09.11.2008
La mozione
dell'opposizione
sull'integrazione degli alunni stranieri
Un commento di Aluisi Tosolini
Il Gruppo UDC SVP Autonomisti del
Senato è composto da 11 senatori, di cui tre a vita (Cossiga, Andreotti,
Colombo). Con l’esclusione della sud tirolese Helga Thaler Ausserhofer gli
altri sette membri del gruppo, più l’esponente del PD Di Girolamo, hanno
presentato, il 21 ottobre 2008, una mozione sulle problematiche legate
all’inserimento degli studenti stranieri nella scuola italiana (seduta n.
74, Atto n. 1-00042).
Con tutta probabilità la mozione, che è calendarizzata per la discussione
dell’11 novembre, è un tentativo di rispondere alla mozione Cota discussa,
votata ed approvata alla Camera il 14 ottobre 2008.
Alcune annotazioni sulla mozione D’Alia.
1.
La mozione UDC SVP Autonomisti, primo firmatario il capogruppo
D’Alia, evidenzia, ad una prima lettura, una conoscenza debole della realtà
di cui parla. Del resto nessuno dei senatori firmatari è esperto di
problematiche scolastiche ed educative. Nella premessa, ad esempio, non
viene citato in modo analitico nessuna ricerca o documento, ed anzi la
stessa prima frase (“il fenomeno
dell’immigrazione di bambini ed adolescenti stranieri nel nostro Paese ed il
loro inserimento nelle strutture scolastiche, secondo i dati forniti dal
Ministero dell’istruzione, università e ricerca, ha assunto dimensioni
notevoli e tali da incidere in maniera rilevante sulla normale attività di
insegnamento e di apprendimento”)
è in realtà imprecisa e vaga: di quali e quanti alunni si parla? In realtà
gli alunni stranieri inseriti nella scuola
italiana sono stimati per l’anno scolastico 2008/2009 in circa 640.000. Di
questi:
una buona parte è nata in Italia (più del 70% dei bimbi inseriti nelle scuole dell’infanzia; circa la metà di coloro che frequentano la scuola primaria);
un’altra parte consistente è giunta in Italia da anni e ha già appreso la seconda lingua;
circa il 10% del totale degli alunni stranieri è costituito da bambini e ragazzi di recente immigrazione, in situazione quindi di non italofonia.
Si tratta di circa 50.000 alunni (se si escludono i piccoli inseriti nella scuola dell’infanzia), la metà dei quali frequenta la scuola primaria, mentre la restante metà è distribuita fra scuola secondaria di primo e secondo grado. (i dati sono ripresi dal documento “Né separati, né invisibili” di Graziella Favaro del Centro COME).
E ancora, poco oltre, la mozione compie un lungo giro di parole cercando di sostenere la necessità della dimensione interculturale (“interscambiabilità delle culture al fine del raggiungimento del pieno inserimento dei minori nel contesto sociale in cui vivono”) senza mai citare il concetto di educazione interculturale o citare il documento dell’Osservatorio sull’educazione interculturale che proprio di questo tratta diffusamente.
2.
E quando la mozione sostiene un’idea assolutamente condivisibile (“il
compito di dare ordine ed equilibrio ai flussi migratori, con il necessario
discernimento, non può essere assegnato al sistema educativo”) lo fa
utilizzando un argomento non corretto (“Non si può fare la distinzione
tra allievi regolari e allievi irregolari nel campo dell’istruzione e della
formazione…”) e dimenticando la legislazione vigente.
3.
Venendo al dispositivo della mozione (ovvero “a cosa si
intende impegnare il Governo) va notato che gli impegni richiesti sono o
piuttosto vaghi oppure altro non fanno che richiedere di mettere in atto
iniziative ed interventi che di per sè sono già previsti dalle normative
vigenti.
In particolare:
a) il quadro dettagliato della situazione esiste già, basta chiedere a
qualche esperto di tirar fuori le carte;
b) le richiesta di maggiori risorse è sempre buona cosa ma occorrerebbe
essere più precisi sulla loro destinazione;
c) la formazione dei docenti in chiave interculturale è un costante impegno
delle scuole e del ministero. Caso mai il problema è il riconoscimento
economico del maggiore impegno dei docenti;
d) la diffusione delle «buone pratiche» delle scuole è anch’essa già oggi un
dato di fatto, soprattutto tra reti di scuole.
Sin qui, insomma, nulla di nuovo se non una generica perorazione ad un maggiore impegno.
4.
Ma veniamo agli altri impegno richiesti:
a) il primo chiede “un’equilibrata distribuzione degli alunni stranieri
in modo da evitare il concentramento degli stessi in un’unica sede”. Qui
non si capisce di che cosa si parli, se delle classi ghetto da evitare di
cui parla la mozione Cota o invece di plessi scolastici. Sono due cose
molto diverse e, pur essendo ovvio che si debbano evitare sia le classi
ghetto (cosa vietata anche oggi a legislazione vigente) che i plessi ghetto
in territori dove vi siano più sedi scolastiche, appare molto meno
plausibile sostenere che si debba evitare il concentramento di alunni
stranieri se questi vivono in una stessa realtà territoriale. In sintesi: è
necessario evitare plessi ghetto all’interno di una città ma se gli 80
alunni del piccolo paese X sono al 40% stranieri non si può certo pretendere
che metà di loro vadano a scuola altrove….
b) la seconda richiesta sottolinea la necessità di collegare scuola e
famiglia sostenendo anche l’apprendimento della lingua italiana da parte dei
genitori. In questa parte si sente pulsare uno degli elementi chiave del
pensiero politico dell’UDC: “…le famiglie, dove si svolgono le esperienze
più autentiche di vita”.
c) la successiva richiesta recita: “ripristinare le cosiddette «classi
aperte» in maniera da consentire, senza eccessi, il raggruppamento di alunni
bisognevoli di specifici interventi di insegnamento-apprendimento”. Qui
sinceramente non si capisce, tecnicamente, il senso della richiesta. Con
tutta probabilità la mozione intende proporre il mantenimento dei progetti /
laboratori di L2. Ovvero che si rispetti
cil omma 4 dell’art 45 del DPR 394/99: “Il
collegio dei docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei
singoli alunni stranieri il necessario adattamento dei programmi di
insegnamento; allo scopo possono essere adottati specifici interventi
individualizzati o per gruppi di alunni per facilitare l'apprendimento della
lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della
scuola. Il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua
italiana può essere realizzata altresì mediante l'attivazione di corsi
intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche
nell'ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l'arricchimento
dell'offerta formativa”.
d) l’ulteriore richiesta riguarda la necessità di
“arricchire i curricula di contenuti che abbiano riferimento alle
varietà culturali”. Ottima richiesta, perfettamente in linea con l’azione 7
del documento dell’Osservatorio Ministeriale “La via italiana per la
scuola interculturale”. Ma allora, perché non citarlo?
e) Ultima richiesta: “preparare approcci nel settore linguistico
integrati con le attività pratiche, differenziando, per il tramite della
mediazione di un docente specializzato, i programmi a seconda delle esigenze
degli alunni stranieri”. Cosa si chiede qui? Programmi separati invece
che classi separate? Non capisco. Davvero non capisco cosa concretamente
venga qui richiesto.
In conclusione
Ho come l’impressione che, ancora
una volta, il tema degli alunni non italiani sia soprattutto (solo?)
l’occasione (la scusa?) per l’ennesimo scontro / confronto politico.
Una mossa sullo scacchiere delle posizione politiche. Del resto è risaputo e
pluridimostrato che il tema immigrazione paga molto al borsino politico.
Forse sarebbe ora di uscire da questo ring per affrontare, tutti, le cose
come stanno. In modo tecnico prima che ideologico.