare
di Stefano Stefanel
La scuola italiana si è sempre appassionata al tema dell’innovazione, senza riuscire ad innovare né in maniera indolore, né in maniera significativa. In questi ultimi tempi tutto è tornato d’attualità per la nascita di un governo “tecnico” che dopo oltre dieci anni non affronta più i problemi della scuola da un punto di vista ideologico. Sui siti scolastici, nei blog, su facebook si leggono sempre più spesso inviti al Ministro Profumo a fare questo o quello, invettive sulla lentezza delle sue iniziative, critiche agli annunci cui poi non seguono atti. E via di questo passo. Nella scuola più sindacalizzata e di sinistra monta lo sbigottimento davanti al mantenimento dell’impianto gelminiano, giudicato perverso e privo di alcun valore e dunque eliminabile in un attimo. Il ricordo del modo con cui il Ministro Fioroni (con una semplice nota ministeriale) aveva liquidato il Portfolio della Riforma Moratti ha fatto ritenere che il Governo tecnico avrebbe agito in modo simile.
Un’analisi più attenta potrebbe far distinguere il personaggio Gelmini, piuttosto indifendibile da qualsiasi lato lo si guardi, da alcune scelte del centrodestra che hanno avuto carattere fortemente innovativo nel mondo della scuola. Ne cito due: l’aver invertito il trend occupazionale diminuendo il numero dei docenti e degli ata e quindi andando a toccare il tabù dell’organico come variabile indipendente del sistema; l’aver diminuito il tempo scuola in alcuni segmenti cardine del sistema (licei e istituti professionali). Credo sia stato molto superficiale liquidare tutto questo come un semplice cedimento di un Ministro debole (Gelmini) di fronte ad un Ministro allora forte (Tremonti) e favorevole alla diminuzione della spesa scolastica. Così come mi pare superficiale continuare a battere sul tasto del debole rapporto tra Pil e spese per l’istruzione senza confrontarsi con i dati internazionali relativi alle spese per il personale (in proporzione le più alte dell’area Ocse visto il rapporto tra numero degli occupati e numero degli studenti) e ai risultati scadenti dei nostri studenti a fronte di un tempo scuola alto come in nessun altro paese dell’Ocse.
Se la scuola è una “riserva di sinistra” allora forse è il caso di prendere atto che la destra, una volta al Governo, quella “riserva” abbia cercato di attaccarla introducendo una rigidità di sistema che la scuola non respinge (voti nel primo ciclo, tempo scuola non flessibile, contratti che tutelano i lavoratori ma non gli utenti, ecc.), accanto a innovazioni che non hanno la benedizione sindacale. Credo si debba prendere atto che il modello di centro destra tutt’altro che sconfitto non può essere battuto dalla mentalità sindacale, che ha come unico indirizzo l’aumento della spesa, l’aumento del tempo scuola, l’aumento dell’occupazione. Battere ancora su questi tasti, visti i risultati dei nostri studenti e le difficoltà dei giovani laureati a entrare con le loro lauree dotate di valore legale nel mondo del lavoro, significa non comprendere che l’innovazione sta altrove.
Per questo trovo molto interessante il ragionamento di Antonio Valentino (Reclutamento nel segno di Formigoni, www.scuolaoggi.org del 7 febbraio 2012) in quanto riesce a slegarsi da un’idea tutta sindacale che non si possano toccare tre elementi cardine del malfunzionamento scolastico: il sistema di reclutamento dei docenti, la mobilità dei docenti, la regionalizzazione del sistema dell’istruzione. La scuola del futuro, se non vuole essere travolta dal mondo che cambia, dovrebbe legare il reclutamento alla scuola e non al sistema nazionale; comprimere la mobilità sulle esigenze della scuola e non su quelle del docente o dell’ata; avere il coraggio di legiferare su base regionale così come pretende la Costituzione. La scelta di Formigoni è molto discutibile, ma va nella direzione dell’innovazione, anche se è un’innovazione che non piace alla sinistra e ai sindacati. La strada è quella di concorsi annuali organizzati da scuole o reti di scuole per l’immissione in ruolo continua per tutti i posti di diritto vacanti. Collegato a questo dovrebbe nascere un sistema di mobilità slegato dalle graduatorie e legato alle esigenze delle singole scuole. E tutto questo lo può disciplinare solo una legislazione regionale, così come prevede la Costituzione e così come già avviene nella Provincia di Trento.
Anche l’interessante articolo di Domenico Sarracino (La scuola ha bisogno di volare, www.edscuola.it, 4 febbraio 2012), depurato dalla speranza che il Ministro Profumo smantelli la parte della Riforma Gelmini che invece sembra condividere (diminuzione degli organici e del tempo scuola), chiede una spinta innovativa nella vita ordinaria delle scuole. Il problema è che coi metodi vecchi, le procedure ripetitive, la conservazione dell’esistente non si innova, ma ci si paralizza su pratiche ormai inapplicabili. E’ vero che le scuole hanno sempre più da fare e sono sempre più oberate da incombenze. Ma è anche vero che la "Bassanini 1" questo diceva chiaramente (“Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonchè gli elementi comuni all'intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente attribuite alle istituzioni scolastiche”, art. 21, comma 1 della legge 59/1997) ed è altrettanto vero che i margini di miglioramento dell’efficienza della pubblica amministrazione scolastica sono molto alti. Quello che è diventato impossibile è il collegamento tra l’innovazione e l’aumento della spesa; mentre è sempre più urgente intervenire su procedure (graduatorie, nomine, mandati di pagamento, monitoraggi, ecc.) immobili da decenni e portatrici di inefficienza.
Sulla questione del dimensionamento da tempo faccio alcune domande cui nessuno intende rispondere e che qui ripeto non sperando nella risposta, ma solo come memoria:
perché nessuno fa i nomi e i cognomi dei dirigenti scolastici di scuole di 300/400 alunni autori di grandi innovazioni o di grandi risultati con le loro piccole scuole?
perché ci sono dirigenti scolastici che seguono progetti didattici di grande valore anche se dirigono scuole molto grandi, mentre non è noto nessun micro-istituto che abbia portato innovazione al sistema?
perché noi dirigenti veniamo considerati inattendibili visto che siamo per molta parte reggenti su nostra richiesta e dunque testimonianza diretta che il dimensionamento per grandi numeri è naturale nell’ambito della funzione dirigenziale?