19.06.2013
Don Milani e le Charter School
di Stefano Stefanel
La Scuola di Barbiana, Don Lorenzo Milani,
La lettera a una professoressa sono diventati negli anni una sorta di
manifesto della scuola statale italiana, che si è data in forma implicita ed
esplicita gli obiettivi delineati da don Milani negli Anni Sessanta.
Potremmo raccogliere tutto nella parola “inclusione” che vuol dire
l’apertura ai portatori di handicap nella scuola pubblica, l’integrazione
degli alunni stranieri, l’attenzione alle problematiche del bambino e del
ragazzo, lo spostamento dell’accento dall’insegnamento all’apprendimento,
fino ai richiami dei difensori della Costituzione nell’ambito di una lettura
univoca dell’art. 33. Tutte cose, mi pare conosciute e piuttosto evidenti.
D’altronde sia il taglio del personale e delle risorse di Tremonti-Gelmini,
sia la successiva spending review sulla scuola (più tentata che
effettuata) sono state ostacolate in quanto terminali di un disegno
neoliberista e neoliberale (termini usati spesso erroneamente come sinonimi)
che ha come ultimo e reale destinatario lo smantellamento della scuola
statale italiana ancorata ai principi di don Milani. Se dal punto di vista
politico ed educativo il ragionamento è chiaro e non necessita di molte
spiegazioni, anche perché rappresenta la legittima idea della gran parte dei
docenti italiani, da un altro punto di vista si può far notare che la Scuola
di Barbiana non era statale, non era paritaria, forse non era neppure
pubblica. In quella scuola i Contratto collettivo nazionale di lavoro non
valeva, la chiamata dei docenti era diretta, il curricolo era autoprodotto e
tutto l’impianto stava nell’ambito privatistico-cattolico e non in quello
pubblicistico-statale. Poiché tutto questo è noto non mi soffermo oltre.
In un convegno svoltosi a Milano l’11 giugno scorso (La scuola tra pubblico e privato. Quale riforma possibile) è stato chiamato a parlare anche Andrea Ichino, autore per il Corriere della Sera di un e-book dal titolo Liberiamo la scuola, in cui – tra le altre cose – è proposto un meccanismo di autogestione scolastica sul modello delle Charter School americane. Ideate come scuole a progetto (charter – contratto) per risolvere problemi diventati endemici (analfabetismo, dispersione, debole integrazione, ghettizzazione, ecc.) le Charter School si sono dimostrate un utile elemento di sperimentazione, ma un debole strumento di azione sul sistema. Tant’è che il progetto di George Bush a favore della scuola pubblica (No Child Left Behind) non si è quasi occupato delle Charter School. I motivi per cui le Charter School non sono diventate nel sistema scolastico americano un elemento molto diffuso sono facilmente elencabili: eccessivo rischio di mancare gli obiettivi e quindi di vedersi chiudere la scuola, difficoltà a far coincidere gli obiettivi della scuola con quelli di molti suoi utenti, responsabilità eccessiva del dirigente e dei docenti a lui legati, valutazione federale ancora basata sui test standardizzati.
A questo punto il lettore potrebbe chiedersi: cosa c’entra la Scuola di Barbiana con le Charter School? La mia impressione che invece c’entri nasce dal vedere dalla miopia di chi volendo difendere il sistema scolastico statale fa riferimento ad un esempio che di statale non ha nulla. Un po’ come le famose Scuole materne comunali di Reggio Emilia, che statali non lo sono mai state. L’autonomia scolastica per essere tale deve potersi dare obiettivi misurabili e deve poterli misurare pubblicamente. Si conosce la poca propensione italiana a farsi valutare, ma un’autonomia senza valutazione è un’autonomia che non va lontano (e infatti non stiamo andando lontano).
Credo che un buon esercizio sarebbe chiamare le cose con il loro nome: se a don Milani lo Stato avesse dato dei soldi e lui con quei soldi avesse fatto Barbiana il concetto di Charter School sarebbe perfetto. Lui l’ha fatta con capitali vari, anche di derivazione statale, ma con un impianto antistatalista (altrimenti a che professoressa parlava?). Non credo che in Italia si possano generalizzare né il modello di Barbiana né quello delle Charter School. In entrambi i modelli, infatti, i docenti non erano presi dalle graduatorie permanenti. Quello che si potrebbe fare, invece, sarebbe avere più fiducia nell’autonomia (con i suoi obiettivi) e nella valutazione. Il Sistema Nazionale di Valutazione e l’Invalsi sono imperfetti ma devono essere mantenuti, perché sono infinitamente meglio del niente che vogliono quelli che urlano e pretendono il loro azzeramento.