07.10.2012
Invalsi:
una sentenza da discutere
di Marco Barone
Intervengo in merito alla Sentenza 212/2012 del Tribunale del Lavoro di Trieste depositata in cancelleria il 29 agosto 2012 , una sentenza che affronta la questione inerente la problematica delle prove Invalsi nella Scuola Pubblica Statale italiana, che in questi giorni ha trovato diffusione in molti siti nazionali specializzati sulla scuola, riviste ecc.
Questo argomento mi vede coinvolto personalmente per due ordini di motivi.
Il primo è strettamente legato alla Sentenza, poiché sono stato io a curare il ricorso che è stato rigettato dal Giudice del Tribunale di Trieste, ricorso che comunque attende, per motivi di diritto, anche se nato da vicende diverse, altri pronunciamenti in altri tribunali italiani, il secondo, perché insieme alla mia organizzazione Sindacale, i Cobas, mi definisco una piccola goccia nell’oceano sempre più tempestoso e condiviso, non demagogica, ma semplicemente ideale e pragmatica, che insieme a docenti, studenti, genitori e semplici cittadini si è battuta, si batte e batterà ancora contro tutto ciò che rappresenta il sistema Invalsi, ovvero un sistema che condurrà la Scuola nella direzione della concorrenza, del “merito” e del profitto.
Parto da un piccolo esempio che può ben spiegare di cosa stiamo parlando.
L'Invalsi, Ente Pubblico di Ricerca, tramite una normativa confusa che non si concilia con la complessità del quadro giuridico vigente nel sistema scolastico, nella maggior parte delle sue prove, che si svolgono in certe date, comporta l'interruzione dell'attività didattica ordinaria, avvalendosi dell'attività lavorativa del personale docente, che in quel momento dovrà interrompere il proprio lavoro, per automatizzare la sua professione, una automatizzazione che con tanto di cronometro e parole da ripetere a memoria, come imposte dal manuale del somministratore, denigra la dignità professionale del lavoratore, il quale dovrà distribuire e correggere quelle prove che avrebbero la pretesa di verificare la preparazione degli studenti frequentanti la scuola italiana con riflessi futuri sul valore complessivo, in termini di profitto, della stessa scuola. Prove che comportano una discriminazione sociale verso gli studenti sia diversamente abili che con disturbi di apprendimento, prove che indirizzano la risposta verso quella che il sistema vuole che sia la risposta e che conseguentemente compromette la libertà d'insegnamento. Perché se potenzialmente le risposte corrette su quattro domande sarebbero tre, solo una di quelle tre è, per il sistema, quella giusta.
Ed è chiaro che lo studente dovrà essere preparato e formato affinché al momento del test-quiz risponda correttamente per l'Invalsi, ma non è detto che quella risposta sia corretta per la comunità.
Intanto continua il business dei libri, cd e programmi che vogliono preparare gli studenti, ma anche i docenti, alle prove dell'Invalsi.
E poi quale
merito? Chi decide i criteri fondanti il merito? Chi valuta colui che dovrà
valutare? Per non parlare del fatto che queste prove, oltre che porre in
competizione anche i bambini sin dalle scuole elementari, non tengono
assolutamente conto delle difformità territoriali e sociali esistenti, tra
rione e rione, tra città e città, tra regione e regione. Prove omologate,
standardizzate, che condizionano e condizioneranno la formazione di intere
generazioni.
Premesso ciò, occorre ricordare che la prima battaglia è e deve essere
prevalentemente culturale, sociale, didattica, e non legalitaria, strada che
comunque andava tentata, poiché opporsi ad un sistema potente come quello in
itinere, è ardua cosa, ed il diritto prosegue per quella strada che non
sempre coincide con l’essenza della legittimità.
Veniamo al dunque
della citata sentenza.
Una causa caratterizzata da due sole udienze con due Giudici diversi.
Il primo è stato trasferito, il secondo affronterà la questione con una
udienza di discussione non superiore ai 13 minuti ed un ritiro in Camera di
Consiglio di pochi minuti.
Insomma 15 minuti per decidere su una vicenda complessa, articolata, annosa,
contorta e non certa.
15 minuti per imporre un dispositivo che rigetterà il ricorso e condannerà
la ricorrente alle spese processuali.
15 minuti per l'Invalsi .
E pensare che una volta il lavoratore era la parte debole e tutelata, che
erano rarissimi i casi ove la condanna alle spese processuali poteva
maturare, ma che ora è divenuta prassi basilare e di mero monito per tutti i
ricorrenti , i quali devono sapere che far valere la pretesa di un diritto
in Tribunale e non certamente in via temeraria, può comportare la condanna
alle spese.
Eppure la sola complessità della vicenda era da sola idonea a soddisfare
almeno una compensazione delle spese processuali, ma così non è stato.
Confido nel fatto che il MIUR abbia l'accortezza di non pretendere il
pagamento di quelle spese processuali, per questioni non tanto di diritto,
ma di mera etica.
Il caso parte da una vicenda eloquente. Una docente si vedeva imposto
formalmente quanto segue:
“ lascerà la classe e rimarrà a disposizione dell'Istituto per eventuali necessità della scuola inerenti alla funzione docente,e, al venir meno di questa condizione, dopo essersene accertata, potrà lasciare temporaneamente l'Istituto per riprendere servizio successivamente secondo il consueto orario di lezione”
Ordine di
servizio che si commenta da solo a cui comunque veniva prestato formale
rimostranza e diffida e che veniva impugnato in Tribunale.
Cosa accadeva nel giorno delle prove?
In sostanza alla docente veniva impedito fisicamente di entrare nella “sua”
classe e nel suo giorno lavorativo per apporre la firma sul registro ed
effettuare lezione. Innanzi a tale comportamento ed all'umiliazione ed alla
lesione della propria dignità professionale, la lavoratrice pativa uno
stato d'ansia tale che le comportava un malessere da cui derivava una
prognosi di alcuni giorni di malattia.
Tutto confermabile in via testimoniale oltre che documentale, e nella
sostanza non smentito da controparte.
Ma i Testimoni non venivano ammessi dal Giudice e nessun danno reale poteva,
dunque, essere compiutamente provato , nonostante la realizzazione dello
stesso e la documentazione medica prodotta.
Il danno morale (risarcibile in base all’art. 2059 c.c.)
consiste, per buona parte della giurisprudenza, nello stato di sofferenza,
nel “patema d’animo” passeggero, momentaneo, conseguente all’evento lesivo
subito. Il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del
danneggiato, alla afflizione emotiva circoscritta in un breve lasso di
tempo, che rende più difficoltoso il momento di vita della persona, ma che
non ne impedisce il proseguimento in nessuno dei suoi aspetti basilari. Il
risarcimento del danno morale viene perciò definito pretium doloris,
o pecunia doloris.
Dunque, cosa decide il Giudice?
Che Alla luce del quadro normativo
sinteticamente richiamato( nella sentenza) si può
dunque ritenere che l'effettuazione di
rilevazioni periodiche e funzionali al
monitoraggio dello standard qualitativo e
del miglioramento del sistema scolastico
è previsto dall'ordinamento in capo al
Ministero della pubblica istruzione che
ne dispone e cura lo svolgimento
anche avvalendosi di un ente
strumentale, l'Invalsi, le cui competenze
sono del pari normativamente previste
proprio con riferimento allo svolgimento,
tra le altre, delle funzioni di
rilevazione di cui si discorre. In
relazione a tale funzione non risulta
sussistere alcuna competenza decisionale in
capo al singolo istituto ed in
particolar modo al Collegio docenti in
ordine alla scelta di effettuare o
di non effettuare le prove di
cui di discorre. Nè sussiste un
residuo margine decisionale sull'an
dell'effettuazione delle rilevazioni di cui
si discorre in capo al Collegio
docenti del singolo Istituto. Infine, secondo il
Giudice, l'articolo 7 del dlgs 297/94 non prevede alcuna competenza al
collegio docenti dalla lettura del detto articolo in relazione allo
svolgimento delle prove di cui si discorre.....L'unica cosa che potrebbe
riconoscersi al collegio docenti è solo una funzione
propositiva di modalità organizzativa per
conciliare lo svolgimento delle rilevazioni
di che trattasi con l'ordinaria
attività didattica,ma giammai in ordine
alla decisione sullo svolgimento o meno
delle stesse, come pretenderebbe parte
ricorrente...
Dunque il Giudice afferma che si può e non che si deve ritenere la rilevazione delle prove considerate in capo al Ministero che si avvale dell'Invalsi e conseguentemente il Collegio Docenti non può pronunciarsi né sull'an, né sullo svolgimento delle dette prove, ma solo sulle modalità organizzative, ed infine non afferma che le prove dell'Invalsi sono attività didattica. Anzi lo stesso Giudice rileva che il Collegio Docenti avrebbe una funzione di prospettiva per conciliare lo svolgimento delle rilevazioni di che trattasi con l'ordinaria attività didattica.
Quindi, quel si può e non si deve, da cui discende la presunta non competenza del Collegio Docenti, è una importante chiave di lettura, poiché il Giudice conferisce una indicazione in tal senso e non una certezza. Ed infine, non essendo le prove attività didattica è chiaro che non possono interrompere l'attività didattica e come si devono porre allora con l'attività didattica? Con il normale corso dell’attività di insegnamento? Invalsi ed attività didattica restano due cose, come denunciavo in passato, separate, distinte e non certamente compatibili.
Altro punto interessante della Sentenza riguarda la questione dell’attività funzionale. Un Giudice che fa propria una tesi del’USR del Friuli Venezia Giulia, che contrasta con le indicazioni fornite dal Ministero. Infatti, si deve sottolineare che una nota della Direttrice dell'U.S.R per il F.V.G del 22 aprile 2011, n° prot. AOODRFR-5759, disponeva in sostanza che le prove dell'Invalsi dovevano essere intese come attività rientranti tra gli obblighi contrattuali previsti dall'articolo 29 del CCNL comparto scuola, che pertanto non assumano carattere di attività aggiuntiva e che nessuna retribuzione aggiuntiva era dovuta. Mentre la nota 2792 del 20.4.2011,della dott.ssa Palumbo sosteneva il contrario ovvero che le dette prove devono essere in sostanza considerate come attività aggiuntive e non funzionali all'attività docente.
Il Giudice afferma che l'attività di somministrazione e correzione delle prove Invalsi ben può farsi rientrare tra le attività previste dall'articolo 29 del ccnl scuola vigente, essendo tale attività inquadrabile come attività funzionale all'insegnamento, ovvero come attività di vigilanza sugli studenti del pari doverosa ex articolo 29 comma 5, con riferimento alla fase di somministrazione in orario di ordinaria attività.
Dunque, anche in
questo passaggio si rileva il carattere del può e non del si deve.
Quindi, si fornisce indicazione, ma non certezza vincolante, ed anche
su questo punto si rimarca il fatto che le prove non sono attività
didattica. Rimane in piedi tutto il discorso sull'attività aggiuntiva e
sul carattere non di attività funzionale di queste prove in relazione alla
mansione del docente.
Infine il Giudice conclude dicendo che si deve evincere l'obbligatorietà
dello svolgimento delle prove dell'Invalsi nell'istituzione scolastica e per
il singolo docente, senza che il collegio docenti abbia alcuna competenza in
ordine alla decisione sul loro espletamento.
Questo passaggio, che è quello conclusivo, afferma il principio della
obbligatorietà delle prove dell'Invalsi nella singola scuola e la non
competenza del collegio docenti a deliberare sull'espletamento o meno delle
prove, salvo, come evidenziato nella parte motiva, pronunciamenti sulle
modalità organizzative.
Dunque, a parer mio, nel rispetto dell’autonomia scolastica e dell’attività
didattica, non essendo le prove dell’Invalsi attività didattica e rientrando
al limite, invece, nell’attività extrascolastica -salvo il caso dell’esame
di Terza Media- potrebbero queste essere svolte in attività pomeridiana,
fuori dai locali scolastici, con il solo operato del personale Invalsi.
Tenendo altresì conto, che, ad oggi, gli studenti ben possono rifiutarsi di
svolgere queste prove -con l’unica eccezione della prova di esame poiché
nessun obbligo emerge per loro, poiché nessuna sanzione può essere loro
comminata, non essendo le dette prove utili per la valutazione del singolo
studente, così come i docenti, trattandosi di attività aggiuntiva, cosa non
smentita dalla sentenza di cui trattasi, possono effettuarle solo su libera
disponibilità.
Ribadisco quanto espresso in premessa, la battaglia deve continuare lì ove
oggi è risultata essere vincente, ovvero sul sistema Invalsi, sull’aspetto
sociale, sulla discriminazione, sull’omologazione e standardizzazione sia
dell’insegnamento che dell’apprendimento degli studenti, l’Invalsi andrà
contrastato con tutti gli strumenti ritenuti legittimi, dallo sciopero al
boicottaggio, con il coinvolgimento di genitori, studenti e docenti e
cittadini.