11.01.2009
Progettare il tempo pieno
di Stefano Stefanel
Il mondo della scuola italiana e l’opinione pubblica si
trovano a vivere da qualche mese all’interno di un dibattito che sta
assumendo toni surreali: da una parte ci sono coloro che vogliono
“difendere” il tempo pieno nella Scuola elementare, dall’altra quelli che
vogliono “generalizzare” il tempo pieno nella Scuola primaria. In entrambi i
casi si discute di oggetti che all’apparenza sono gli stessi, ma che invece
si riferiscono a due idee pedagogiche molto lontane, l’una desiderosa di
difendere con il tempo pieno l’assetto che la Scuola primaria italiana ha
assunto negli ultimi 30 anni, l’altra ossessionata di lascare un segno di
cambiamento accelerando la modificazione di assetti che già si stavano
modificando da soli.
L’idea di difesa porta con sé
la conservazione di un modello ritenuto vincente e semmai sottostimato. Il
concetto di doppio organico viene ancora vissuto dalle scuole come la
presenza di due persone fisiche nella stessa classe, mentre già da tempo
l’organico è funzionale e ragiona in termini di ore/scuola. Per chi vuole
difendere il tempo pieno non c’è allora nulla da progettare perché è già
stato tutto progettato e semmai bisogna programmare, settimanalmente, anche
in forma un po’ ossessiva, quasi che senza la programmazione settimanale il
sapere e le didattiche siano destinate alla sparizione.
L’idea di generalizzazione del tempo pieno, invece, coincide con il
presupposto che il modello da generalizzare sia quello delle 40 ore da
“stare a scuola”, una parte delle quali dedicate a “fare scuola” (24, 27 o
30) e un’altra a dedicarsi a oggetti educativi progettati. Si generalizza
una permanenza non un’idea, si generalizzano dei curricoli statici non una
progettazione integrata e personalizzata. Lo spezzettamento del tempo
scuola va nella direzione della generalizzazione senza molte sottigliezze:
era così per il 27+3+10 della Moratti, è così oggi per il 24,27,30,40 della
Gelmini.
In questo momento invece la Scuola primaria italiana avrebbe bisogno di un vero progetto pedagogico per il tempo pieno, che non sia la difesa della sua storia passata o il salto nel buio di una pedagogia sbrigativa. Ma se i tempi cambiano come fa la progettazione a restare la stessa? Questa è la domanda che mi pare venga elusa un po’ da tutti senza che ci si riesca a capacitare del perché una buona Scuola primaria (non la migliore del Mondo come qualcuno vaneggia, ma una Scuola comunque in linea con l’Europa) si trasforma nello “disastro” della Scuola secondaria italiana, che ora sarà anche in grado di produrre un ulteriore aumento della dispersione attraverso la nuova e popolare docimologia selvaggia” e male applicata.
A qualcuno prima o poi verrà in mente che la Scuola primaria italiana è una buona scuola anche perché è una Scuola che strema le qualità attentive dei ragazzi più deboli, che li spreme producendo quella selezione che poi appare solo alle secondarie e che cercando l’uniformità e non la personalizzazione produce troppi alunni di Scuola secondaria privi di una consistente autonomia? La Scuola primaria italiana non ha saputo imporre il suo progetto alla secondaria e le patetiche azioni di continuità sono sfociate in ampi margini di dispersione. C’è una didattica primaria, ma non un progetto didattico; c’è un’azione di tutoraggio diffuso fatto di controllo, motivazione, coinvolgimento, uniformità, compresenze che poi si trasferisce nell’abbandono della frammentazione di una secondaria in cui sono più consistenti i saperi inutili che quelli utili, legato tutto com’è non alle esigenze del mondo che cambia, ma alla garanzia dei posti di lavoro determinati dalle classi di concorso e del loro ottuso spezzettamento di saperi trasversali.
Le modifiche legislative di questo sciagurato fine 2008 hanno preso di mira l’eccesso di docenti nelle primarie, mentre le sacche di eccesso sono nella secondaria: troppi docenti, troppe materie, troppe classi di concorso, troppi voti. La Scuola primaria non ha saputo progettare perché sta programmando da più di vent’anni i Programmi del 1985. Le azioni della Scuola primaria italiana, soprattutto a tempo pieno, sui curricoli sono quasi inesistenti, mentre è quello il luogo della progettazione necessaria. Saperi essenziali, nuclei fondanti, curricoli pluridisciplinari, transdisciplinarietà dei saperi, commistione dei generi, didattica per competenze, obiettivi formativi: in questi campi doveva agire la progettazione, ma ora è tardi, è emergenza, ci sono le iscrizioni e tra dieci giorni bisogna avere pronto il Progetto “vincente” per il tempo pieno. Dopo vent’anni passati a progettare saperi che si disfacevano ora in dieci giorni bisogna definire curricoli, nuclei, quadri orari, tempo integrato? Mi pare un lavoro eccessivo anche per la migliore scuola del Mondo e l’italiana non lo è.
Se ci fosse tempo o se la scuola lo volesse prendere quel tempo per smettere di girare attorno ai problemi per cominciare ad affrontarli alcune cose si potrebbero fare, partendo da quel documento eccellente che sono le Indicazioni per il curricolo della Commissione Ceruti, che ormai sta andando verso i due anni di vita. Si potrebbero o forse dovrebbero fare molte azioni e alcune le elenco senza una logica sistematica:
ridefinire i quadri orari della Scuola primaria attivando una compensazione reale a favore dell’Italiano e della Matematica;
utilizzare tutte le ore di organico possibile per l’inglese attingendo anche ai docenti degli altri ordini di scola (e questo negli Istituti comprensivi è possibile);
non dividere più la Storia dalla Geografia, ma riconoscerle come lo sfondo culturale del nostro tempo;
definire il tempo che i bambini devono dedicare alla scuola e capire che il tempo pieno deve ridurre i compiti per casa a spazi precisi, definiti, non uguali per tutti (i meno bravi ne devono avere di meno);
capire che dopo pranzo si è stanchi;
cercare azioni realmente verticali apprendendo finalmente dalla Scuola dell’infanzia i concetti di sfondo integratore e ambiente di apprendimento;
capire scuola per scuola quando un alunno è competente e quando solo abile, perché a quel punto se non si sviluppano competenze è meglio allenare le abilità che verranno richieste nell’ordine di scuola successivo;
capire le esigenze delle famiglie, ma anche quelle dei bambini e ragionare sui tempi di apprendimento e gli stili, senza giocarsi nei cinque anni di Scuola primaria tutto il bonus di attenzione, pazienza, motivazione come spesso purtroppo succede.
Bisognerebbe progettare senza fretta, sperimentando e misurando, andando alla ricerca di quel valore aggiunto che fa della scuola il luogo unico della cooperazione, dell’apprendimento e della socialità positiva.