15.01.2009
Qualche
riflessione sulla valutazione
di Giancarlo Cavinato
Una tradizione consolidata ma scarsamente valorizzata
“Non separare la scuola dalla vita” (C. Freinet)
Il “naturale” nell’apprendimento consiste nel fare una scuola ‘aperta sulla vita’, nei due sensi ( uscire nell’ambiente circostante per osservarlo, analizzarlo, partecipare, intervenire nella comunità locale, nelle associazioni, nelle amministrazioni- ed. alla cittadinanza; far entrare la vita nella scuola, accogliendo le apportazioni dei bambini/e, i loro interessi, bisogni, desideri, piaceri, problemi, assumendoli nella loro interezza)
Il “naturale” consiste nel centrare la scuola nel bisogno di attività autentica del bambino e dell’adolescente, come lo è quella che si esercita al di fuori della scuola (apprendere attraverso l’azione, un’azione che include atti fisici e atti mentali, che si esercitano su oggetti molto diversi, individui, simboli, pensieri,…)
Il “naturale” è, ancora, la progressiva instaurazione dei metodi naturali di apprendimento, così come si costituiscono fin dai primi anni ( deambulazione, linguaggio,…) e successivamente fino a tutte le attività umane: andare in bicicletta, fare attività sportive, competenze professionali,…
Si impara a camminare camminando, a parlare parlando,…
In che cosa tali metodi sono naturali? Nel fatto che si fondano sulla grande intuizione di Freinet, l’ esperienza per tentativi, funzione dell’esercizio motivato dalla vita in un contesto umano normale. E’ la grande legge, la TECNICA DI VITA, sia del bambino che dell’adulto, alla base della ricerca scientifica, l’emergere della vita nonostante i dogmatismi, che funziona in base alle ipotesi degli individui
‘Tutto, nel corso della vita, procede per tentativi sperimentali’ (Freinet), che permettono il funzionamento e favoriscono lo sviluppo naturale dell’intelligenza.
Questa impostazione presuppone una SCUOLA DELLA RICERCA.
L’attualità
Il tatonnement mobilita meccanismi cognitivi e altresì neurofisiologici, il che consente di accostare l’ipotesi di Freinet agli apporti attuali delle neuroscienze, della psicologia cognitiva e culturale, delle scienze dell’educazione.
Gli apprendimenti avvengono non soltanto per imitazione, per associazioni, attraverso meccanismi stimolo-risposta, per condizionamento operativo, per rinforzo, per tentativi ed errori: queste spiegazioni non sono totalizzanti, ma singoli aspetti del problema dell’apprendimento- e della valutazione- non separabili dall’aspetto fondamentale, la pratica sperimentale dei soggetti in ricerca.
Sottomessi a una molteplicità di stimoli provenienti dal loro ambiente fisico e sociale, gli esseri umani elaborano delle risposte a partire dalle loro reazioni interiori.
Queste sono dovute all’operato della loro intelligenza, che tratta tutte le informazioni, in base a propri percorsi interni, tramite la complessità interattiva dei processi cognitivi, non meccanici, che funzionano in modo naturale, trasformando le informazioni in conoscenze compattate, utilizzabili, trasferibili, evolutive.
Tale trasformazione permanente, in quanto in essa consiste l’atto dell’apprendere, implica un’attività costante, cosciente o inconscia, del cervello. Essa richiede TEMPO di elaborazione (‘ogni apprendimento avviene nel tempo’, Freinet, 12° principio dell’apprendimento, ‘Saggio di psicologia sensibile’). Non risposte simultanee, immediate.
L’attività mentale dell’apprendere consta di tre momenti o fasi:
una raccolta di informazioni
un trattamento cognitivo (fase dell’elaborazione delle conoscenze)
una duplice ‘uscita’, esterna ( decisione di agire: tramite forme di espressione/comunicazione, o di verifica nell’uso, di applicazione) ed interna (memorizzazione, interpretazione,..
Questa
schematizzazione, compatibilmente con quanto di essa sembra irrigidire la
‘mobile varietà della vita’ (Musil), è importante per analizzare i diversi
itinerari naturali di apprendimento: itinerari comuni a tutti gli individui
e itinerari particolari, specifici di ciascuno, itinerari personalizzati
( non nel senso morattiano).
Analisi che può opportunamente essere condotta tramite quell’approccio che
A. De La Garanderie definisce il dialogo pedagogico con l’alunno;
nello spirito dell’11° principio dell’apprendimento di Freinet: ‘l’individuo
è il più adatto a fornire dei feed-back relativi al proprio apprendimento’).
Tale dialogo consente ai bambini di esplorare le proprie strategie
personali, di riflettere sui propri percorsi, di vedere anticipate azioni
successive: si traduce quindi in una co-costruzione che avviene nello
spazio della relazione ( lo strumento in cui depositare le acquisizioni può
essere quello che la pedagogia istituzionale denomina ‘monografia’,
diario del procederw delle relazioni plurali, secondo l’ottica
interazionista che caratterizza l’impianto attuale delle scienze sociali e
umane: ogni aspetto della personalità non è a se stante, ma prodotto di
relazioni).
Le concezioni psicologiche attuali dell’apprendimento tendono a evidenziare
le diversità di modalità ( le intelligenze plurali, la modularità,…)
dipendenti dal modo in cui le informazioni catturate sono analizzate e
utilizzate, dalle sue conoscenze, dalle procedure di trattamento dei dati,
così come dalle caratteristiche della situazione ( dagli stimoli alla base
dei tentativi sperimentali, dalle offerte culturali e ambientali,…), non
certo le uniformità, per di più standardizzabili e misurabili.
Ogni itinerario di apprendimento è quindi molto specifico, anche se si
inserisce in processi più generali e comuni quali la percezione, la
memorizzazione, la comprensione, l’inferenza, la memorizzazione,…
Si deve allora rivendicare la pluralità dei percorsi che conferma
l’intuizione di Freinet sulla PERSONALIZZAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI ( che
non è la personalizzazione dei destini e delle scelte).
Strumenti interattivi come il dialogo o la monografia (o, come la chiama
Marianella Sclavi, la ‘storia sociale’ del bambino) possono
consentire di mettere in atto una valut/azione come azione di dare
valore con ‘l’obiettivo di una ricostruzione dinamica del “punto di
vista del bambino” sull’esperienza scolastica, tratto vitale per il successo
scolastico in quanto “si propone di conoscere per trasformare;
mettendo in atto una ‘indagine etnografica’ insegnanti e scuola trasformano
se stessi e i rapporti con i bambini. L’indagine etnografica copre le
esperienze del bambino in tutti gli ambiti significativi della sua vita
quotidiana: famiglia, gioco, ed altri ambienti significativi oltre alla
scuola.
Lo scopo è rendere il bambino protagonista dell’apprendimento accogliendolo
e rispettandolo non solo in quanto ‘studente’ (un ruolo), ma in quanto
persona a tutto tondo che nelle esperienze scolastiche trasferisce e
trasforma abitudini relazionali e percettivo-valutative e interessi da lui
appresi ed elaborati altrove” (M. Sclavi, ‘La valutazione etnografica nella
scuola e l’arte dell’ascoltare/osservare’).
Scrive P. Zanelli in C.E.: ‘…porre in atto iniziative di valutazione con
l’obiettivo di promuovere la crescita dei bambini nei servizi educativi…non
una valutazione come “controllo esterno” ma come processo di ricerca
attraverso cui gli operatori possono leggere e dare senso alla propria
pratica’.
L’atmosfera della classe
Il
discorso non è completo senza considerare l’altra grande variabile
dell’apprendimento, il gruppo, la classe, complemento
indispensabile nella co-costruzione di conoscenze. Nella classe Freinet i
due aspetti, individuo e gruppo cooperativo, sono inseparabili e
interdipendenti: non si dà dossier personale dell’alunno senza il suo
risvolto in una serie di documentazioni della vita e delle attività della
classe ( ricerche, libri di vita, dossiers, monografie,…): Gli stessi
brevetti che in Freinet costituiscono un accertamento di competenze ( ben
diverso dal portfolio in quanto inserito in una ‘pedagogia del lavoro’
rivolta a tutti) sono organicamente connessi ai piani di lavoro del singolo
e della classe, sono obiettivi ben evidenti agli alunni.
Si apprende e si costruiscono significati in gruppo: la documentazione
quindi non può tralasciare tale aspetto, che l’atomizzazione indotta dalla
legge 53 tende a sminuire sostituendo il gruppo di riferimento con una
varietà di gruppi ‘opzionali’.
E’ il gruppo classe a garantire stabilità, continuità, durata, coesione,
competenza socio-relazionale.
Un recente articolo di Repubblica mette in evidenza l’inefficacia e la
parzialità ai fini di una valutazione complessa delle prove di verifica e
dei test per i motivi suddetti: ‘il quoziente di intelligenza misurato da
queste prove conta assai meno della capacità di comprendere gli altri,
capirne le emozioni, distinguerne i sentimenti e anticiparne le reazioni: la
cosiddetta “intelligenza sociale”. Il grande cervello di cui andiamo tanto
fieri si sarebbe evoluto proprio in relazione all’esigenza di sviluppare
questo tipo di competenza intellettuale, che facilita la vita di gruppo e la
capacità di cooperare a cui i nostri antenati ominidi dovettero gran parte
del loro vantaggio sulle altre specie animali’ (C. Di Giorgio, Repubblica
24/09).
‘Le relazioni’ scrive Oury ‘sono educative’.
Lo sguardo quindi deve puntare anche sul clima, sul procedere
dell’organizzazione e dell’autonomia, sulla soluzione di compiti comuni.