08.10.2012
Sprecare diciottenni
di Stefano Stefanel
Una cosa balza agli occhi di chi entra in una nostra scuola secondaria di secondo grado: che i diciottenni e i diciannovenni sono trattati come i dodicenni delle medie. Mentre in tutto il mondo un diciottenne/diciannovenne frequenta l’Università, le scelte di una vita, la libertà e l’autonomia, nella scuola italiana non esce dal binario (“triste e solitario” ?) della campanella, del banco, dei compiti in classe, dei libri di testo, delle interrogazioni,ecc. Il diciottenne/diciannovenne italiano che frequenta la quinta di una scuola secondaria italiana ha i mente soprattutto due cose: l’esame di stato e il suo futuro. Diventa dunque difficile comprendere perché la scuola non lo aiuti a lavorare attorno a questi due obiettivi e lo costringa a rimanere tuttologo, a subire interrogazioni e compiti in classe, a doversi alambiccare sulla “caccia al credito”, a dover portare i quaderni della giornata e il materiale per “fare ginnastica”. Mi pare che tutto questo sia un colpevole spreco di una gioventù fiduciosa, che va verso periodi difficili e scelte complesse. Per chi non è abituato vedere diciottenni trattati come dodicenni tutto questo fa molto effetto, perché indica che ancora una volta la scuola si colloca per molte sue pratiche fuori dal tempo. Mentre la scuola, infatti, dibatte di competenze, decreti Aprea, autonomia, didattica per competenze, assi, saperi di cittadinanza, rapporto con la multimedialità, scuola 2.0 tratta i suoi ragazzi più importanti come studentelli alle prime armi, che se non vengono ingabbiati in un banchetto spesso angusto di una classe troppo spesso piccola non si sente realizzata.
LA QUINTA COME PRIMO ANNI UNIVERSITARIO
L’osservazione che mi viene spontanea è che la quinta dovrebbe essere il primo anno vissuto come universitario, così come si fa nel resto del mondo. Tra l’altro nel resto del mondo dai 16 anni in poi non esiste curricolo che non sia flessibilizzato dalle scelte, mentre il nostro prevede una scelta iniziale che rende poi tutto obbligatorio. Il diciottenne che diventa diciannovenne è un adulto che sa fare le sue scelte, che ha forti interessi, che decide il suo destino.
Esiste un CREDITO 25 massimo da raggiungere? Bene, la scuola dica come si raggiungerlo e lo studente decida di conseguenza. Se vuole tentare di raggiungerlo si sottopone a tutti i passaggi necessari, sennò viene lasciato in pace a prepararsi alla prova finale nel modo in cui lui ritiene migliore. Se per raggiungere quel 25 bisogna seguire il binario (campanella, banchetto, auletta, libri di testo, ecc.) lo studente saprà in che scuola si trova e deciderà se impegnarsi per quel 25 o iniziare a fare altro accontentandosi di un 14. Credo che la sfida della modernità sia una sfida sull’autonomia e che le scelte vadano anticipate per evitare che quando sono fatte sia ormai tardi.
Davvero qualcuno ritiene che un diciottenne/diciannovenne teso per l’esame di Stato tragga giovamento da interrogazioni su materie non d’esame ai primi di giugno? E davvero si pensa che sia normale interrogare qualcuno a giugno quando deve fare un esame impegnativo di lì a venti giorni? Quando mai succede una cosa del genere all’Università? O nella vita? Una cosa sono le simulazioni, gli allenamenti, le preparazioni, una cosa sono le interrogazioni con le “domande delle cento pistole” già obsolete alle scuole secondarie di 1° grado, ma fuori dal mondo in quelle di 2° grado. Si scambia un percorso difficile, che è sempre utile per la crescita, con il disciplinarismo spinto fino alla sua dissoluzione. Infatti ai primi di luglio di disciplinarismo onnisciente diventa scelta di indirizzo universitario.
SELEZIONARE O ACCOMPAGNARE
Gli studenti che hanno raggiunto la quinta una certa selezione già l’hanno superata. Non mi pare gran cosa continuare a tenerli sul filo, quando lo scopo è un altro. Come non mi pare accettabile valutarli per tutto l’anno in decimi e poi all’esame valutarli in quindicesimo o trentesimi. Il DPR 122/99 parla di trasparenza nella valutazione: dove sta la trasparenza in scale che cambiano nello stesso anno scolastico? E come la mettiamo con i mezzi voti (5 e mezzo, 6 e mezzo) che non corrispondono a nessun punteggio dato all’esame. In realtà la scuola secondaria italiana pare appassionata a selezionare soggetti che ha contribuito ad orientare in forma erronea (facendo troppo spesso coincidere orientamento e marketing), mentre vive con un certo fastidio l’accompagnamento del soggetto verso il suo obiettivo.
Si conoscono le reazioni ai 100 e lode di alcune scuole del sud, ma poi ci si comporta in maniera simile, legando la valutazione finale ad un rapporto di adesione dello studente ai percorsi proposti, quando poi l’Università dicenta in regno dell’individualità. Perché non usare la quinta come anno di passaggio, in cui lo studente studia e frequenta per scelta e per interesse, in cui si trattano gli adulti da adulti e non da bambini e in cui si sperimenta una reale logica curricolare dove serve ed addestrativa dove è necessario?
La seconda prova d’esame non si improvvisa e necessità di forti abilità addestrate. Ciò non toglie che la matematica o l’elettronica o le altre discipline non si possano ridurre ai contenuti della seconda prova. Un buon quinto anno dovrebbe prevedere forti elementi addestrativi accanto a iniezioni di competenze che prescindano dall’esame di stato. E questo vale per tutte le discipline. Poiché è un falso culturale che si possa redigere un saggio breve senza poter consultare le fonti, l’alunno va addestrato al “saggio breve mnemonico”, ma va anche confermato nella competenza di redigere un saggio controllando le fonti. E così via. Io credo che in Italia si stia buttando via del tempo, sprecando diciottenni e non chiedendosi se sia ancora sostenibile un anno di scuola a diciotto/diciannove anni con metodologie proprie della prima media.