02.02.2015
Aspettando il decreto su carriera e meriti
di Antonio Valentino
In queste ultime settimane, sul problema della
valorizzazione della professionalità docente attraverso scatti di competenza
e percorsi di carriera legati al merito, sono intervenuti diversi soggetti
protagonisti, senza però che nebbie e oscurità siano scomparse del tutto.
Comunque qualche novità - rispetto a quanto
contenuto nel documento sulla Buona scuola - si registra, almeno nelle
dichiarazioni del sottosegretrario Faraone a Sole 24 ore di metà
gennaio e nella posizione di TREELLE - associazione culturale di grande
peso nello scacchiere della politica scolastica del Paese - (stesso
periodo).
I due percorsi di carriera
Si prospettano in entrambe le posizioni, con qualche differenza non però significativa, due distinti percorsi: il primo riguardante la didattica (o meglio: formazione e sostegno alla didattica da parte di apposite figure esperte); il secondo, la collaborazione col DS e la cura del funzionamento didattico-organizzativo.
E si chiarisce
che il titolo acquisito sarà permanente sul piano giuridico e permetterà di concorrere per la Dirigenza Scolastiva e Tecnica;
che i passaggi previsti alla nuova più avanzata posizione sono condizionati (ma questo si deduce da altre dichiarazioni di fonte ministeriale) alla disponibilità, da parte di queste due nuove figure, a coprire incarichi che la scuola vorrà loro affidare nell’aria di competenza;
che saranno comunque retribuiti, per queste due aree di attività, solo gli incarichi che siano stati effettivamente coperti (il passaggio alla nuova posizione giuridica, sembra di capire, non comporta quindi automaticamente un aumento stipendiale);
che gli incarichi potranno essere rinnovati triennalmente; ma che comunque il rinnovo è rimesso alle valutazioni e alle decisioni autonome delle scuole (per evitare automatismi, blocchi e rigidità nel ricambio).
Sin qui le convergenze. Su come si accederà
a questi due percorsi, non ci sono però novità. Presumibilmente lo strumento
sarà il portfolio delle competenze e delle esperienze maturate, oltre
alla dichiarazione di disponibilità degli insegnanti che vi aspirano. Per
quanto riguarda le quote di personale a cui riconoscere l’accesso, la cifra
complessiva di cui si parla si aggira, mediamente, su una percentuale tra
il 20-25%: a seconda del tipo di scuola e probabilmente del progetto
formativo (per il percorso di carriera più legato al supporto formativo del
personale, si parla di una quota all’incircadel 10%).
Sul nodo della valutazione, si sa che il soggetto previsto è il Nucleo di
valutazione interno (NdVI): DS, 2 docenti, i figura esterna di “garante”. (È
stata recentemente proposta anche la presenza di uno studente per le scuole
superiori, ma lasciamo perdere).
Sulle modalità della valutazione, circola invece una proposta di un qualche
interesse secondo cui, per le decisioni ultime (assegnazione dei crediti e
riconoscimento dei passaggi di carriera), ciascuna componente del Nucleo
dovrebbe disporre di una quota parte del punteggio complessivo (a titolo
puramente esemplificativo: 40% per la componente docente, 40% per il DS, 20%
per la figura esterna).
Ma le carriere non sono il cuore della questione docente.
Una considerazione non ottimistica su questa
attenzione insistita sulla carriera.
A scanso di equivoci: vanno certamente bene i percorsi di carriera e
l’attenzione al tema. L’interrogativo nasce dall’impressione che questa
focalizzazione possa significare sottovalutazione del problema più
importante che è – a voler essere monotoni - il nucleo della questione
docente; e cioè: ridare ruolo sociale, spirito di appartenenza, qualità e
motivazione al lavoro degli insegnanti, nel modo più efficace possibile:
riconoscere i meriti che si acquisiscono sul campo, attraverso modalità che
spingano a migliorarsi e ad accettare la sfida del cambiamento.
Cambiamento che comunque, per essere “produttivo”, dovrà valorizzare il
lavoro cooperativo e la reciprocità delle relazioni, evitando chiusure
autoreferenziali, separatezze e gerarchizzazioni dannose. Difficilmente –
penso - misure premiali che ignorino questi principi di riferimento
diventerebbero leve per la buona scuola; che ignorino cioè l’idea di una
leadership diffusa; non propriamente assimilabile alla nozione di
leadership distribuita che patrocina TREELLE. D’altra parte, neanche
parlare di “quadri intermedi” – come fa lo stesso Sottosegretario, per
indicare le figure di collaborazione e di coordinamento - ci fa fare dei
passi in avanti (e non solo per i termini usati).
La questione è certamente delicata, ma certe scorciatoie non aiutano. Anche
perché sul tema non siamo all’anno zero, e le elaborazioni fin qui maturate
(si pensi all’ “èquipe di direzione” di Piero Romei e a modelli
organizzativi a struttura interna reticolare impliciti nella scuola come
Comunità di pratiche e come Organizzazione che apprende ) offrono
spunti per uscirne da “buona scuola”.
Ancora la questione degli investimenti
Comunque, il recupero della centralità del
tema: motivazione e protagonismo diffuso dei docenti, è pensabile
soprattutto (e anche su questo l’originalità si spreca! )
prospettando riconoscimenti economici del merito attraverso soldi
“freschi”: questi sì, segnali utili sul fronte della motivazione e
di un diverso appeal del lavoro docente. Ma anche evitando in ogni
modo logiche divisive.
Per questo, si legge come una nota stonata -anche se coerente con il suo
spartito - quella di TREELLE che ripropone la soglia del 66% dei docenti da
premiare; proposta tra l’altra già bocciata dalla consultazione
ministeriale.
Altra cosa sarebbe un ragionamento sugli scatti di anzianità che
prevedesse la riattribuzione a tutti di una quota parte e affidasse alle
scuole la gestione della parte restante del fondo (sia per quanto riguarda
il numero di docenti da premiare sia la misura del compenso). Gestione da
ancorare verisimilmente ad uno standard nazionale che sia misura di
riferimento per le valutazioni interne.
Ma, su questo punto soprattutto, una interrogativo enorme: si pensa che
sulla partita salariale e sulla
riorganizzazione del lavoro, nelle quali le questioni accennate rientrano a
pieno titolo, si possa prescindere, per loro positiva soluzione, da
relazioni sindacali rimesse su un giusto binario? Prove muscolari, da
qualunque parte provengano, non giovano alla causa.
Sul Nucleo di
Valutazione
Ancora un appunto su un aspetto della
questione che, se non affrontata opportunamente, potrebbe diventare non
uno strumento-risorsa, ma un handicap.
Mi riferisco al Nucleo di Valutazione.
Se ne sta parlando in questi giorni anche a proposito dell’autovalutazione
delle scuole, operazione che ha anch’essa il NdV come soggetto
protagonista.
Pensiamo veramente che, su un organismo che ha la composizione numerica
prevista (va tra l’altro considerato che il DS ha le sue gatte quotidiane da
pelare, i due docenti le loro classi e la figura esterna i suoi impegni
lavorativi), si possano far cadere pesi di tale responsabilità, delicatezza,
fatica? Neanche raddoppiando il numero si può pensare di risolvere il
problema.
Perché allora – mi chiedo – non affrontarlo, in prima battuta, tenendo
separate le funzioni, non priopriamente assimilabili, richieste per
l’autovalutazione, da quelle per la valutazione dei docenti?