29.10.2013
Ma
davvero bisogna diplomarsi a 18 anni ?
di Girio Marabini
E’ poi
così vero che è necessaria una uscita dalla scuola secondaria a 18 anni?
In molti paesi europei compresa la Germania l’età di fine studio è fissata a
19 anni (Germania, Danimarca, Svezia, Lussemburgo, Polonia, Slovacchia,
Slovenia ecc…. )
Sgombriamo quindi il campo da ogni equivoco: in questo settore (almeno in
questo!) l’Europa non ci chiede di sacrificare la nostra tradizione…
Forse la motivazione può essere rintracciata in una esigenza pedagogica?
Non credo. Non è che anticipando l’uscita a 18 anni si possono ottenere
risultati migliori relativamente agli apprendimenti degli alunni. E’ vero
che in alcune discipline gli studenti italiani sembrano essere in ritardo e
si classificano su posizioni non certo lusinghiere. I dati vanno presi per
quello che sono e dimostrano l’esigenza di una seria discussione sugli
standard formativi e di una verifica delle impostazioni didattiche di
alcune discipline. La formazione va, tuttavia, considerata nel suo insieme,
come un unicum culturale: le discipline concorrono a costruire il mosaico
ma non possono valere per sé stesse (non si insegna la matematica per la
matematica ma se ne mettono in evidenza gli aspetti che contribuiscono a
spiegare la realtà; in questo modo l’apprendimento diventa significativo. Si
pensi ad esempio al discorso mai completamente realizzato dell’insegnamento
delle discipline in funzione orientativa).
Proprio per questa attenzione alla formazione integrale della persona, la
nostra scuola, nel bene e nel male, è risuscita a formare eccellenze,
“giovani cervelli” apprezzati in tutto il mondo nei vari settori del lavoro
e della ricerca (meccanica, chimica, design, elettronica, fisica ,
medicina…). Il dibattito sul problema strutturale/organizzativo è quindi, a
mio avviso, secondario rispetto alla questione dei “nuovi saperi”, della
ricerca disciplinare e del curricolo.
Il rischio è che la scuola a forza di inseguire riforme strutturali
accumuli ritardi rispetto alla esigenza di adeguarsi alle trasformazioni
sociali economiche e culturali del paese. Occorre per questo focalizzare
l’attenzione sul curricolo scolastico e sulle sue implicazioni pedagogiche.
In questo contesto fondamentale, come accennavo sopra, è la ricerca
disciplinare che gli insegnanti devono operare: le indicazioni nazionali
offrono il quadro d’insieme, la ricerca disciplinare “legge” i saperi ed
individua in ciascuna disciplina
i nuclei fondanti, le
valenze formative prioritarie e quelle orientative.
Da questo punto di vista, nonostante le
incertezze, i rinvii, gli interventi col cacciavite e così via, qualcosa di
buono in questi anni è stato realizzato: è stato scritto un curricolo
progressivo, essenziale e continuo, che coinvolge la persona dai tre anni ai
dodici anni.
Contemporaneamente non è stato abbandonato il valore della specificità
delle singole fasi della età evolutiva: non si può infatti non tener conto
dei diversi stili di apprendimento e delle diverse capacità naturali che si
manifestano solo in una determinata fase evolutiva (si pensi ad esempio alle
capacità di astrazione, alla logica ecc…).
E allora piuttosto che ridurre il numero di anni complessivo, se proprio si
vuole parlare di struttura e di organizzazione , meglio sarebbe apportare
aggiustamenti nella fascia di età tra i 13 anni e i 19 anni, assegnando ad
esempio un anno in più alla scuola media, per darle modo di completare la
sua azione nei confronti della preadolescenza, una età difficile,
tempestosa, piena di cambiamenti.
Sento
comunque di dover fare un appunto alla pedagogia del curricolo insita nelle
indicazioni nazionali: non mi convince il fatto di aver calibrato la
formazione in prevalenza sul concetto di competenza, come fosse questo il
solo elemento capace di unificare il sapere ed il saper fare. Si pensava
forse, in questo modo, di riuscire a legare la scuola al mondo del lavoro.
Ma un conto è il lavoro ed un conto è la cultura del lavoro. La cultura non
è infatti solo conoscenze, competenze o abilità è anche saper essere , è
anche giudizio, senso critico, creatività, ricerca e progetto.
E’ ciò che consente (permettetemi una estrema semplificazione) ad uno che
non sa scrivere poesie di poter capire e “gustare” una poesia. Lasciamo
dunque che le riforme , ancora non a regime (che hanno lasciato intatti i 13
anni di durata complessiva del percorso scolastico) dispieghino
completamente le proprie possibilità formative.
Che senso ha ridurre la durata della scuola superiore in corso d’opera? La
scuola è stata oggetto di tali e tanti interventi legislativi in questi
ultimi anni, che non sente davvero il bisogno di un ulteriore
stravolgimento.