09.01.2015
L'educazione di fronte alla barbarie
di
Enrico Bottero
Il barbaro attentato di Parigi del 7 gennaio 2015 con cui sono stati colpiti i giornalisti del giornale satirico Charlie Hebdo si caratterizza subito per il suo alto valore simbolico, chiunque ne sia il colpevole. Nel mirino degli attentatori non erano solo delle persone ma uno dei cardini dello stato di diritto, la libertà di espressione e di informazione. Questo attacco avviene proprio in quel Paese, la Francia, che più di altri ne ha fatto fa un principio fondante della convivenza civile. Di fronte alla gravità dell’attentato, abbiamo assistito alle più diverse reazioni, molte di esse purtroppo prevedibili a causa del clima che si sta creando da tempo in tutta Europa. Non i soffermerò qui su un’analisi della vicenda, dei cui aspetti specifici molto si sta parlando e si parlerà in futuro. Mi limito invece ad una breve analisi centrata sui compiti a cui sono chiamati la scuola e tutto il mondo dell’educazione.
Quali interrogativi questa vicenda pone dunque alla scuola e al mondo dell’educazione? Come gli insegnanti possono affrontare il problema, sia nell’immediato che a lungo termine? Nell’immediato credo si giusto l’atteggiamento di un insegnante francese che, nel giorno del lutto nazionale che ha coinvolto anche la scuola ha colto nei suoi ragazzi il bisogno di parlare ed ha detto: “Li dobbiamo ascoltare per cercare di dare un senso a tutto questo”. Il bisogno di senso è insito in ogni essere umano, in particolare nei ragazzi che si preparano alla vita. Dare un senso, in questo caso, non significa spiegare razionalmente ma far prevalere subito, senza esitazioni, il senso dell’umano. Condividere la sofferenza delle vittime e di gran parte del popolo francese è un modo per riconoscere l’altro come simile a noi, persona con diritti e per la cui vita mi devo sentire impegnato. E’ già molto perché è il rifiuto dell’indifferenza, quella che rischia sempre di contagiarci quando si verificano situazioni limite (guerra, fame, dittatura, ecc.) che ci inducono a difedere i nostri confini privati. E’ il rischio della paura.
Certamente tutto questo non basta. Nella nostra scuola, sempre più frequentata da alunni di diverse religioni e culture, la sfida della costruzione di un comune patto di convivenza costituisce un impegno maggiore rispetto al passato. Se nella Francia laica e repubblicana migliaia di giovani musulmani di nascita o neoconvertiti all’Islam si trasferiscono in Siria o in Iraq per combattere insieme ai tagliagole dell’Isis qualche domanda è necessario porsela. Il modello repubblicano che afferma in teoria l’uguaglianza quali opportunità, quali speranze per il futuro ha offerto alle nuove generazioni di francesi? La scuola è stata una palestra di riduzione delle disuguaglianze o, dietro le dichiarazioni di facciata, non ha fatto altro che legittimare le sempre più forti differenze sociali? Non è sufficiente dire che spesso si tratta di giovani portatori di gravi forme di disagio. Il disagio, infatti, ha origini e cause. Nei tempi lunghi è dunque necessario concentrarci di più su un compito ineludibile della scuola, quello di lavorare per offrire sempre più opportunità a tutti, in particolare alle fasce deboli. Nel contempo, è necessario preparare forme accettabili di convivenza tra diversi affrontando anche i temi difficili. Il punto di partenza è a aver chiari alcuni punti fermi che a mio parere, devono costituire la base per un’educazione alla convivenza civile in uno Stato di diritto, ben sapendo che le pratiche implicheranno un lavoro tanto difficile quanto importante di rielaborazione.CLICCA QUI per continuare a leggere