01.05.01
Questione di valori, anzi
di fede
di Girio Marabini
Vorrei riprendere un
argomento già presentato in un precedente intervento su "Scuola Maestra di
vita" di Pavonerisorse:
"Il silenzio dei giovani".
La condizione dei giovani oggi è singolare: sembrano attrezzati per affrontare la vita
eppure sono così fragili, vuoti, non sanno come riempire il loro tempo vuoto, niente più
sembra interessarli, almeno a scuola.
Qualcuno ha ipotizzato la scomparsa dell'infanzia (Postman) cioè del soggetto
dell'educazione, come la conseguenza più drammatica dell'esplosione tecnologica che
annulla ogni differenza tra adulto e bambino.
Drammatica è la contraddizione tra la teoria del bambino autopoietico e la violenza e le
frustrazioni che vengano scaricate sui minori.
Vorrei allora tornare sul tema.
Brevemente, considerata l'esigenza di immediata fruibilità dei testi su internet.
Una ulteriore riflessione per cercare di risvegliare questo nostro spirito di educatori
che, mi sembra, nessuno si offenda, ormai sopito, frastornati come siamo da questa
"rumorosa" ma dispersiva e disorientante società.
L'argomento che voglio
sollevare è quello dell'deale, anzi,in modo più integrale, quello della fede. E'
il discorso della fede, della fede in Dio forse ma non solo.
Nessun giovane ci domanda più : cosa devo fare per credere ? O meglio come posso
continuare a credere ?
Ed invece c'è un fatto che potrebbe aiutare ognuno di noi, giovani compresi, a non
perdersi in questa società: avere una fede.
Avere una fede significa avere delle certezze, dei significati per cui vivere e morire.
Sono i significati della vita da difendere ad ogni costo dentro lo stordimento della
pletora delle informazioni.
Il primo significato è l'essere e sentirsi persona: persona capace di senso critico e di battersi per la libertà.
La stessa idea
politica quando in qualche modo, e lo vediamo in questi tempi, cessa di essere
"fede" non ci scalda più e sicuramente scade a semplice gestione del potere.
"Un cratere spento al posto di un fiume di lava" come diceva il mio
maestro I.Mancini.
Come la malattia la crisi di fede non rafforza ma fa morire.
Occorre allora "stanare" i giovani, dare loro delle certezze sicuramente
attraverso il dialogo: io,tu, noi.
Scaldare i loro cuori, interessarli ai valori. Dei valori i giovani hanno bisogno. Di
questa esigenza la scuola deve farsi carico. ad essa spetta il compito di favorire la
crescita complessiva e integrale delle persone; una scuola che non solo proponga nozioni e
informazioni per quanto necessarie, ma sia formativa di personalità.
Non bastano allora le semplici competenze, ma occorre far fare loro esperienze di valori.
Si tratta allora del tema della partecipazione, è forse una questione di appartenenza.
Bruner suggeriva che l'insegnante a questo proposito deve risultare un modello di
competenza, proponendosi quale modello degno della loro stima, con cui poter interagire.
"L'importante non è solo che l'insegnante fornisca un modello da imitare, quanto
che egli divenga parte integrale del dialogo interno dello studente, una persona, cioè,
di cui egli desidera il rispetto, di cui vuol far sue le qualità"(Bruner).
Per merito dell'insegnante dunque la lezione può assumere vero significato educativo per
l'alunno e per lo stesso insegnante. L'insegnamento dovrà in questa direzione
trasformarsi da insegnamento come atto "da" e come atto "per" a
insegnamento come atto "tra" cioè in un processo di comunicazione.
Dobbiamo in qualche
modo corresponsabilizzare i giovani a costruire con noi un progetto per la società
futura.
E' per questo essi non possono essere esclusi dalla forma primaria di partecipazione alla
società che è il lavoro..
E le prime esperienze di lavoro si fanno a scuola...
Se non ne faranno mai esperienza, non potranno mai valutare questi significati della vita.
Dal di fuori non potranno mai cogliere nulla.
Come lo scholasticus di Hegel, che dopo aver tanto studiato il nuoto a tavolino, entrato
in acqua, affogò, al contrario se vuoi nuotare, buttati dentro l'acqua.
Girio Marabini