15.12.2008
Tempo pieno e tempo lungo: l'inganno "bipartisan"
di Pasquale D'Avolio
Le ultime vicende riguardanti la Scuola primaria, dal maestro unico ai voti numerici et alia, hanno rivelato una singolare concordanza tra gli schieramenti sull’esigenza di salvaguardare il “tempo pieno”
Si tratta come è noto di una concordanza solo sul “ tempo” (40 ore) non sul “pieno”: pieno di che? Per qualcuno tempo pieno vuol dire “tempo lungo” onde consentire alla famiglie di affidare i propri bambini alla scuola anche nel pomeriggio, per gli altri è qualcosa di ben diverso e ci si richiama giustamente alla legge 820 del 1971 con i suoi presupposti culturali e pedagogici. Anche all’epoca non si tacevano gli aspetti “sociali” della questione, ma essi erano comunque subordinati all’altro discorso, che era un discorso di “qualità” del tempo scuola. Sin da allora comunque si avvertivano alcune discrasie tra i principi dichiarati e la realtà delle scuole. “In molte realtà il doppio organico è fittizio, con una netta demarcazione tra curricolo (e insegnante “forte”) del mattino e curricolo (e insegnante “debole”) del pomeriggio” rimarcava Cerini in un fondamentale articolo sulla storia del tempo pieno. “La realtà, avverte lo stesso Cerini, “anche nel dopo riforma, è la persistenza di due modelli alternativi di tempo scuola, con il rischio di veicolare una stratificazione sociale degli utenti” per non parlare del problema dei costi come “ l’eccessiva quantità di risorse necessarie per far funzionare un tempo pieno “classico” nei piccoli plessi, con pochi alunni per classe”[i]
Tutti problemi che ci siamo trascinati nel tempo fino alla Riforma Moratti, che metteva in discussione per la prima volta il modello “classico” del tempo pieno, ripristinato, come è noto, dall l'art. 1 della legge n.176 del 25 ottobre 2007, Ministro Fioroni.
Ora, a
parte qualche “nostalgico” della vecchia guardia, l’attenzione viene rivolta
essenzialmente alle conseguenze sociali che deriverebbero dalla soppressione
o dalla riduzione eventuale del tempo pieno. E’ vero che nell’accordo
Governo-Sindacati sono stati messi dei paletti abbastanza precisi, in quanto
è stata ripristinata l’espressione classica che non compariva nei documenti
precedenti nonostante (“tempo pieno” e non 10 ore aggiuntive) e si è
precisato che i maestri devono essere due (ma poi ne saranno forse quattro o
cinque come adesso), salvaguardando così la collegialità, ma si può dire che
questo basta per rassicurare quanti hanno sempre pensato al tempo pieno nei
termini appunto della legge istitutiva? Ho dei dubbi. I dubbi derivano
dall’esperienza di questi ultimi anni e da quanto per esempio è
avvenuto a Milano, dove, ho letto, i Sindacati e le famiglie hanno accettato
di diminuire le ore di “compresenza” pur di permettere il mantenimento o l’
estensione delle classi a tempo pieno.
Risulta quindi prevalente l’esigenza sociale rispetto a quella didattica, e
trattandosi di un problema molto serio per i riflessi anche
politico-elettorali, si capisce che sia la Gelmini che lo stesso Berlusconi
abbiano sempre rassicurato le famiglie che il tempo pieno (cioè il tempo
lungo ) non sarebbe stato toccato.
A questo
punto mi aspetto che le famiglie non protesteranno più e le OOSS faranno
buon viso a cattivo gioco, tanto gli organici verrebbero comunque
salvaguardati. Ma è vera “vittoria”?
Come dice giustamente Gandola in un suo intervento su “Scuola oggi”, le
caratteristiche essenziali del tempo pieno oltre al doppio organico (che
sembra venga mantenuto) erano l’unitarietà del progetto educativo,
vale a dire l'unitarietà didattica tra mattino e pomeriggio,
la contitolarità dei docenti, che comporta la corresponsabilità nelle
decisioni, la programmazione didattico-educativa di team, e innanzitutto
le ore di "compresenza" dei due docenti contitolari, più,
aggiungo io, le ore di programmazione, fondamentali ovunque. Queste
caratteristiche peculiari del tempo pieno già prima erano affievolite (vedi
quanto richiamato prima) e verranno definitivamente abolite secondo quanto
ha precisato la Gelmini dopo l’accordo dell’11 dicembre. E allora?
A questo punto mi sento di affermare
provocatoriamente che se vogliamo effettivamente salvare il “tempo pieno”,
quello vero, occorre distinguere il grano dal loglio: se il tempo pieno è
una modalità innovativa di tipo sperimentale esso non può discendere da
motivazioni sociali o da esigenze di tipo occupazionale per i docenti. Se si
ritiene che il modello non sia universalizzabile, (non solo per ragioni
finanziarie, ma perché richiede un impegno particolare che solo un team
motivato e preparato sul piano pedagogico-didattico può garantire), facciamo
in modo che esso venga riconosciuto e autorizzato sulla base di precise
condizioni, come quelle previste nella legge istitutiva. Qualora non si
verifichino le condizioni precedenti, sono per il classico DOPOSCUOLA, a
carico degli Enti locali e delle famiglie. Non vedo perché il doposcuola,
che esiste già in molte realtà, debba essere pagato dalle famiglie e il
cosiddetto “tempo pieno” (che spesso è ben altro) debba essere gratuito.
Non capisco perché per gli asili nido nessuno si ponga il problema di un
sostegno pubblico (le rette arrivano a 5/600 Euro) e per le elementari sì.
Non capisco perché i bambini di Milano (il 95%) abbia diritto a 2 maestri e
quelli del Sud a un unico maestro. Poiché gli organici sono definiti a
livello nazionale, ciò comporta una evidente ingiustizia a vantaggio delle
scuole cittadine del Nord.
Giustamente lo stesso Gandola propone di “fare il tagliando” alle scuole a
tempo pieno in maniera da verificare se rispettano quei requisiti. Il
problema è chi fa il “tagliando” e cosa succede dopo. Sono convinto che di
scuole a tempo pieno ne rimarrebbero meno della metà. Ecco che allora per le
altre la soluzione prospettata (quella del doposcuola) non sarebbe assurda.
In questo modo sì che si potrebbe mantenere l’attuale assetto didattico,
consentendo a TUTTE le scuole delle ore di “compresenza” o
“contemporaneità”
Su questo punto la Gelmini è stata abbastanza chiara e in un incontro avuto
al Ministero, al quale ero presente come rappresentante dell’UNCEM, un alto
Dirigente del MIUR lo ha detto papale papale: le compresenze sono uno speco.
Al di là del giudizio abbastanza discutibile (ma non in tutti i casi) è
chiaro che per avere le compresenze “vere” la questione degli organici è
fondamentale.
Così per salvaguardare il tempo pieno laddove esso c’è già, anche laddove
esso si è ridotto a semplice tempo lungo, a soffrirne sarebbero tutte le
classi a tempo normale, dove le compresenze scomparirebbero del tutto.
So che la mia posizione è impopolare soprattutto al Nord, ma qui la
battaglia non è per salvaguardare dei “privilegi”, ma per garantire a tutti
(non uno di meno) la qualità della Scuola.
Propongo pertanto che le scuole che vorranno attuare il “tempo pieno”
presentino un progetto didattico conforme agli indirizzi della 820, che tale
progetto venga vagliato e monitorato e si valuti seriamente quali sono le
caratteristiche didattiche, spulciando quelle di semplice “custodia” dei
bambini.
[i] CERINI : “Mitico” tempo pieno, in www.edscuola.it, sezione “Riforme”