01.01.2009
La matita rossoblù
di Maurizio Tiriticco
“C’è una fase in cui l’alunno è
così impegnato nell’attività comunicativa, nella
codificazione-decodificazione dei significati che sarebbe inopportuno
interrompere la sua tensione con interventi, commenti marginali, di tipo
tecnico. Questo non significa trascurare l’errore, lasciarlo correre;
significa rimandare la discussione e correzione ad un secondo tempo, quando
il fanciullo si è fatto capire e ha capito. Allora è giusto correggere gli
errori che l’alunno ha commesso, valutandoli in rapporto alla sua maturità
linguistica, al tipo di testo, al livello di comunicazione, all’esistenza di
convenzioni, alla situazione extralinguistica in cui la comunicazione è
avvenuta”.
Così si esprimono i programmi dell’85 a proposito della lingua italiana.
Ovviamente si tratta di osservazioni che vanno oltre l’apprendimento
linguistico ed oltre – direi – la fascia d’età dell’alunno: al limite,
investe anche l’apprendimento adulto.
E’ di questi giorni la polemica sulla opportunità o meno della matita rossoblù, o meglio della correzione degli errori in cui cade chiunque stia apprendendo qualcosa di nuovo, da una lingua straniera al nuoto, allo sci, al pianoforte. Io stesso che sto scrivendo questo pezzo, non posso sottrarmi ad una attività autocorrettiva, che è in itinere, ma che è anche successiva e si conclude con quella “pettinatura” – per dirla in gergo – per rendere il testo debitamente formattato e accettabile anche dal punto di vista grafico. La scrittura digitale in questo ci aiuta moltissimo: grassetti, corsivi, interlinee, taglia e incolla, sono sempre poco praticabili con l’uso della carta/penna…! Per non dire dell’aiuto che mi viene dal controllo ortografico automatico – che non mi vuole far mettere l’accento su rossoblù!!! E dalla funzione mostra/nascondi, ignorata dai più, ma che ti permette di redigere un testo senza quelle sgranature tra una parola e l‘altra che ne rendono difficile anche il primo approccio visivo! Diavolerie della tecnologia! Benvenute, certamente!
Ma torniamo all’errore! Ovviamente gli errori vanno corretti, ma… in primo luogo bisogna commetterli perché… è corretto cadere in errore: è parte viva dell’apprendere! Ed è anche corretto correggerlo! Purtroppo, veniamo da una tradizione scolastica che affonda nella notte dei tempi e che ha sempre considerato l’errore come una sorta di infamante peccato, da punire comunque, anche a suon di nerbate! Il discepolo discit, deve discere, deve forzatamente discernere la strada giusta da quella… errata! Guai ad… errare per una strada che non sia quella che si “deve” percorrere! Gli eretici erravano perché sceglievano strade di-verse e… mal gliene incolse! Per non dire dei “di-versi”, e di quei sodomiti che dio giustamente volle annientare, perché di-vergere dalla “retta via” è sempre peccaminoso. E pare anche che i giudei siano stati per-fidi… almeno fino a poco tempo fa!
Insomma è sempre stato facile condannare una scelta di-versa come un errore! Solo oggi osiamo parlare di pensiero di-vergente come soglia della creatività. Fortunatamente siamo in tempi… di-versi!!! Menomale che il pensiero laico è riuscito a farsi strada, anche pagando prezzi elevati, scomuniche, carceri, torture, roghi ed altre… amenità!
Ho… di-vagato un po’ per dimostrare che ancora oggi, in materia di apprendimento, si è soliti confondere una pura e semplice segnalazione di un errore come una sua sanzione! Spesso anche di natura morale: niente motorino se ti bocciano! Non sarebbe stata possibile quella esortazione dei programmi dell’85, se non si fossa fatta strada nei secoli – e non facilmente – questa importante e rigorosa distinzione. Individuare e sanare un errore non è sinonimo di punire l’errante
A queste condizioni, ben vengano le matite rossoblu purché se ne faccia un uso… corretto! E non è un’ironia! Il pericolo di un uso distorto, ovviamente, c’è! Se il ritorno al voto viene letto e praticato – speriamo che non sia così – come un ritorno puro e semplice alla scuola di sempre, il pericolo è dietro l’angolo.
Anche perché è sempre stato più facile imporre ad un soggetto lo studio come una pena piuttosto che proporglielo come un’attività interessante e gratificante! E la chiave di tutto è proprio qui: il quattro come pena si addice ad una scuola come sofferenza; invece, un segno rossoblu come semplice segnalazione e stimolo a far meglio si addice ad una scuola gioiosa e creativa. Di qui la domanda: siamo stati capaci fino ad ora di creare una scuola così? Summerhill è pur sempre un’utopia per i più, anche se ci è molto vicina: siamo nell’Inghilterra degli anni Venti del secolo scorso! In effetti, che la scuola potesse essere un qualcosa di diverso lo si pensava anche tanti anni fa. “Nell’intelletto non c’è niente che prima non sia passato attraverso i sensi. Ma questo principio di solito è trascurato dalle scuole. Si porgono agli studenti argomenti che essi non capiscono né sono presentati in modo adeguato ai sensi”. Così scrive Comenio nella prefazione del suo Orbis sensualium pictus, il primo sillabario della storia in cui disegni e didascalie stimolano i sensi, le percezioni, la curiosità e l’interesse del piccolo lettore. E siamo in pieno Seicento!
Per dirla con il linguaggio dell’oggi, Comenio aveva capito che immagini e descrizioni, oggetti e parole stimolano unitariamente operazioni del cervello destro e di quello sinistro ed investono la totalità della persona. In altri termini, non c’è apprendimento se non c’è un fare curioso e interessato che interviene sulle cose e produce scoperte e nuove idee: un fare che potremmo attivare con una costante attività laboratoriale, giocosa, ludica nel senso più alto del termine. Parlare di voti, di punizioni e di premi, di sanzioni e di lodi non ha senso in un contesto educativo di questo tipo. Come non hanno molto senso né grembiulini o rigide classi di età: ma questo è un altro discorso! Siamo molto lontani da una scuola che possa amministrarsi in reale autonomia e con un minimo di vincoli organizzativi, fatta eccezione di quei traguardi che indichino le competenze essenziali ed irrinunciabili che tutti devono raggiungere al termine del percorso obbligatorio.
Infine domandiamoci: è proprio necessario assegnare un voto ogni qual volta un soggetto fa qualcosa? Ci verrebbe mai in mente nel vivere quotidiano di dare un voto a una persona non appena apre bocca? No! Ma a scuola, in un certo tipo di scuola, era proprio così, e stiamo attenti a non ritornarci! Le sollecitazioni dei programmi dell’85 sono più che attuali. A quel che so, nella scuola obbligatoria finlandese nei primi cinque anni di studio non esiste il voto, non c’è tempo per inchiodare giorno dopo giorno ogni atto del nostro soggetto! Il che non esclude un sostegno valutativo formativo quotidiano e costante né che al termine di ogni anno vi siano prove di verifica le quali, per altro, tendono più a valutare l’efficacia dell’insegnamento che gli apprendimenti in sé. E le articolazioni orarie vengono costruite sulla base delle reali esigenze di ogni singolo alunno: perché una effettiva personalizzazione questo richiede! Ovviamente, senza rinunciare a traguardi comuni. Se è bene che ciascuno sia se stesso, è anche bene che si riconosca e interagisca con gli altri per tratti distintivi comuni, che sono i saperi essenziali e le competenze di cittadinanza. E non lo dico io, ce lo dice l’Europa!
Se queste garanzie sono fatte salve, la matita rossoblù, ma anche di tutti i colori dell’iride, non deve affatto spaventarci!